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Urbanistica femminista. Il collettivo Equal Saree

Gli spazi pubblici sono fondamentali come punti d’incontro, di gioco e di rappresentazione sociale, culturale e politica. Gli spazi urbani non sono neutri, sono la rappresentazione fisica dei valori della società che li pianifica, li costruisce, li gestisce e li abita. Gli spazi ci parlano, trasmettono messaggi che integriamo in maniera incosciente e che possono riprodurre disuguaglianze sociali.L’urbanistica è la disciplina che si occupa di definire questi spazi, e nella grande maggioranza dei casi gli architetti e urbanisti che prendono decisioni sull’organizzazione delle nostre città sono uomini, bianchi, normodotati e generalmente si muovono in macchina. L’urbanismo istituzionale tende a semplificare e a progettare solo per un tipo di persona e gli spazi riflettono quindi le esigenze solo di una parte della popolazione. Per esempio è dai tempi dell’agorà greca che le donne vengono escluse dagli spazi dove si prendono le decisioni: l’urbanismo è patriarcale e gerarchico e gli uffici urbanistici continuano a essere «mascolinizzati». Inoltre questi ultimi tendono a essere chiusi alle contaminazioni e generalmente non si confrontano con esperti di altre discipline come l’antropologia o le scienze sociali e ambientali, fondamentali al momento di organizzare gli spazi comuni della popolazione. L’urbanismo di oggi si muove spesso al servizio degli interessi del capitale e anche se qualche volta ha la reale volontà di migliorare le condizioni di vita della cittadinanza non tiene quasi mai in conto ciò che essa vuole o semplicemente di cosa ha bisogno. Risposte alternative da parte dell’ambito accademico o teorico a questo modo di intendere lo sviluppo della città hanno almeno mezzo secolo di vita e negli ultimi anni si sono visti esempi concreti, ad esempio in Spagna. Si parla di urbanismo femminista e questo non significa rivendicare solo una visione di genere, ma una che tenga conto della diversità di persone che abitano le città: diversità di genere, ma anche di origine, di classe, di età e di mobilità.A Barcellona sono attivi diversi collettivi che lavorano in quest’ottica e la fervente attività dal basso ha trovato un riscontro nelle istituzioni, particolarmente sensibili al tema: negli ultimi anni questa visione sta quindi avendo un’influenza concreta sullo sviluppo degli spazi della città.

Nascita e obiettivi del collettivo Equal Saree

Equal Saree è un collettivo di architettura e urbanistica con prospettiva di genere che disegna strategie inclusive, promuove pratiche orizzontali e genera lavoro in rete. È costituito da quattro ragazze ed è nato nel 2010, prendendo forma poco a poco a partire da un lavoro costante di sensibilizzazione e attivismo che dà un nuovo significato alla diversità e complessità del paesaggio urbano. Dal primo momento le fondatrici sono state sicure dei benefici che può apportare all’urbanistica una visione di genere, che permette di incrociare gli aspetti fisici, sociali e psicologici dello spazio per portare alla luce le disuguaglianze e generare strategie per sradicarle.Si sono conosciute all’università di Barcellona, ma è stato un viaggio in India a cambiare loro la vita; o meglio, a cambiare la visione che avevano, fino a quel momento distorta dall’accademicismo europeo, sull’architettura e sul suo impatto sulle città. Tutto ebbe inizio durante le lezioni di un’architetta argentinaspecialista nell’affrontare politiche pubbliche sulla città e le donne, e le basi del collettivo sono nate durante il progetto da lei proposto in un quartiere musulmano di Nuova Delhi, dove le studentesse sono arrivate con una borsa di studio. La scelta del nome del collettivo riflette l’importanza che ha rivestito il progetto in questo processo: il saree o sari è il vestito tipico delle donne in India, costituito da teli avvolgenti che rappresentano le donne al plurale, poichè il telo è sempre lo stesso ma utilizzato diversamente secondo la regione. Per il nome del collettivo hanno quindi hanno combinato la parola equal (uguale in inglese) con il saree, che simboleggia sia le donne al plurale che l’uguaglianza nella differenza. L’obiettivo di questo collettivo è che non venga perpetuato il sistema che accompagna lo sviluppo delle città e che prevede un unico tipo di abitante, rivendicando un urbanismo che tiene conto della complessità e della diversità dei residenti. E come si mette in pratica tutto questo?

Metodi e strumenti per un’architettura femminista

«La partecipazione comunitaria e i processi di co-creazione sono strumenti che permettono di riflettere sulla nostra forma di vivere, affrontando questioni come la convivenza di persone con realtà diverse o la gestione della cura in città. I processi partecipativi rafforzano le relazioni tra persone, stimolano il lavoro di gruppo e mettono al centro il bene comune, al di sopra degli interessi individuali. Per rendere le città più umane bisogna ascoltare l’opinione della cittadinanza» (Goula, Cardona e Saldaña 2019).Il lavoro di questo tipo di collettivi spesso comincia da «marce esplorative» ovvero passeggiate per il quartiere con le abitanti (donne), spesso compiute di notte. Queste passeggiate permettono alle donne di esprimere finalmente il loro punto di vista e dare voce alle loro necessità nello spazio pubblico; inoltre costituiscono un elemento di socializzazione e di empowerment. Lo strumento delle marce esplorative è nato negli anni Ottanta in Canada e aiuta anche semplicemente a individuare quali sono i luoghi di incontro e quali invece i luoghi più bui e meno frequentati; quali zone avrebbero bisogno di essere riorganizzate per compiere meglio la loro funzione. Si tratta di ridisegnare la città da dentro, da chi la abita e la vive tutti i giorni. Per quanto riguarda la progettazione Equal Saree insiste sull’importanza di mescolare usi e funzioni degli spazi: per una semplice questione di sensazione di sicurezza, è importante ad esempio che le strade siano frequentate, le zone pedonali vissute e che ci sia buona visibilità e illuminazione. Questo perchè non prevalga la legge del più forte, in cui sono sempre le stesse a rimetterci, e per evitare il ricorso costante alla polizia che normalmente non risolve i conflitti né elimina la sensazione di insicurezza. Per le necessità quotidiane inoltre sarebbe importante che non fosse sempre necessario usare il trasporto pubblico o l’auto. Un altro criterio importante al momento di organizzare gli spazi è l’accessibilità: una persona giovane e con buone capacità di movimento sicuramente non ci pensa, ma semplicemente la collocazione nel punto giusto delle strisce pedonali è una questione fondamentale per una parte della popolazione.In questo modo ci si può rendere conto anche di come la collocazione di panchine possa fare la differenza nella mobilità degli anziani, che hanno spesso bisogno di fare delle pause, e sulla possibilità di interazione con gli altri, soprattutto dopo la pandemia. Le panchine sono generalmente utilizzate dalle fasce più «deboli» della popolazione – anziani o chi si occupa dei bambini – ma negli ultimi anni anni le politiche urbanistiche (almeno in Italia) hanno puntato a ridurle o toglierle, per evitare che vengano utilizzate per dormire da chi non ha una casa. Ripensare l’ubicazione delle panchine, oltre a favorire gli spostamenti di chi ha ridotte capacità motorie, aumenta la possibilità di intavolare relazioni con il vicinato e di evitare la sensazione di solitudine.

Progetti di Equal Saree

Il collettivo Equal Saree ha portato avanti progetti in Spagna, Marocco e India e ha lavorato per diverse amministrazioni mettendo al centro proprio le categorie normalmente meno ascoltate: le donne, gli anziani, i bambini. Coinvolgendo la popolazione con processi partecipativi hanno ripensato l’organizzazione di piazze, parchi ed edifici, ma il loro progetto di maggiore successo è stato nei cortili delle scuole. L’analisi degli spazi di gioco ha evidenziato come questi siano il primo luogo fuori casa dove i bambini e le bambine possono organizzarsi spontaneamente, senza la guida di un adulto e da qui l’importanza di non riprodurre schemi usuali. Lo studio ha fatto luce sul modo di interagire dei bambini e delle bambine e ne è risultato che l’80% dei cortili delle scuole spagnole è «calcio centrico», ovvero uno spazio in cui il campo da calcio occupa la maggior parte dello spazio mettendo al centro generalmente i bambini maschi più grandi e più forti e dove gli altri giochi sono collocati nella periferia del cortile, in posizione defilata. Attraverso processi partecipativi che hanno coinvolto le comunità educative di 14 scuole pubbliche di Barcellona è nato il progetto Empatitzem (gioco di parole con pati – il cortile in catalano – e il verbo empatizzare), un approccio che propone l’uguaglianza nei cortili delle scuole durante la ricreazione. Una nuova progettazione dello spazio che evita la divisione gerarchica tra un’attività principale e altre periferiche permette di immaginare un mondo non gerarchico e favorisce una maggiore interazione tra generi; inoltre la possibilità di proporre diverse attività stimola la creatività ed evita di mettere la forza fisica al centro. La proposta di Equal Saree si è concretizzata nella pubblicazione di una guida dal titolo El pati de l’escola en igualtat. Guia de diagnosi e d’intervenciò amb perspectiva de gènere (ndT: Uguaglianza nel cortile della scuola. Guida per diagnosi e intervento con prospettiva di genere), inizialmente in catalano e poi tradotta in spagnolo, francese, inglese e greco. Un’altra installazione proposta da Equal Saree è la Mamífera, un punto di allattamento collettivo in strada per portare l’attenzione sulla mancanza di spazi per la cura negli spazi pubblici, a seguito di alcuni studi in cui è risultato che il 52% delle donne si nasconde per allattare, il 63,5% si è sentita giudicata a farlo in spazi pubblici, mentre un 15% è stato addirittura richiamato mentre allattava. Questa difficoltà di allattare nello spazio pubblico fa sì che molte donne vivano l’allattamento in modo individuale e isolato, fatto controproducente dato che la maggior parte delle complicazioni si potrebbero risolvere condividendo esperienze con altre madri. Mamífera rivendica la necessità dell’allattamento in collettivo, rompendo un tabù su un argomento considerato una cosa privata.

Riferimenti teorici

Come ben segnalato da Colin Ward nel suo Il bambino e la città quella dell’infanzia è una delle voci meno ascoltate al momento di disegnare un progetto urbano; non vengono tenute in conto le sue esperienze, percezioni e necessità. Per la sua condizione di dipendenza, l’infanzia interagisce continuamente con altri soggetti e per questo migliorare la sua qualità di vita significa inevitabilmente fare lo stesso con la qualità di vita di altre categorie. Mettere i bambini al centro delle decisioni urbane porterebbe beneficio anche al resto della società permettendo di avanzare verso modelli urbani più inclusivi. Per quanto riguarda l’urbanistica femminista Jane Jacobs (1916- 2016) è la teorica che forse più di tutte ha influito sul modo di analizzare i fenomeni urbani nelle città contemporanee. Le sue idee, ridicolizzate negli anni Sessanta dai tecnocrati, oggi vengono recuperate. L’attivista statunitense ha portato il focus sulle persone e non sugli edifici, puntando sull’uso misto, sul bottom-up (strategia dal basso verso l’alto), sulla disobbedienza civile, al contrario della città immaginata sull’esempio di Le Corbusier, con zone di uso esclusivo e mastodontici edifici. A sessant’anni dalla pubblicazione di Vita e morte delle grandi città, i concetti dell’attivista politica, divulgatrice scientifica e giornalista continuano a essere validi tra le generazioni emergenti, come dimostra ad esempio la recente pubblicazione di Città e libertà, una raccolta di suoi scritti inediti in italiano. Jacobs ha sottolineato la mancanza di spazi verdi, le strade poco sicure e l’assenza di cordialità tra i vicini. Inoltre ha denunciato la superiorità delle auto sui pedoni. Pioniera della critica dell’impianto urbanistico tradizionale, ha dato vita a diversi movimenti regionali e internazionali.La prospettiva anarchica sull’urbanismo si avvicina a quella femminista poiché anch’essa punta a ribaltare l’approccio dall’alto verso il basso come fa Colin Ward in L’educazione incidentale (2018) e nell’Architettura del dissenso (2016). L’obiettivo è riuscire a spostare il potere decisionale in mano a chi il territorio lo abita e lo conosce, contrariamente all’urbanistica convenzionale degli architetti chiusi nei loro uffici. Nell’urbanistica femminista una delle chiavi è considerare le abitanti (donne) del quartiere come massime esperte del loro territorio e quindi offrire loro la possibilità di fare la diagnosi e le proposte di miglioramento dei loro quartieri, considerando fondamentali la prossimità e l’esperienza quotidiana. Il lavoro degli architetti si limiterebbe quindi a fornire gli strumenti tecnici per trasformare queste idee in proposte fattibili a livello costruttivo. Le metodologie partecipative utilizzate da questi collettivi dovrebbero poi fornire le basi per la pianificazione urbana, e diciamo «dovrebbero» perchè nonostante la buona volontà delle amministrazioni, spesso rimane una certa tensione o distanza tra il vicinato coinvolto nel processo partecipativo e i tecnici e i politici che alla fine approvano ai progetti.

Conclusioni

I buoni risultati ottenuti dal collettivo e la sensibilità delle amministrazioni spagnole negli ultimi anni hanno portato Equal Saree a crescere negli anni. L’obiettivo del collettivo è lavorare in gruppo, con rispetto e riconoscimento per il lavoro dell’altro, senza aggressioni, rifiutando le posizioni dominanti e le lotte di potere. Si propongono di riaffermare la posizione femminista con il dialogo e senza gridare.Come frutto degli oltre dieci anni di lavoro, il collettivo propone La Generadora, un corso online ormai alla settima edizione che aspira a condividere la loro esperienza e consolidare ed espandere una linea di pensiero e di pratica innovativa più democratica sulla città, l’urbanistica e il design. Il corso si propone anche di generare nuove forme di produzione della conoscenza, basate sull’orizzontalità, la trasversalità, l’interdisciplinarietà e il lavoro in rete. Allo stesso tempo vuole promuovere un interscambio costante tra la teoria e la pratica, per generare conoscenza applicata e vincolata al territorio e alle realtà sociali.
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Manifesto di Equal Saree

Come intendiamo l’architettura e l’urbanistica femminista?I femminismi hanno come obiettivo smascherare le disuguaglianze sociali, politiche, economiche e giuridiche che soffriamo noi donne e le persone con identità non normate, tenendo in conto la diversità e complessità e decostruendo gli stereotipi e i ruoli di genere perchè tutte le persone si possano sviluppare in libertà e con le stesse opportunità.L’urbanistica è uno strumento chiave per la democratizzazione dell’uso delle città e ha un ruolo fondamentale nel garantire la qualità di vita dei cittadini. Con l’urbanistica e l’architettura femminista cerchiamo, tramite il disegno degli spazi e della pianificazione urbana, di pensare, costruire o rigenerare:- Città diverse: che non perpetuino disuguaglianze di genere, condizione sociale, origine di provenienza, etnia, stato di salute, orientamento sessuale o età, tra le altre. In conclusione, città inclusive che considerino e diano risposte alle necessità della vita quotidiana di tutte le persone.- Città che si prendono cura: che diano uno spazio ai compiti di cura nelll’ambito pubblico per renderli visibili, valorizzarli e creare una responsabilità collettiva.- Città sostenibili: che abbiano rispetto dell’ambiente e delle comunità che le abitano da una prospettiva ambientale, ma anche da economica e sociale.Crediamo necessario dare voce alle persone per individuare gli usi, le necessità, i desideri specifici delle comunità che abitano i diversi territori. Puntiamo sulla partecipazione attiva di chi generalmente rimane escluso dalle decisioni sul territorio che lo circonda come i bambini o gli anziani. Crediamo nel potere dell’educazione, che applicata ai processi collettivi decisionali sugli spazi che abitiamo può diventare uno strumento chiave per la trasformazione sociale.