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È possibile un’organizzazione economica anarchica?

Presentiamo qui la traduzione di un articolo apparso sulla rivista spagnola «Disjuntiva. Crítica de les Ciències Socials», vol. 0, n. 1, luglio 2019. I tre autori, Joaquim Cuevas Casaña, Lina Gálvez Muñoz e Lluís Torró Gil sono ricercatori rispettivamente delle Università di Valencia, Siviglia e Alicante. Il loro lavoro, attraverso un’analisi storica, sostiene due tesi, una generale e una particolare.

A) La tesi generale è che nella Spagna rivoluzionaria del 1936-39, dove vi è stata una trasformazione economica e produttiva guidata dal sindacato anarchico (e socialista), la cooperazione e il fare rete secondo la pratica del mutuo appoggio siano stati mezzi più efficienti rispetto a un’organizzazione gerarchica e autoritaria. Questo è un ulteriore caso che si aggiunge a quelli raccolti da Kropotkin per dimostrare nei fatti che non è vero che le società più efficienti siano quelle segnate dalla lotta per la sopravvivenza e non dalla collaborazione reciproca.Un gruppo sociale che si autoregola secondo principi libertari e quindi senza autorità dominanti è in grado di mettere da parte il principio della competizione meritocratica: «Alfie Khon (1999), infatti, dal punto di vista teorico cerca sia di rivalutare la cooperazione sotto molti punti di vista sia di svalutare la competizione, fattore di infelicità che mina la stima in noi stessi e avvelena tutta la vita sociale, a cominciare dal lavoro e dalla scuola, e che si dimostra controproducente anche dal punto di vista economico» (Candela e Senta 2017: 75). Khon richiama l’analisi antropologica di molte comunità primitive e non (indiane: Inuit, Irochesi, Piedi Neri e Zuñi; africane: Bathonga, Kikuyu e Tangu; messicane delle aree rurali e i Mixtechi; i kibbutz israeliani, gli aborigeni australiani, i norvegesi e i giapponesi). Casaña, Muñoz e Gil dimostrano che questo si è avverato in un altro importante tratto della storia, in un contesto di rivoluzione e di guerra.

B) La tesi particolare risponde alla domanda: v’è «possibilità disuccesso dell’organizzazione economica anarchica?», Gli autorinon pongono una domanda retorica, perché la loro risposta è affermativa ma solo dopo una disamina effettiva del caso di Alcoi. Essiriportano una precisa misura dell’efficienza: la rivoluzione consegnò alla restaurazione un sistema produttivo più «ricco», più «razionale e più efficiente di prima». Questo rende l’esperienza storicadel distretto tessile di Alcoi rilevante, anche perché non abbiamo adisposizione molte altre osservazioni su casi effettivi di sistemi produttivi anarchici di vasta dimensione, dal momento che essi sonostati repressi in breve tempo per mano dello Stato o tramite lo Stato(Candela e Senta 2017). Come, in effetti, è stato anche per Alcoi,ma con più lentezza, grazie alla resistenza dei repubblicani.

A fronte di queste due tesi, Casaña, Muñoz e Gil sollevano alcuneperplessità. In particolare fanno notare che l’anarchismo in questaregione della Spagna: a) ha accettato la collaborazione dei vecchiproprietari nelle fabbriche collettivizzate; b) ha generato un’effettiva organizzazione; c) ha valorizzato il lavoro amministrativo deiburocrati. Gli autori si meravigliano di questi fattori e non li riconoscono come coerenti con le idee anarchiche. Noi, invece, sosteniamo che questi tre punti non sono in contraddizione con l’idealibertaria e che il loro studio dà una conferma della praticabilitàdi tale idea.

a) A proposito della collaborazione con gli imprenditori e i manager appartenenti alla precedente gerarchia capitalistica, richiamiamo una distinzione riguardo al modello di impresa tra il pensiero di Marx e quello di Proudhon. Nell’impresa capitalista “pura” sia il capitale sia il prodotto sono di proprietà dell’imprenditore, che esclude il lavoratore da ogni diritto di proprietà sull’intrapresa comune. Tuttavia, concettualmente, i due diritti possono essere distinti, essendo correlati storicamente ma non connessi giuridicamente.Secondo Marx ciò che caratterizza l’impresa capitalista è che l’imprenditore è il proprietario del capitale (le macchine e i mezzi di produzione), quindi in forza di questa proprietà, anche appartenendo a una classe oziosa, è in grado di imporre un contratto a ogni lavoratore escludendolo così, in cambio di un salario, dalla proprietà del prodotto. Il capitalista è il solo proprietario del prodotto, in tal modo si appropria del pluslavoro di ciascun lavoratore. Questo è il tasso di sfruttamento à la Marx.Secondo Proudhon ciò che caratterizza l’impresa è lo sforzo comune in vista della produzione, quindi dovrebbero essere co-proprietari del prodotto tutti coloro che hanno contribuito a questo risultato. Così in questo modello, passa in secondo piano la proprietà del capitale, la distinzione fra lavoro manuale e organizzativo, mentre è importante la proprietà del prodotto che è di tutti i lavoratori. Fra di loro potrebbero esserci anche i proprietari del capitale, che sarebbero co-proprietari se e solo se contribuissero col loro lavoro, organizzativo e/o manuale, all’ottenimento del prodotto. L’impresa capitalista per Proudhon è quella in cui l’imprenditore esercita una forma di dominio attribuendosi la proprietà esclusiva del prodotto, escludendo i lavoratori. Questo è il «furto» à la Proudhon. Nell’impresa di Marx capitalisti (proprietari) e proletari (senza proprietà) sono due classi strutturalmente divise. Nell’impresa di Proudhon vi è ancora una contrapposizione di classe, ma la ragione divisiva è esclusivamente il dominio di una classe sull’altra che si concretizza anche nella proprietà privata del capitale da parte di una delle due classi. Una conseguenza di questa differenza è che nel modello auspicato da Marx il capitalismo cede le sue armi se perde la proprietà privata del capitale, mentre nel modello desiderato da Proudhon la classe dominante cede le sue armi se perde il suo dominio, e quindi il prodotto diviene di comunità. Entrambi i modelli sono conseguenza di azioni rivoluzionarie che possono eventualmente coincidere se la proprietà del capitale è la causa principale del dominio di classe; ma se il fine non è anarchico – cioè la co-proprietà del prodotto – si può riformare il dominio nello Stato proprietario della produzione. Il decentramento, o meno, del potere nella gestione del prodotto è ciò che contrappone il comunismo anarchico teorizzato da Malatesta e Kropotkin al comunismo autoritario e centralista di tipo bolscevico (Candela 2014). Di conseguenze nella società anarchica, dove non vi sono relazioni di dominio, l’imprenditore che collabora, con il suo lavoro, al prodotto comune diverrebbe – secondo Proudhon – co-proprietario come ogni altro lavoratore, indipendentemente e prescindendo dalla proprietà del capitale. Questa organizzazione è ciò che Casaña, Muñoz e Gil ritrovano storicamente nel distretto di Alcoi, dove i proprietari capitalisti lavoravano nelle stesse fabbriche tessili insieme agli operai rinunciando a posizioni di dominio: «alcuni imprenditori si diedero alla fuga, ma molti di loro rimasero nelle imprese come membri dei comitati tecnici»; analogamente «molti manager rimasero nelle loro fabbriche, pur se collettivizzate, e si impegnarono nel dare consigli e nello svolgere funzioni tecniche». Sempre nella Spagna del 1936 qualcosa di simile è accaduto in agricoltura, dove furono i contadini che si attivarono per provvedere ai raccolti e rimettere in produzione le terre abbandonate (Leval 1952). Migliaia di contadini collettivizzarono le terre, ma «autorizzando quei pochi singoli proprietari desiderosi di mantenere la propria proprietà a farlo, a patto che non sfruttassero nessuno. Spesso questi proprietari finirono comunque per riunirsi alla collettività per goderne i vantaggi» (Jourdan 2022).

b) A proposito del rapporto tra organizzazione e anarchia, tutta una lunga tradizione anarchica ha evidenziato che l’anarchia è «la più alta espressione dell’ordine», per citare Elisée Reclus, perché il processo decisionale è autogestito e quindi realmente partecipato, evitando che la decisione sia imposta dall’alto. L’anarchismo pragmatico (e rispettabile) che questa rivista intende valorizzare e che si rifà al pensiero, tra gli altri, di Ward, Landauer, Buber, Goodman, Read, Comfort, ecc. applica tale principio anche alla produzione, qui e ora, di beni e servizi: «il compito dell’anarchico è dimostrare come le iniziative anarchiche possano dare una risposta soddisfacente ai bisogni cruciali, anche in modo più efficace degli interventi che si basano sull’iniziativa statale o di mercato» (White et al.: 19).

c) A proposito degli impiegati e dei lavoratori della banca, ovvero di quei burocrati chiamati a collaborare all’organizzazione collettivizzata delle fabbriche per il lavoro amministrativo e contabile, essi si dimostrano necessari al buon esito del prodotto comune e proprio per questo sono «chiamati» dal sindacato. Per lo stesso principio anarchico teorizzato da Proudhon (punto a), quello della forza del lavoro comune, non vi è distinzione fra lavoro intellettuale e manuale, non vi sono lavoratori produttivi e improduttivi à la Smith, ma tutti concorrono al risultato con un impegno comune ed efficiente, che non si otterrebbe se mancassero gli uni o gli altri. Il pensiero anarchico non fa distinzione né gradua i lavoratori, anzi sostiene il lavoro totale (Codello 2017).

Ci pare quindi che l’organizzazione descritta da Casaña, Muñoz e Gil sia anarchica, almeno per i tre dubbi che pongono e che abbiamo analizzato. Rimangano però, a nostro avviso, due questioni ancora irrisolte, prima di essere sicuri di una risposta certa riguardo all’efficienza di un’organizzazione economica anarchica.

I) Quanto il successo del tessile di Alcoi è dovuto alla domandadi prodotti tessili forzata della guerra, domanda che ha dissolto, ancor più che risolto, i problemi della destinazione del prodotto e del marketing distributivo? È una questione più volte espressa nell’articolo, a cui non c’è possibile risposta.

II) L’organizzazione descritta nell’articolo consiste in un effettivo autogoverno delle relazioni sociali e personali? L’autogestione anarchica non è originata e diretta da un potere centrale, ma si fonda su un modello di organizzazione sociale che: i) è ispirato a un federalismo che nasce dal basso: ii) è pratica sociale e metodo orizzontale, antiautoritario, antigerarchico che pratica la decentralizzazione e la democratizzazione delle possibilità decisionali; iii) è democrazia diretta, che si applica per frammenti, porzioni più o meno piccole della società, in uno schema di interdipendenza federalista; iv) si estrinseca ponendo l’uomo e la natura al primo posto; v) è pratica quotidiana (Candela e Senta 2017; Candela 2021). Poco sappiamo su come fossero nei fatti le relazioni nel distretto di Alcoi 1936-1939, e questo è un tema su cui i tre ricercatori, che ne hanno le competenze, potrebbero lavorare in una ricerca che completi quella che qui presentiamo.
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Dopo il colpo militare del generale Franco nel luglio 1936, una porzione della Spagna, pressappoco corrispondente alla parte meno industrializzata del paese, fu occupata dalle forze militari di Franco e vi fu istituito un regime fascista. Il resto del paese rimase leale al governo repubblicano democraticamente eletto e fu lì – escluse le province basche – che, mentre si combatteva una guerra civile, scoppiò una rivoluzione sociale condotta dai lavoratori e dai loro sindacati, che innescò un processo rivoluzionario contro la proprietà privata. Nel distretto produttivo di Alcoi i lavoratori presero il controllo delle imprese dei tre principali settori industriali: il tessile, il cartaceo e il metallurgico. Alcuni imprenditori si diedero alla fuga, ma molti di loro rimasero nelle imprese come membri dei comitati tecnici, privati però del loro potere amministrativo, che di fatto passò ai sindacati. Nel settore tessile il sindacato anarchico, oltre ad avere il controllo di un centinaio di imprese familiari, realizzò un processo di razionalizzazione che unificò la produzione di tutte le imprese tessili. Il passo definitivo verso una completa integrazione fu compiuto nel settembre 1936, quando il sindacato confiscò l’Associazione degli imprenditori (d’ora in poi AdI) e unificò l’intera industria come fosse una sola impresa. Sebbene l’ispirazione fosse politica – realizzare la rivoluzione – la collettivizzazione si tinse della giustificazione economica di razionalizzare la produzione e di realizzare un’economia di scala. Impiegati di banca e lavoratori del sindacato furono chiamati a coprire la domanda crescente di lavoro burocratico derivante dall’unificazione, beneficiando di incrementi salariali, migliorando le condizioni del lavoro e quindi generando risparmio. Ad Alcoi, l’unificazione aiutò a risolvere la crisi in cui l’industria tessile spagnola era caduta durante i primi anni Trenta. Infatti, la crisi dell’industria tessile negli anni precedenti la guerra civile, che coincise con la crisi economica internazionale del 1930, furisolta in due modi: da una parte, grazie alla forzata e costante domanda costituita dagli ordini delle coperte e delle uniformi per l’esercito repubblicano; dall’altra, a causa del processo rivoluzionario, che portò alla collettivizzazione e all’unificazione dell’intera industria tessile coordinata dal Sindacato del Textil, anarchico. Entrambe queste circostanze, la domanda forzata e l’organizzazione centralizzata, spiegano la performance economica del sindacato, che superò nel 1939 quella delle imprese indipendenti del 1936. Alla fine della guerra, la Direzione generale dei rimborsi, instaurata dal regime di Franco, realizzò un sistema che consentì ai precedenti proprietari di recuperare le proprietà confiscate, cui si aggiunsero i benefici ottenuti durante la guerra dalla gestione da parte del sindacato anarchico. Al di là del fatto che i precedenti proprietari goderono effettivamente di questi benefici, recuperando le loro proprietà, i risultati conseguiti dall’organizzazione anarchica della produzione non ebbero mai un riconoscimento. Questo fatto può essere collegato a due cause: I) la repressione della classe lavoratrice dopo la vittoria armata di Franco; II) lo sviluppo delle relazioni industriali ad Alcoi, come parte di un processo industriale dove capitale e lavoro erano in conflitto, come normalmente avviene nei periodi di mutamento tecnologico che riguardano il controllo e la distribuzione del reddito. Tutto questo avvenne in un periodo di aumento del costo della vita, iniziato prima della guerra civile, associato a una diminuzione delle vendite e a una scarsità di lavoro disponibile. Questo conflitto risultò molto creativo in termini organizzativi sia per gli impiegati che per gli operai, che svilupparono importanti tendenze associazioniste. Gli operai videro i loro sindacati smantellati dopo la guerra, mentre gli impiegati incrementarono la loro cooperazione, senza però raggiungere una vera integrazione – che invece a volte si era realizzata nei sindacati anarchici durante la guerra – ma continuando a lavorare con l’organizzazione produttiva che caratterizzava i distretti industriali. Questo aumento della cooperazione fra le imprese tessili può essere compreso se inserito nel nuovo contesto industriale, entro, cioè, il regime corporativo di Franco, per il quale le influenze e le relazioni politiche erano più importanti della competizione per garantire il successo produttivo. Come dato di fatto, per le piccole e medie imprese familiari, come quelle tessili ad Alcoi, la cooperazione si dimostrò essere un’utile strategia.Lo studio di un caso singolo come questo solleva alcune questioni generali, che riguardano l’organizzazione economica: il ruolo dell’autorità e della gerarchia versus la cooperazione e il far rete; la distribuzione del reddito fra capitale e lavoro; il ruolo svolto dai mutamenti tecnici e organizzativi. Accanto a questi dovrebbero essere considerati altri aspetti, come l’affidabilità, il superamento del mercato, il mutamento istituzionale e la sopravvivenza delle imprese.

Il caso di Alcoi durante la guerra civile dimostra la possibilità di successo dell’organizzazione economica anarchica? L’organizzazione delle imprese tessili ad Alcoi realizzata dal sindacato anarchico dal 1936 al 1939 rese effettivamente possibile il superamento della precedente crisi produttiva e la copertura della domanda di prodotti tessili generata dalla guerra. La collettivizzazione delle imprese e l’amministrazione da parte dei lavoratori durarono solamente negli anni di guerra fino alla sconfitta del governo repubblicano, nel 1939. Di fatto, non è possibile sapere se l’amministrazione dei lavoratori sarebbe continuata con successo senza lo scenario di guerra e avrebbe potuto mantenersi nel lungo periodo. I lavoratori avevano il know-how tecnico e perfino quello organizzativo, sia per la loro precedente esperienza neicomitati d’impresa, come richiedeva la legge repubblicana della metà del 1930, sia perché fu possibile utilizzare gli impiegati di banca, come già detto. Tuttavia, i lavoratori non sapevano nulla di marketing, che invece è particolarmente importante in un settore altamente competitivo come il tessile. Durante la guerra questo però nonfu un problema, poiché il mercato coincideva con la domanda generata dall’esercito repubblicano. Inoltre, l’obiettivo di realizzare la rivoluzione sociale fu di fatto subordinato a un obiettivo più importante, quello di vincere la guerra. Dunque, tutto ciò costituì una condizione speciale del distretto industriale in quel periodo. Le imprese tessili di Alcoi si adattarono al mutamento del mercato e delle istituzioni attraverso l’adattabilità della loro rete di coordinamento.Infatti, per rispondere alla domanda se l’organizzazione economica anarchica sia stata efficiente e per comprenderne la natura dobbiamo prendere in considerazione sia le caratteristiche del distretto industriale sia il proseguire della guerra civile, entrambe importanti.

1. Il distretto industriale di Alcoi

Prima di descrivere il distretto industriale di Alcoi come un esempio di rete produttiva, in cui datori di lavoro e lavoratori affrontano i cambiamenti associandosi al fine di ottenere incrementi di produttività, è necessario fare riferimento all’evoluzione storica del settore tessile in Spagna e in particolare ad Alcoi, passo fondamentale per comprendere la situazione ereditata dal settore tessile agli inizi della guerra civile e capire le soluzioni adottate e adottabili dalla rivoluzione produttiva anarchica. L’inizio delle attività tessili nella città di Alcoi risale al XV e XVI secolo. Nel 1560 nacque il Gremio de Peraire (la gilda dei tessitori), mentre Acoi era da sempre uno dei più importanti centri tessili della lana in Spagna, dopo Sabadell e la Catalogna. Altri due settori industriali erano importanti nella regione di Alcoi sempre legati al tessile: quello del metallo e della carta; questa differenziazione settoriale, con la prevalenza delle imprese tessili e la localizzazione delle attività secondarie situate vicino ai villaggi, consente di parlare di un vero e proprio distretto industriale (Becattini 1987; Becattini e Rullani 1996).

1.1 Cooperazione

La principale caratteristica del settore tessile di Alcoi era la sua struttura produttiva atomizzata, più tipica della prima fase industriale che della seconda (SUCH 1993). La concentrazione della proprietà fu difficile da realizzare, perché la tipologia delle imprese familiari aveva come priorità la conservazione del controllo familiare piuttosto che l’efficacia produttiva e la realizzazione di benefici economici. Il lavoro familiare sviluppò specifiche relazioni lavorative fra tessitori indipendenti e datori di lavoro, generando guadagni unitari più bassi rispetto ad altre aziende concorrenti. Di fatto, le imprese tessili di Alcoi durante la seconda metà del XIX secolo e la prima metà del XX secolo si specializzarono nella produzione di articoli low cost che richiedevano bassi investimenti. Il tessile di Alcoi non si distingueva per l’introduzione di innovazioni tecnologiche e quindi soffriva di un arretramento tecnologico. Lo stimolo al processo di meccanizzazione corse parallelo all’evoluzione delle lotte e delle conquiste dei lavoratori, che raggiunsero il loro picco negli anni attorno alla rivoluzione del 1868 e alla rivolta dei lavoratori del 1873.Una delle peculiarità del caso di Alcoi è che il costo del lavoro impegnava la maggiore quota del costo totale, rispetto ad altre aziende concorrenti. Questo divenne un grosso problema dopo la prima guerra mondiale, da un lato a causa dell’importante e combattivo movimento sindacale e dall’altro a causa dall’avversione al rischio di imprenditori restii asostenere investimenti innovativi e ad aprirsi a nuovi mercati. Sebbene questa seconda ragione fosse almeno tanto importante quanto la prima, gli imprenditori hanno sempre fatto riferimento alla forza del movimento sindacale e agli alti salari per giustificare la perdita di competitività.La divisione dei mercati e la struttura del settore, le conoscenze degliimprenditori locali, assieme alle minacce esterne furono causa di un sistema scarsamente integrato e favorirono accordi di cooperazione fra le imprese, tramite la nascita dell’AdI. Questa rete di collaborazione può essere classificata secondo la tipologia di Mark Casson, definendola come caratterizzata da legami di fiducia fra compagnie con differenze produttive e diversi livelli tecnici (Casson 1997: 815). Il comportamento cooperativo fra i datori di lavoro è un elemento chiave nello spiegare sia la sopravvivenza secolare delle imprese sia il successo dell’organizzazione produttiva anarchica durante la guerra civile, per gli aspetti che riguardano le relazioni industriali, il mercato e la tecnologia.

1.2 Rete produttiva

L’origine dell’organizzazione degli imprenditori nella città di Alcoi risale al XV e XVI secolo. Fu nel 1560 che nacque la Gilda dei tessitori, più tardi denominata Fabrica de Paños che nel 1731 divenne la Real Fabrica de Paños de Alcoi (RFPA), il fornitore ufficiale dell’esercito reale. Durante il processo di industrializzazione del XIX secolo – tempo in cui l’industria in Alcoi crebbe e venne meccanizzata, divenendo uno dei più competitivi centri industriali della Spagna – il RFPA divenne un’associazione industriale vera e propria. Questa associazione comprendeva la maggiore parte degli imprenditori tessili, consentendo un comportamento cooperativo al fine di risolvere i problemi comuni. Durante il XVIII secolo l’associazione permise di controllare il lavoro specializzato necessario per la standardizzazione della produzione, inoltre il RFPA fu molto attivo come lobby (per esempio a proposito della tassazione) così come nella diffusione delle nuove tecnologie e nella trasformazione produttiva che ebbe luogo fino agli inizi del XIX secolo (Torró 1996). Questo accordo cooperativo si sviluppò ulteriormente negli anni precedenti la guerra civile come reazione alle crisi economiche internazionali e al nuovo contesto creatosi nel 1931 con il governo repubblicano, molto più favorevole del precedente governo alle richieste dei lavoratori.Questi progressi nella cooperazione e nel management collettivo sono essenziali per comprendere il successo anarchico durante la guerra, una volta che il sindacato ebbe preso il controllo dell’AdI nel settembre 1936. Infatti, questo quadro – caratterizzato da una grande tendenza alla cooperazione in una rete di imprese senza concentrazione di proprietà – subì un mutamento radicale quando iniziò la guerra. La rottura istituzionale del 1936-1939 propiziò una nuova esperienza, una collettivizzazione che portò a un’integrazione della proprietà e a un’unificazione dell’amministrazione. Come si vedrà, tutto questo finì con la vittoria del generale Franco, nel 1939. Cionondimeno questa integrazione continuò e aumentò anche nel dopoguerra.

1.3 Relazioni industriali

Nella prima parte del XX secolo nel distretto industriale si verificò un doppio fenomeno. Da un lato, cambiarono la tecnica produttiva e le condizioni del mercato con un effetto negativo specialmente per quei distretti industriali dove le imprese non erano integrate e centralizzate come ad Alcoi. D’altro lato, questa situazione, particolarmente grave durante la prima guerra mondiale e per effetto della crisi internazionale del 1930, era compatibile con un maggiore grado di cooperazione fra i produttori al fine di affrontare i problemi comuni. L’accelerazione nel processo di meccanizzazione fu accompagnata anche da una forte rinascita, agli inizi del XX secolo, del movimento dei lavoratori. Infatti, le relazioni industriali ad Alcoi non furono semplici; alcune caratteristiche erano comuni alle relazioni industriali spagnole, altre invece erano effetto della particolare struttura produttiva di Alcoi: la forte avversione al rischio degli imprenditori e la loro specializzazione in prodotti low cost, dove gli investimenti in innovazioni e tecnologia non erano essenziali. La proclamazione del regime repubblicano nel 1931 segnò un punto di svolta, e la legislazione spagnola del lavoro mutò tanto che prima della fine della guerra civile si registrò un record di accordi collettivi firmati. Il sindacato socialista UGT era stato fondato nel 1888 e il sindacato anarchico CNT nel 1910. Ad Alcoi un importante movimento dei lavoratori si era sviluppato nel XIX secolo e per questo alto livello di mobilitazione i salari – o meglio – il costo del lavoro risultava relativamente più alto rispetto agli altri centri di produzione della lana, come Sabadell in Catalogna. La forza dei sindacati di Alcoi impose la redistribuzione del lavoro in situazioni difficili come nella crisi del 1930, impedendo agli imprenditori di procedere a licenziamenti massivi. In uguale maniera, si consentì ai lavoratori tessili di partecipare ai vantaggi della produttività derivanti dai mutamenti tecnici e organizzativi del lavoro. Se non si considerano tutte queste circostanze, difficilmente si possono comprendere sia l’impulso rivoluzionario alla collettivizzazione sia le sue peculiari caratteristiche locali.

2. Collettivizzazione durante la guerra civile spagnola.Le imprese tessili di Alcoi

L’organizzazione produttiva era differente nelle due parti della Spagna coinvolte nel conflitto dal 1936. In termini generali, l’organizzazione produttiva nel campo leale alla Repubblica fu caratterizzata da collettivizzazioni e dal controllo dei lavoratori delle imprese. Quando i lavoratori tornarono alla loro occupazione dopo i primi giorni di combattimento, trovarono che molti dei proprietari delle imprese erano fuggiti e quindi si fecero carico della produzione nelle fabbriche. Così facendo, realizzarono una rivoluzione, trasformandosi in soldati-produttori il cui scopo era sconfiggere le truppe fasciste. Tuttavia, la collettivizzazione non si affermò in tutti i territori repubblicani, in particolare non nelle Province Basche, dove la rete produttiva restò fondata su relazioni capitaliste, con il controllo rimasto nelle mani dei datori di lavoro. In più, molte delle imprese collettivizzate diventarono proprietà dello stato. In ogni caso, le industrie collettivizzate mutarono la loro produzione per coprire la domanda indotta dalla guerra, e dunque l’industria delle scarpe produsse scarponi per l’esercito, l’industria dei giocattoli si trasformò per produrre coltelli, cartucce, cappelli e tute per la milizia, e l’industria del legno produsse scatole per le munizioni o calci per i fucili (Gálvez 2006). Nel campo dei ribelli, l’industria fu militarizzata e, quando la legislazione del lavoro della Repubblica fu smantellata, relazioni di lavoro asimmetriche presero il sopravvento in tutti i settori, cosicché i lavoratori non ebbero possibilità di reclamare i loro diritti o avere accesso ad accordi collettivi. Questo significò maggiore intensità nell’impiego del fattore lavoro, il che favorì a volte l’aumento della produzione di guerra. L’esempio più estremo di questa sottomissione dei lavoratori furono le condizioni di lavoro forzato dei battaglioni dei prigionieri.Al fine di comprendere perché l’organizzazione produttiva anarchica ebbe successo nelle imprese tessili di Alcoi durante la guerra civile, due aspetti devono essere presi in considerazione: I) il lascito dell’AdI, come già detto: II) la guerra stessa. La guerrafu importante per due differenti motivi. La rivoluzione socialeanarchica e socialista dei sindacati divenne in Spagna in molti casi il secondo fine dopo quello di vincere la guerra; dunquele industrie dovevano essere bene organizzate per raggiungerequesto scopo. La partecipazione dell’Unione Sovietica dal latorepubblicano lavorò in questa direzione, sebbene in molte località distrusse le precedenti e più spontanee organizzazioni socialiste e anarchiche, riducendo così gli incentivi per i lavoratori. Alcoi rimase nelle mani dei sindacati anarchici non senzaconflitto con il governo repubblicano. La domanda forzata dalla guerra fu essenziale per spiegare il successo economico, mala conoscenza del mercato e delle relazioni con la clientela erapatrimonio dei precedenti proprietari e molto difficilmente sarebbe stata acquisita dai sindacati. Anche se l’intera produzionetessile di Alcoi era richiesta dall’esercito repubblicano, risultò unvantaggio dove i manager della collettivizzazione lavorarono duramente con le autorità repubblicane per mantenere i canali direperimento delle materie prime e di consegna.

2.1 Guerra, rivoluzione sociale e processo di collettivizzazione

Una buona organizzazione è basilare per far funzionare la produzione industriale in un contesto di guerra. Inoltre, l’effetto negativo di un cattivo management è tanto maggiore quanto più complesse sono le imprese, a livello tecnico e amministrativo. La riorganizzazione industriale dei sindacati socialista e anarchico fu diversa. Le differenze organizzative nella collettivizzazione sono spiegate dalle diverse ideologie che le sostenevano, dal grado di concentrazione produttiva del settore e soprattutto dal fatto che il sindacato anarchico fu parte di un movimento spontaneo che comportò tentativi ed esperimenti legittimati solo più tardi e gradualmente dal governo.Ci furono tre tipi basilari di gestione delle imprese amministrate dai sindacati:

  1. il controllo dei lavoratori era effettuato da un comitato, dove tutte le operazioni nell’impresa erano regolate senza bisogno di espellere i proprietari d’impresa; questo tipo fu molto comune nelle piccole imprese commerciali;

  2. l’esproprio dell’impresa, per donazione o per operazioni di compra-vendita, che trasferiva i diritti ai lavoratori mentre il proprietario rimaneva nell’impresa come lavoratore tecnico o amministrativo;

  3. la socializzazione o collettivizzazione di tutti i beni (stabilimenti, macchinari, materie prime, conti bancari ecc.) che passarono nelle mani del sindacato, anche unificando l’intera industria di una specifica città. La collettivizzazione significò che il valore aggiunto, dedotte le imposte, gli interessi e le rendite pagate, rimase ai lavoratori come salari e sotto forma di benefici diversi. In alcuni casi la produzione fu razionalizzata per conseguire economie di scala. Le officine e le imprese considerate non produttive furono smantellate, i loro macchinari trasferiti a imprese economicamente solventi e queste furono poste sotto il controllo del comitato amministrativo che fu responsabile di fronte al sindacato, possedendo tutti gli attributi tipici del precedente sistema capitalistico. Quest’ultima gestione sindacale fu quella adottata dall’industria tessile di Alcoi per far fronte alla crisi e coprire la domanda di guerra. Certamente, l’industria di Alcoi soffrì della crisi del 1930. È alla luce di questa situazione che deve essere compresa l’unificazione dell’industria della carta nel 1934 e quella dell’industriametallurgica agli inizi della guerra. Durante il conflitto, il sindacato interpretò la crisi pre-guerra nell’industria tessile come un boicottaggio degli imprenditori contro l’aumento del potere sindacale in seguito alla vittoria del governo della sinistra nelle elezioni del febbraio 1936: la produzione tessile passò dai 15,2 milioni di pesetas nel periodo del governo della destra a 10,1 milioni nel periodo del governo della sinistra, per tornare a 20,1 milioni nel periodo rivoluzionario (Ata 1937). È evidente che la – forzata – domanda causata dalla guerra fu una componente essenziale nel motivare l’aumento della produzione, ma altrettanto lo fu la strategia applicata dai sindacati nell’organizzare l’economia di produzione nel settembre 1936.Una parte della storiografia sulla guerra civile (Gálvez 2006c) ha rilevato come le cause della sconfitta dei repubblicani furono la mancanza di un’organizzazione produttiva, il difetto del capitale umano e l’incremento dei costi in conseguenza degli alti salari dovuti alla collettivizzazione e al controllo delle imprese da parte dei lavoratori. L’incremento dei salari e altre specifiche misure, come la creazione di un’assicurazione medica, furono le più importanti novità nell’estate 1936, quando venne avviata la collettivizzazione delle fabbriche. Vi fu, infatti, un aumento salariale del 20% dopo che i lavoratori presero il controllo delle imprese anche se questo non sembra sia stato un grande problema commerciale perché la domanda generata dalla guerra era alta e ci fu un’inflazione generale durante il periodo di guerra. Ciò che costituì un vero peso per le imprese collettivizzate fu la decisione di pagare tutti i salari anche in caso di interruzione della produzione. Tuttavia, ad Alcoi la dinamica della domanda generata dalla guerra evitò la disoccupazione e il pagamento delle relative indennità. Non sembra che le assicurazioni sociali mediche, di pensionamento o di vedovanza, così come la creazione di cooperative di consumo e un istituto politecnico che si occupava dell’apprendimento tecnico – spese finanziate utilizzando i profitti non più accaparrati dagli imprenditori – fossero un peso per gli equilibri economici delle imprese unificate.L’idea che la carenza di capitale umano fosse una caratteristica del campo repubblicano e fosse di ostacolo per la buona amministrazione delle imprese collettivizzate deve essere collegata al fatto che molti dei manager e dei proprietari scapparono, furono imprigionati o uccisi, specie quelli collegati alle imprese maggiori e quelli il cui nome era associato alle difficili relazioni lavorative che si erano instaurate nelle loro imprese. Cionondimeno, il fatto che manager e proprietari fossero fuggiti unendosi alle truppe di Franco e portandosi via il loro know-how amministrativo, il loro capitale umano e la loro rete produttiva non è stato il principale problema che la collettivizzazione dovette affrontare. Due ragioni lo dimostrano: I) molti uomini d’affari, tecnici e supervisori rimasero nella loro funzione produttiva. Ad Alcoi questa fu la maggioranza poiché molti proprietari delle imprese piccole e medie rimasero nelle loro fabbriche collaborando, sebbene vi siano state anche azioni di sabotaggio di alcuni imprenditori (Quilis 1992); II) il fatto che prima della guerra i lavoratori avessero partecipato ai comitati di fabbrica fece sì che molti di loro avessero familiarità con le strategie delle imprese in cui lavoravano e avessero sviluppato il senso della concorrenza di mercato. I comitati dei lavoratori avevano, quindi, conoscenza dei libri contabili, del problema dell’assegnazione dei compiti, del controllo e del coordinamento con le altre imprese all’interno dell’industria. Per mezzo di questi comitati i sindacati coordinarono l’intera industria, raggiunsero una razionalizzazione attraverso la realizzazione di economie di scala, superarono i problemi di un’economia di guerra. Quando ai lavoratori mancavano delle conoscenze per gestire l’amministrazione e la contabilità, chiesero aiuto agli impiegati di banca, che collaborarono; questo è proprio quello che accadde ad Alcoi.

2.2 L’organizzazione produttiva anarchicanelle imprese tessili dell’Alcoi

L’organizzazione implementata dagli anarchici durante la guerra fu un elemento chiave per interpretare la buona performance delle differenti imprese che in quel periodo si integrarono. Il sindacato il 14 settembre dichiarò confiscata l’AdI, e furono poche le imprese che cercarono di resistere a questo processo. In questo caso, chi intratteneva con le imprese relazioni commerciali si dimostrò totalmente riluttante nel far fronte alle proprie obbligazioni e il sindacato ricevette comunicazioni di questa loro decisione, che così si palesò con chiarezza (Ata 1936).Con la confisca delle fabbriche, i servizi furono centralizzati, come invece non erano all’inizio della guerra, e così rimasero anche dopo la vittoria di Franco. I flussi di cassa per le confische e il pagamento dei debiti furono il vero problema. Tramite i fondi ottenuti dalla confisca dei macchinari e delle proprietà, stimati in circa 80 milioni di pesetas, e i 1.050.000 pesetas di prestiti ottenuti dal Comitato rivoluzionario, l’industria tessile di Alcoi e i sindacati di fabbrica furono in grado di iniziare a pagare tutti i precedenti debiti, evitare la bancarotta e la chiusura delle imprese, usando razionalmente le risorse in un processo decisionale centralizzato, comprensivo dell’acquisto delle materie prime, della gestione degli ordini e della consegna del prodotto. In ogni caso, l’unificazione si dimostrò essere la scelta migliore per il superamento della crisi. La confisca dell’AdI fu il primo ed essenziale gradino in questo processo di unificazione dell’industria: «Noi procediamo alla totale confisca dell’Associazione, perché è chiaro che, dopo avere confiscato le fabbriche, dobbiamo naturalmente procedere nello stesso tempo alla confisca dell’Associazione» (Ata 1936). Il Sindacato tessile di Alcoi sviluppò una rivoluzione organizzativa che si focalizzò su due punti: informazione e struttura burocratica. Le linee guida per raccogliere i flussi di informazioni furono parzialmente imposte dai capi del sindacato (Piqué 1937). Per questo, fu istituito un inventario completo delle imprese, datato al momento della collettivizzazione, e un libro di prima nota giornaliero delle operazioni commerciali; ciò si rese necessario per rendere legali le confische di fronte alle autorità locali (Quilis 1992). Infatti il sindacato non procedeva prima che i seguenti dati fossero raccolti dalle imprese: I) il valore totale dei beni, II) il numero di unità di ciascun articolo prodotto, III) le settimane operative e le relative risorse, IV) l’ammontare dei crediti imputabili ad aree isolate nei collegamenti e a quelle insolvibili a causa della guerra, V) i crediti maturati, VI) e in generale le difficoltà, i problemi nella gestione degli stock e le relative soluzioni proposte. Molte imprese chiesero la collaborazione delle banche nell’allungare i tempi della restituzione dei debiti e nella moderazione degli interessi. Il sindacato riceveva tutte queste informazioni che conservava trascritte in un libro generale. Questo sistema informativo fu la base della razionalizzazione industriale e dell’unificazione degli ordini, delle vendite e dei crediti.Il flusso delle informazioni rese fondamentale l’aumento della burocrazia al fine di un efficiente management e dell’organizzazione. Entrambe queste cose accaddero ad Alcoi durante la collettivizzazione con l’unificazione dell’intera industria e il controllo imposto sul settore, sebbene questa idea fosse completamente l’opposto delle idee ispiratrici del programma anarchico. Una contraddizione che gli anarchici vollero giustificare: «la realtà ci impone di improvvisare una presa di responsabilità nel controllo del tessile e delle fabbriche industriali, in queste serie circostanze dobbiamo introdurre in fretta queste innovazioni» (Ata 1938). La spiegazione fornita dal rapporto del sindacato del 1937 mostra come un’organizzazione centralizzata, il controllo di tutta la produzione, dei movimenti finanziari e degli aspetti commerciali fossero essenziali.

Dunque l’unificazione totale delle 129 imprese collettivizzate dimostra da un lato che i leader del sindacato possedevano abbastanza conoscenze sull’amministrazione della produzione da comprendere che la più efficiente opzione manageriale fosse l’accentramento delle decisioni e, dall’altro, che erano in grado di imporre i loro criteri al resto del sindacato. Quest’ultimo adottò una struttura decisionale moderna in cui la proprietà della fabbrica non determinava come la produzione dovesse essere organizzata, ma era piuttosto la forza lavoro, attraverso le indicazioni del sindacato, a partecipare direttamente all’amministrazione dell’impresa. La struttura organizzativa si componeva di due parti principali: una superiore, con i compiti di regolare le condizioni lavorative nelle fabbriche e di coordinare l’assegnazione del lavoro nell’industria unificata; una inferiore, che era responsabile di organizzare gli aspetti relativi al processo manifatturiero e di commercializzare il prodotto finito. Il nucleo centrale, cuore della collettivizzazione, fu la Commissione tecnica del controllo tessile (una sorta di comitato esecutivo) composta dai leader e dallo staff tecnico del sindacato; essa prendeva le decisioni, appoggiandosi ai diversi organi con cui aveva relazioni dirette. Questi erano sia il Comitato direttivo del sindacato, per le questioni che avevano a che fare con l’organizzazione del lavoro, sia i vari Dipartimenti in cui le funzioni tecniche della tessitura erano divise: vendita, acquisti, produzione, segreteria ecc.Quindi i lavoratori erano organizzati dal sindacato seguendo le indicazioni della Commissione tecnica, che assegnava i lavoratori alle fabbriche in base alle necessità dell’industria unificata. Per far questo, e a dispetto del fatto che i lavoratori generalmente fossero occupati nella stessa piazza, i lavoratori considerati qualificati potevano essere riallocati in altre fabbriche o in altri compiti, in accordo con le necessità generali o in base alla domanda proveniente dalla guerra. Ogni fabbrica aveva un suo Comitato di fabbrica (composto dai lavoratori delegati) che eseguiva gli ordini della Commissione tecnica, mentre organizzava gli orari, risolveva i conflitti fra i lavoratori e trasmetteva alla Commissione tecnica suggerimenti per migliorare o intensificare la produzione, attraverso il Comitato direttivo del sindacato. Inoltre, ogni fabbrica aveva un direttore nominato dalla Commissione tecnica le cui funzioni erano essenzialmente di collegamento fra Commissione tecnica (l’effettivo capo dell’industria) e il Comitati di fabbrica (i lavoratori). I direttori di fabbrica – che in molti casi erano i precedenti proprietari forzati a collaborare con le collettivizzazioni e in altri invece erano i membri del sindacato con maggiore esperienza nel settore – si dimostrarono essenziali nel coordinare i ritmi delle attività di ogni fabbrica: infatti a volte il processo produttivo doveva fermarsi (per difetto di materie prime, mancanza di energia ecc.) e un’agile organizzazione era richiesta in coordinamento con la Commissione tecnica. A proposito della Commissione tecnica, la grande complessità dei compiti che doveva sviluppare suggerì di dividerla in dipartimenti com’è nelle grandi imprese manifatturiere. Il più energico e attivo dipartimento fu quello della manifattura accanto al quale c’erano quelli degli acquisti, delle vendite e del tesoro. Il Dipartimento della manifattura aveva il compito di progettare la produzione manifatturiera giorno per giorno, di regolare e organizzare le giornate lavorative in accordo con la disponibilità delle risorse. Inoltre, ordinava il trasferimento della manodopera fra le fabbriche, distribuiva le materie prime, ordinava l’arresto di quelle sezioni in cui le condizioni della domanda lo richiedevano, organizzava i trasferimenti dei macchinari fra le diverse fabbriche cercando di aumentarne la produttività, e infine predisponeva le ispezioni nelle fabbriche al fine di verificare che l’intero processo di collettivizzazione corrispondesse al programma stabilito. Mentre il Dipartimento degli acquisti e il Dipartimento delle vendite avevano rispettivamente il compito di risolvere i problemi del reperimento delle materie prime e dell’invio dei prodotti finiti alle loro destinazioni. Questo era un compito essenziale ma non sempre semplice da svolgere, a causa sia dei problemi di comunicazione tipici di un paese in guerra, sia delle condizioni imposte dalle banche per amministrare i conti e mantenerli in ordine, effettuare i pagamenti regolarmente ecc.A proposito dell’aumento della burocrazia nell’amministrazione, questo fu un processo necessario causato dall’incremento della scala di produzione nell’industria unificata. Nel dicembre 1936 il numero degli occupati dell’industria tessile collettivizzata eradi circa 7.172 persone, di cui 6.452 lavoratori manuali, 72 direttori, 316 caposquadra, 55 tecnici, 276 impiegati e magazzinieri. L’alto numero degli occupati spiega la rapida adozione di uno statuto dei lavoratori, delle regole sui salari e sulle condizioni del lavoro, quindi un regolamento sulle assicurazioni e sul pensionamento. Le retribuzioni corrispondevano alle differenti professioni e ai diversi giorni di lavoro. L’unificazione non sarebbe stata possibile senza i lavoratori amministrativi, impiegati nell’organizzazione manageriale: l’aumento dei lavoratori negli uffici fu il vero mutamento organizzativo (Ata 1937).In questa nuova struttura, ciascuna fabbrica collettivizzata avrebbe potuto tenere il precedente sistema contabile per coordinarsi con l’ufficio centrale, ma questo risultò impossibile a causa dell’impossibilità di integrare le molteplici procedure.Pur con la mancanza di fonti di archivio, è possibile osservare un aumento nelle vendite, specialmente dopo la conquista nell’autunno 1938 del più importante centro industriale tessile in Catalogna. Anche il saldo bancario realizzò un importante aumento, che – come vedremo meglio – permise ai precedenti proprietari di recuperare le loro imprese e i loro risparmi, ma anche di godere dei benefici raggiunti con l’unificazione e la collettivizzazione delle imprese durante la guerra. Come dato di fatto, non sembra che nel caso di Alcoi né l’organizzazione, né la mancanza di capitale umano, né gli alti salari siano stati un problema. Le più rilevanti preoccupazioni nella collettivizzazione dell’industria in campo repubblicano furono la disponibilità di materie prime e dei macchinari per far ripartire le fabbriche, unitamente ai problemi degli stock e dei crediti dei clienti prima della guerra ora situati nei territori controllati da Franco.I peggiori risultati delle imprese situate a Madrid – se comparate con quelle in Catalogna e a Valencia – possono essere riferiti a una collettivizzazione più limitata e a un maggiore isolamento del mercato (Catalán 2006). Nei Paesi Baschi non vi furono collettivizzazioni e fu la regione in area repubblicana il cui livello di produzione industriale realizzò il maggiore incremento quando le truppe di Franco entrarono in questi territori. Che l’organizzazione centralizzata di Alcoi nel periodo in cui il sindacato amministrò l’industria tessile sia stata invece un successo è dimostrato dal fatto che quando la guerra finì i manager recuperarono i loro beni senza danno o perdite, avvantaggiandosi dei servizi centralizzati e dei processi produttivi realizzati dal sindacato.

2.3 L’eredità della guerra e la rete produttiva di Alcoi

Si può definire un successo? I repubblicani – che difendevano esplicitamente una differente organizzazione della società e un sistema produttivo che favoriva il lavoro – persero la guerra. L’organizzazione produttiva durante la guerra fu l’aspetto chiave che consentì il buon risultato economico. La storiografia sulla guerra civile ha sempre messo in rilievo la migliore organizzazione economica di Franco, in termini sia militari sia produttivi, sistematicamente fondati sulla disciplina. Tuttavia, altre sono le ragioni che spiegano la sconfitta repubblicana, come l’isolamento internazionale del governo repubblicano e le dispute interne. Molte collettivizzazioni furono un insuccesso, ma non devono essere valutate indipendentemente dall’evoluzione delle armate repubblicane, e in generale dalla particolarità dei territori repubblicani. Come detto nell’introduzione, i territori che rimasero leali al governo repubblicano erano i più industrializzati del paese. Negli anni Trenta la Spagna aveva un mercato interno relativamente integrato con alcune aree specializzate nel settore industriale e altre fondate sulla produzione primaria. Mentre la produzione alimentare fu sempre alimentata dalla domanda durante la guerra, questo non fu il caso di molti prodotti industriali, specialmente i beni di consumo. Tuttavia, molte di queste industrie trasformarono le loro produzioni come risposta alla domanda della guerra. Inoltre, la carenza della domanda di molti prodotti tradizionali si affiancò ai problemi legati alla ricerca delle materie prime, a volte molto difficili da reperire a causa dell’isolamento internazionale del governo repubblicano. Nel caso di Alcoi, le migliori prove del successo organizzativo nel tessile sono due: I) i precedenti proprietari non solo recuperarono le loro proprietà senza registrare perdite, ma arrivarono ad avvantaggiarsi dei benefici dalla unificazione e collettivizzazione realizzate durante la guerra; II) il grado di integrazione della rete produttiva aumentò rispetto agli anni precedenti la guerra. Tuttavia, questo secondo risultato deve essere considerato non solo un’eredità dell’organizzazione di guerra, che realizzò il maggior grado di cooperazione e integrazione proprietaria di sempre, ma anche la conseguenza del tradizionale comportamento cooperativo all’interno del distretto industriale e – come vedremo – delle strategie di reazione imprenditoriale al nuovo contesto stabilito da Franco. Infatti, quando la guerra finì, nel 1939, l’AdI dell’industria e delle fabbriche tessili di Alcoi riprese il controllo della produzione e iniziò un progetto di separazione delle imprese associate. Ripreso il controllo delle fabbriche, i manager diedero la priorità al recupero dei conti bancari precedentemente confiscati; mentre l’AdI giocava un ruolo rilevante nella difesa degli interessi degli associati, in particolare quelli delle società tessili. L’atto amministrativo del 7 dicembre 1939 restituì ai precedenti proprietari il denaro corrispondente ai loro precedenti conti bancari, imputandolo a ogni impresa, aumentato di ciò che il sindacato aveva raccolto nelle diverse banche. Problemi particolari sorsero dal conto aperto alla filiale della banca di Spagna a Barcellona, il cui titolare era la Delegazione commerciale dell’industria tessile e delle fabbriche del sindacato di Alcoi e che Antonio Matarredona Pascual, come presidente dell’AdI dell’industria e dellefabbriche di Alcoi, reclamò nel luglio 1940. L’esistenza di questo deposito straordinario e il suo ammontare sono una precisa dimostrazione dei benefici conseguiti durante i due anni e mezzo di amministrazione sindacale. L’AdI fu chiara nel motivare la richiesta di questi fondi. Nella loro visione, non vi fu alcuna innovazione nell’amministrazione del sindacato e nessuna reale innovazione e quindi non c’era motivo che i vecchi e nuovi proprietari non avessero un diritto sui profitti realizzati (Ata 1941). Il messaggio lanciato dalle forze vittoriose nel momento in cui ripresero il controllo fu chiaro, e molto meno rispettoso di quello che il sindacato aveva mandato ai datori di lavoro. Altrettanto rilevante è il mancato riconoscimento da parte degli imprenditori dell’innovazione apportata dalla nuova forma organizzativa realizzata dai sindacati.Oltre agli sforzi nel recuperare i fondi bancari, l’AdI dovette adattarsi ai mutamenti economici introdotti dal regime di Franco. Il nuovo sistema legale ebbe effetto immediato su tutte le associazioni imprenditoriali, perché il sistema corporativo forzò la loro integrazione nella struttura dei sindacati di Franco. Ad Alcoi l’AdI adottò un rilevante mutamento non solo nella denominazione ma anche nella struttura, al fine di aggirare il diretto controllo amministrativo di Franco: nel 1940 fu costituita la Textil Alcoyana s.a. (Terol 2000). Le relazioni sociali dei manager si estesero alla pubblica amministrazione e questo favorì l’intera rete, specialmente nei più alti livelli d’integrazione. Fu in questo modo che si ottennero le risoluzioni che favorirono il recupero delle attività finanziarie delle imprese collettivizzate. La nuova associazione fu costituita in forma di società per azioni, i cui soci erano gli stessi imprenditori, e con questa struttura fu possibile, nella seguente decade, adeguarsi meglio ai cambiamenti indotti dal nuovo regime politico. Infatti, questa forma societaria corrispose agli interessi degli imprenditori di avere una soluzione istituzionale che mantenesse un’integrazione nella cooperazione produttiva senza integrazione proprietaria delle imprese.Il distretto industriale di Alcoi aveva una struttura imprenditoriale atomizzata, con grandi differenze fra le imprese – in dimensione, specializzazione, integrazione verticale ecc. – e con una forte caratterizzazione personale basata sulla continuità generazionale, essendo quasi tutte imprese familiari. Questa situazione ostacolava l’integrazione proprietaria valutata come molto costosa – ovviamente il sindacato non tenne conto di questo fatto – anche per la lunga e positiva esperienza dei datori di lavoro. Il grado di complessità ed efficienza che l’AdI avevaraggiunto negli anni precedenti la guerra, durante gli anni Trenta, fu assunto come modello per superare la traumatica esperienza di recuperare i conti bancari e i fondi bloccati immediatamente d’autorità da parte di Franco. L’azione dell’AdI, quindi, fu cruciale nel condurre con successo le negoziazioni. Questa esperienza diede vigore alle organizzazioni impegnate nel difendere gli interessi cooperativi degli uomini d’affari.

Il fine principale della Textil Alcoyana fu inizialmente solo quello dell’organizzazione del settore, assumendo quelle funzioni nelle quali aveva maggiore esperienza, e quindi di offrire servizi ai soci, specialmente quelli inerenti alla legislazione sul lavoro e i rapporti con la pubblica amministrazione, come si legge nell’art. 2 del suo statuto. A proposito della sua struttura e del suo finanziamento, l’associazione seguì gli schemi esistenti prima della guerra. Da una parte, la società fu finanziata con i contributi dei soci e, poiché senza scopo di lucro, non aveva la responsabilità di distribuire dividendi. D’altra parte, essendo costituita come società a responsabilità limitata, essa sviluppò una complessa struttura organizzativa, che si adattò negli anni alla necessità delle imprese associate, ottenendo un elevato grado di coordinamento simile a quello degli anni di guerra. Nella prima riunione sociale del 1941 si crearono commissioni per l’acquisto delle materie prime per gli associati, in accordo con il sistema economico delle quote che caratterizzò le prime due decadi del periodo franchista. In termini generali, questo organo rappresentativo degli imprenditori rafforzò il meccanismo di fiducia reciproca fra i soci del tessile, specialmente considerando le difficoltà nel momento in cui la produzione doveva riprendere: restrizioni nelle forniture (lana, elettricità, oli ecc.), difficoltà nelle comunicazioni, disequilibrio nei flussi di cassa, mutamento radicale della struttura legale, ecc. Gli scopi principali della Textil Alcoyana durante il periodo autarchico, cioè fino alla metà degli anni Cinquanta, furono due: superare gli ostacoli incontrati nella produzione industriale e collaborare con la pubblica amministrazione in tema di lavoro e di interpretazione delle leggi. Cionondimeno, il fatto che gli imprenditori mantenessero le funzioni centralizzate – come il sindacato aveva fatto in precedenza – dimostra un certo riconoscimento del lavoro realizzato dal sindacato, sebbene questo riconoscimento non sia manifesto nei documenti dell’associazione, nonostante il recente sblocco del contenzioso. In questo contesto, possiamo portare solo una testimonianza favorevole, che si legge in un’intervista resa a un leader del sindacato: «quello che avete fatto è molto importante, se noi abbiamo continuato in quella linea» (Moltó 1986). D’altro canto, è comunque chiaro che il sindacato beneficiò del modello di produzione dei precedenti proprietari e della domanda di tessuti forzata dalla guerra, ma il successo realizzato non sarebbe stato possibile senza l’organizzazione e senza l’aumento degli impiegati amministrativi.

Conclusioni

In questo lavoro abbiamo tentato di comprendere sia lo sviluppo di un’economia senza un’organizzazione capitalistica sia il ruolo di una produzione in rete. Infatti, durante gli anni di collettivizzazione mutarono la proprietà delle imprese, le funzioni dei manager, le retribuzioni, le dimensioni delle imprese, unificate per creare una sola grande impresa.Al fine di comprendere i modi con cui l’organizzazione economica anarchica risultò di successo nell’industria tessile di Alcoi durante la guerra civile, questo lavoro ha prestato attenzione a due aspetti: I) le particolari condizioni che si sono verificate nel distretto industriale, principalmente per l’eredità lasciata dall’AdI, le cui funzioni si erano già sviluppate collettivamente prima della guerra e prima del processo di collettivizzazione; II) l’effetto economico della guerra stessa.La guerra fu importante da due punti di vista. Da un lato, perché la rivoluzione sociale che il sindacato anarchico e il sindacato socialista vollero realizzare in Spagna divenne in qualche modo un obiettivo secondario rispetto a quello di vincere la guerra. Questo significa che i sindacati dovevano essere ben organizzati per raggiungere l’obiettivo della vittoria.Questo caso dimostra che i due obiettivi, produrre e vincere, non furono incompatibili. Il progetto organizzativo e l’amministrazione del processo di collettivizzazione sono un esempio di come la socializzazione delle proprietà e (almeno parzialmente) il processo di democratizzazione diretta delle decisioni non abbiano impedito razionalità ed efficienza. D’altro canto, il più importante aspetto economico della guerra fu la domanda forzata di prodotti tessili, essenziale per conseguire il successo.A proposito della collettivizzazione durante la guerra, questo lavoro dimostra le due principali caratteristiche dell’intervento sindacale, entrambe rivolte a una reale rivoluzione organizzativa della rete imprenditoriale: il flusso delle informazioni e il processo di burocratizzazione. Cioè ad Alcoi, i profitti realizzati durante la guerra non si realizzarono solo a causa dell’esistenza di un mercato forzato, ma anche grazie all’efficienza dell’organizzazione produttiva del sindacato. Questo non è un caso generale, perché non tutte le collettivizzazioni in Spagna diedero un profitto. Tutte le imprese collettivizzate come il resto delle imprese in area repubblicana dovettero far fronte agli stessi problemi di reperimento delle materie prime e dell’energia, ma le difficoltà che provenivano dalla disorganizzazione e dalla scarsità di capitale umano si verificarono solamente in determinate aziende. Ad Alcoi la scarsità di capitale umano non fu un problema né lo furono le difficoltà organizzative. Infatti qui molti manager rimasero nelle loro fabbriche, pur se collettivizzate, e si impegnarono nel dare consigli e nello svolgere funzioni tecniche. D’altro canto, vi fu un importante numero di lavoratori che possedevano un’ampia conoscenza industriale e tecnica grazie alla loro partecipazione ai comitati di fabbrica negli anni precedenti la guerra. Fu, infine, la collaborazione con gli impiegati delle banche nelle funzioni burocratiche e di contabilità che consentì di realizzare con successo la centralizzazione produttiva e di aumentare la struttura burocratica necessaria. Proprio l’aumento del numero dei lavoratori amministrativi dimostra il cambiamento dell’organizzazione. In più, bisogna ricordare che i lavoratori in quel periodo erano soldati nella produzione, quindi non solo i capifamiglia, ma tutti stavano facendo la rivoluzione, e pressoché tutti e tutte vollero collaborare alla ricerca di una vittoria repubblicana.La struttura economica esemplare realizzata dal sindacato dimostra l’alto grado di conoscenza nell’amministrazione degli affari posseduta da chi sostenne il processo. Questo successo chiaramente influenzò la decisione degli imprenditori di mantenere e anzi allargare la struttura istituzionale ereditata dalla vecchia associazione industriale delle imprese e delle fabbriche tessili di Alcoi. Non è difficile, infatti, concepire lo sviluppo dei servizi e delle funzioni nella rete produttiva di Alcoi come il risultato di quell’esperienza di collettivizzazione, almeno in parte. Fu certamente un’esperienza di successo anomala per il contesto economico particolare e per un periodo così breve, tuttavia dimostra che non esiste un rapporto meccanico fra le forme di proprietà e le strutture amministrative. La proprietà collettiva in mano ai lavoratori può essere, in determinate situazioni, tanto efficiente quanto la proprietà privata o, come nel caso presentato, perfino più efficiente. In questo caso, la forte tradizione organizzativa e l’alta politicizzazione della classe dei lavoratori di Alcoi consente di capire sia i risultati della collettivizzazione che l’efficienza del progetto e l’efficacia del management. Probabilmente, non abbiamo descritto un’organizzazione anarchica in senso ideale stretto, ma è indubitabile che i lavoratori abbiano dimostrato la loro capacità di realizzare un’amministrazione economica efficiente e funzionale.