Scuola di montagna
Vado spesso nelle scuole a parlare dei libri che scrivo, invitato dagli insegnanti. Incontrando i ragazzi e le ragazze, e ascoltando i loro interventi, non ne ho affatto l’impressione di un pubblico annoiato: anzi sono tra i lettori più acuti, e quelli che mi fanno le domande più difficili. A differenza di tanti adulti, cercano ancora nei libri delle chiavi di comprensione del mondo. Hanno antenne sensibili al loro tempo, e in questi anni sono sempre più allarmati dalla crisi ambientale. Io nei libri racconto storie della montagna contemporanea, con uomini, donne, animali, alberi, torrenti e ghiacciai, con le cose che stanno succedendo in montagna ora, e loro ci trovano notizie da quella crisi. I cambiamenti non sono solo verso il peggio, questo ci tengo a raccontarglielo. È vero che i ghiacciai scompaiono, la neve è scarsa e l’acqua sempre più rara e preziosa, ma intanto sono avanzati i boschi, per esempio. È tornato il lupo e la fauna selvatica sta meglio di un tempo, almeno in Italia. Con il lupo è arrivato anche un altro genere di abitante: persone che, con pochi anni più di loro, scelgono la montagna come luogo in cui vivere, dopo che tanti di quelli che ci erano nati sono andati via. Racconto che per alcuni di noi quello è un luogo di libertà, dove c’è più spazio, conta un po’ meno il denaro, e possiamo vivere nel modo che ci piace – così in questi incontri riesco a infilare anche un po’ di anarchia! Le ore volano e ogni tanto alla fine dico: perché la prossima volta non venite a trovarmi voi? Lo dico anche agli insegnanti quando mi invitano. Invece che portare me in un’aula, a parlare di alberi e torrenti, perché non portate i ragazzi nel bosco, e ne parliamo lì?Le poche volte in cui poi è successo, li ho trovati del tutto spaesati. Gli studenti delle grandi città in particolare: alcuni non hanno mai camminato su un sentiero in vita loro. Pochi sono in grado di distinguere gli ecosistemi, i segni delle stagioni e del lavoro umano, e di nominare gli alberi e gli animali. Il paesaggio che hanno intorno è una lingua straniera. Immagine cara a Mario Rigoni Stern: il paesaggio, diceva il grande scrittore-montanaro, è una forma di scrittura. Quella della città la impariamo fin da piccoli, tutti sappiamo che cos’è un semaforo, un marciapiede, un autobus, un grattacielo, una chiesa: è diventata la nostra lingua madre. Ma quella del bosco non la sappiamo più leggere né parlare. Quale segno più evidente della crisi ambientale, che è una spaccatura tra l’uomo e la terra? Come potremmo prendercene cura, o vivere in armonia con lei, se non la conosciamo più? Dall’altra parte, mi interrogo e mi interrogano spesso sul futuro economico delle nostre montagne. Agli ambientalisti viene sempre rimproverato di battersi contro i vari progetti, senza averne uno da proporre a chi in montagna ci vuole vivere e lavorare, non per forza tornando a pascolare le capre. Capisco la critica perché il tema riguarda tanti miei amici. L’economia, su da noi, oggi è fondata sul turismo, tolta quella poca agricoltura che resiste (ma anche il vino, il formaggio, le patate, in fin dei conti è ai turisti che vengono venduti). E il turismo è una di quelle economie che sembrano non conoscere un punto di equilibrio: per stare bene deve crescere, a quanto pare, e produrre sempre più clienti, e così più cantieri, più alberghi, più ristoranti e centri benessere, più funivie e piste da sci. Da qui, le lotte di noi ambientalisti. E tu che non vuoi la funivia e la pista, mi chiedono i miei vicini, che cosa proponi di fare?Propongo di fare scuola in montagna. In fondo in inverno la facciamo già: con i maestri che sulle piste insegnano ai ragazzi a sciare. Ma perché non continuare anche nelle altre stagioni, e insegnare le tante cose che in montagna si possono imparare? Per esempio, da dove viene l’acqua e come la usiamo. Com’è fatto il ghiaccio, la neve, che cos’è una sorgente, come funziona un acquedotto, un canale d’irrigazione, una centrale idroelettrica (questa è la Storia di un ruscello di Elisée Reclus: ci infilo sempre un po’ di anarchia). Oppure la vita del bosco: come convivono tra loro gli alberi, quali diversi caratteri hanno, come l’uomo ha imparato a coltivarli e usarli, come il bosco può rappresentare un modello di comunità armoniosa e cooperativa (e questo è lo splendido lavoro di Stefano Mancuso, altro anarchico prestato alla botanica). E ancora, l’allevamento del bestiame, che a conoscerlo ci renderebbe un po’ più consapevoli quando decidiamo cosa mangiare o non mangiare, gli infiniti usi delle piante selvatiche, il comportamento degli animali. O semplicemente: guarda com’è fatta una nuvola, tocca la corteccia del larice, senti cosa si prova a immergere i piedi in un torrente. Non credete che ogni scuola di città dovrebbe portare i ragazzi a imparare queste cose? Penso che loro ne sarebbero felici.