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L’era del dominio del turismo. Come conviverci

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Quella che abbiamo vissuto dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi può sicuramente essere definita l’era del dominio del turismo. C’è stata una breve interruzione di crescita negli anni pandemici, ma il trend è destinato a tornare a crescere. I dati ufficiali dell’Organizzazione Mondiale del Turismo ci dicono che a livello globale nel 2022 si sono mosse 917 milioni di persone, nel 2019 erano 1,4 miliardi, mentre nel 1950 erano solo 10 milioni di persone circa.Un turismo che è cambiato con grande frequenza. Nonostante le numerose crisi che si sono succedute dal 2008 in poi, un unico fattore non è mutato: la voglia di viaggiare delle persone è aumentata costantemente. Parafrasando Graeber (Graeber 2022) la prima forma di libertà primordiale era la libertà di andarsene, che è anche la libertà di viaggiare.Per analizzare in maniera adeguata quanto sta avvenendo nel turismo attuale è necessario fare un minimo di storia di questo settore.Il turismo di massa che ha caratterizzato tutta questa epoca vede la luce nel 1841, quando Thomas Cook fonda il primo tour operator per vendere pacchetti di viaggio alla borghesia inglese.Il momento però che segna una vera cesura nel modo di viaggiare precedente e lo avvicina sempre di più a quello contemporaneo è il 1936, quando in Francia, per la prima volta a livello mondiale, viene istituito un periodo di ferie pagate per tutte le lavoratrici e i lavoratori. In Italia questo passaggio è sancito dalla Costituzione del 1948 dove troviamo scritto, all’articolo 36, che «il lavoratore ha diritto a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi». Come è facile comprendere la nascita del primo tour operator, cioè di qualcuno che per lavoro organizza il viaggio per il cliente, e le ferie pagate che iniziano a consentire ai lavoratori di spendere e di spostarsi per piacere hanno accelerato la diffusione del turismo di massa, diventata poi esponenziale durante il boom economico quando molte persone, in Italia enon solo, hanno iniziato a poter acquistare l’automobile e ad aver maggiori risorse per muoversi. Così sono nate le prime destinazioni turistiche nel più classico scambio domanda-offerta tipico del libero mercato, come sulla costa romagnola dove numerose famiglie hanno capito l’opportunità di business che si stava venendo a generare e hanno iniziato ad affittare le stanze libere e ad aumentare le dimensioni delle proprie abitazioni trasformandole in pensioni e successivamente in alberghi.Per alcuni decenni il turismo è continuato a crescere in maniera graduale, ma costante, fino ad arrivare ai primi anni ’90 quando altri due grandi eventi hanno rivoluzionato completamente il modo di viaggiare e portato il mondo ai dati del 2019: l’avvento delle compagnie aeree low cost e la digitalizzazione di massa. Ryanair, la compagnia low cost per eccellenza che ha abbattuto fortemente i costi dei viaggi aerei a scapito del servizio, è nata nel 1985 e ha iniziato a crescere intorno agli anni 2000. Con l’avvento di Ryanair, Easyjet, Wizzair e altre i viaggi aerei sono diventati alla portata di chiunque e questo, sommato alle modificazioni sostanziali avvenute nel mondo del lavoro, ha causato un cambiamento anche nel modo di viaggiare delle persone: se prima si facevano oltre venti giorni di vacanze in località vicino a casa e non ci si spostava dal proprio albergo, adesso si prediligono vacanze brevi di 2-3 giorni nel corso dell’anno in destinazioni facilmente raggiungibili in un paio d’ore di aereo.

Infine la digitalizzazione ha portato alla nascita di piattaforme che hanno agevolato la prenotazione di strutture ricettive e addirittura la condivisione della propria casa come struttura di vacanza per altri.Ultimo evento in ordine di tempo che ha modificato le abitudini di consumo del viaggio è stata la pandemia da Covid-19. In un momento in cui si era costretti a restare a casa, un settore che vive solo grazie al concetto di spostamento ha sofferto in maniera considerevole ed è stato costretto a ripensarsi.Pandemia e digitalizzazione ci portano a una riflessione imprescindibile sul livello di sostenibilità ecologica, economica e sociale del turismo. A livello ecologico il turismo di massa risulta essere uno dei settori più inquinanti al mondo, non solo a causa di mezzi di trasporto da cui non si può prescindere per «fare turismo», ma anche a causa di comportamenti che le persone in media tengono all’interno delle strutture ricettive: minor attenzione rispetto all’utilizzo dell’acqua e dell’energia elettrica all’interno delle stanze, asciugamani cambiati ogni giorno e così via.A livello economico sicuramente il turismo è stato per molti anni un settore che ha consentito a numerose persone di avere un reddito. Negli ultimi anni l’avvento delle grandi piattaforme digitali ha causato un depauperamento delle persone a fronte di un incremento della ricchezza delle grandi catene internazionali. Basti pensare che per ogni camera affittata su Booking. com oltre il 18% della transazione non va nelle casse della struttura, ma finisce per finanziare il portale.A livello sociale invece, se da un lato un turismo fruito in maniera rispettosa dei luoghi e delle persone ha consentito e consentirà scambi socio-culturali altrimenti impossibili, dall’altro alcune realtà, soprattutto le grandi città, sono diventate musei a cielo aperto a uso e consumo dei turisti che hanno estromesso cittadini residenti e studenti fuori sede. Tre esempi italiani della gentrificazione generata dal turismo sono Venezia, Firenze e Bologna. Venezia e Firenze sono due casi molto simili: grandi città d’arte da vedere almeno una volta nella vita (così scrivono le guide turistiche internazionali) che hanno estromesso dalla città i propri residenti storici per fare spazio ai turisti. Firenze nel 2019 contava oltre 15.000 appartamenti in affitto su Airbnb e di questi il 10% sono gestiti da grandi fondi del settore immobiliare. Bologna è invece un caso più complesso da analizzare. L’impennata del turismo in città è avvenuta nel momento in cui l’aeroporto ha iniziato ad accogliere le compagnie low cost. Questo evento ha riversato nel centro storico numeri di turisti mai visti in precedenza. I proprietari immobiliari hanno fiutato l’affare e, invece che continuare ad affittare i propri alloggi a studenti fuori sede, hanno preferito offrire le proprie case ai turisti. Con due effetti immediati: la lievitazione dei costi degli affitti delle case e l’estromissione di studentesse, studenti e cittadini residenti dal centro storico. A proposito di impatto sociale del turismo bisognerebbe iniziare a fare una riflessione anche su quanto i marchi internazionali, tipo UNESCO, siano da una parte fattore di reputazione per una destinazione, ma portino con sé anche una seriedi problematiche non indifferenti: «il tocco dell’UNESCO èletale: dove appone il suo label, la città muore sottoposta a tassidermia» (D’Eramo 2017). Un esempio lampante di questo tocco letale è la città croata di Spalato, dove la città romana è fisicamente marchiata con il simbolo UNESCO e questo crea un dentro-fuori fra centro e periferia che si riflette anche nel modo di fruizione della città. Dopo aver fatto un’analisi storica del turismo e aver descritto brevemente quanto stiamo vivendo ai giorni nostri la conclusione sembra essere una sola: il turismo è l’emblema di un capitalismo in cui per soddisfare i bisogni di divertimento del maggior numero di persone che se lo possono permettere si passa completamente sopra al rispetto dei luoghi e di chi quei luoghi li vive, del loro essere e delle loro storie.
Ma quindi dobbiamo smettere di viaggiare? Come scritto in premessa credo che il viaggiare, il bisogno di spostarsi per scoprire, sia alla base della natura umana fin da quando vivevamo in comunità di cacciatori-raccoglitori. Solo che allora ci si spostava per sopravvivenza, ora per divertimento. Il bisogno di viaggiare, di spostarsi e di scoprire ècaratteristica imprescindibile della maggior parte delle società contemporanee. Ma se vogliamo avere minor impatto sul nostro pianeta dobbiamo imparare a viaggiare in modo nuovo, dobbiamo imparare a prenderci i nostri tempi mentre siamo in viaggio, non consumare le città e i luoghi in cui andiamo come qualsiasi altro prodotto del capitalismo, ma viverle fino in fondo. Dobbiamo imparare ad andare alla radice dei nostri luoghi di vacanza. Dobbiamo capire «come sia possibile socializzare un territorio astenendoci dal rimodellarlo materialmente da cima a fondo e limitandoci a inscrivevi simboli che non imprimano il loro marchio imperituro su quello spazio». (Christin 2019). Cerchiamo di sfatare un mito: il turismo sostenibile è un ossimoro. Se pensiamo a cosa vuol dire «fare turismo» capiamo quanto sia in realtà un’attività insostenibile per l’impatto economico, sociale e ambientale che può avere. Per «fare turismo» dobbiamo spostarci da casa, nella maggior parte dei casi con mezzi profondamente inquinanti, e trasferiamo il nostro impatto antropico dalla realtà da cui proveniamo a una realtà altra in cui siamo un corpo estraneo – ma impattante – per un periodo di tempo più o meno breve. Le destinazioni che vivono di turismo stagionale si ritrovano – soprattutto nei mesi estivi – con un incremento della popolazione di 5 volte rispetto a quella che vive in maniera stanziale nei restanti periodi dell’anno. Questo incremento dei numeri ha un impatto su tutti quei fattori collaterali che servono per far star bene chi vive un territorio: qualità dell’aria, capacità di portata delle fognature, consumo di risorse idriche, gestione dei rifiuti, ecc. In questa analisi non possiamo nemmeno negare alcuni impatti positivi che il turismo – e soprattutto un turismo gestito correttamente – porta ai territori. Basti pensare al fatto che in Italia, prima della pandemia, il PIL turistico del Paese era di circa il 13%, un’industria numericamente ben più importante della moda e della produzione di automobili. Prodotto Interno Lordo che altrimenti andrebbe recuperato da altri settori produttivi. Il turismo poi è un’economia di persone in cui l’essere umano e le relazioni umane svolgono una funzione fondamentale. Per quanto ogni settore sia a rischio automatizzazione, credo che il turismo subirà sicuramente delle conseguenze, ma non tali da sostituire il contributo umano.Infine è forse l’unica economia addittiva. Se un turista arriva in una struttura ricettiva o in un comune, è quasi certo che questo turista porterà benefici anche alle altre strutture limitrofe e agli altri comuni del circondario.Proviamo a fare una sintesi estrema di quanto detto finora: il turismo è un sistema figlio del capitalismo in cui stiamo vivendo che riesce a generare alcuni indubbi benefici a livello territoriale, a differenza di altri settori produttivi, ma non può essere definita un’attività realmente sostenibile perché genera questi benefici in maniera assolutamente ineguale sfruttando e distruggendo l’ambiente naturale e l’ambiente sociale di tutte le destinazioni turistiche. Come possiamo allora continuare a viaggiare senza sentirci in colpa, ma anzi contribuendo a generare quegli effetti positivi che il turismo può portare?Se «turismo sostenibile» è un ossimoro, un concetto diverso e molto più diretto al rispetto dei territori e delle persone che li abitano è il cosiddetto turismo lento. Nato nel 2009 trova le sue linee guida nel Slow Travel Manifesto, che invita a mettere in campo alcune accortezze nel momento in cui si viaggia per avere un impatto il meno possibile negativo: fai di tutto per vivere come un locale, acquista solo prodotti locali, valorizza la cultura del posto e non cercare di cambiarla, ricordati sempre che sei tu l’ospite, quindi rispetta le comunità autoctone. Se così facciamo possiamo contribuire a generare quegli effetti positivi che il turismo può innescare.Ci sono esempi pratici di attività che possiamo compiere per andare in questa direzione? Nel numero precedente in un articolo di Valeria Giacomoni vi abbiamo presentato l’esperienza degli ecomusei del Trentino – musei calati perfettamente nelle realtà anche ambientali locali e che consentono ai visitatori di apprendere informazioni sul territorio senza avere un impatto sullo stesso.Altri esempi sono tutte quelle esperienze fattibili a piedi o in bicicletta anche nelle grandi destinazioni balneari che consentono di esplorare l’interno con guide locali esperte del territorio e di vivere un’esperienza assolutamente reale in luoghi altrimenti inaccessibili.Ultima questione fondamentale: per fare turismo in maniera rispettosa bisogna avere la capacità di mettersi in gioco fino in fondo. Ovunque andiamo se ci comportiamo da turisti o da residenti temporanei cambia completamente come viviamo la vacanza e l’impatto positivo o negativo che possiamo avere sul territorio che ci ospita. Se viviamo un luogo come residenti temporanei ne abbiamo cura, se invece facciamo solo i turisti siamo dei consumatori. E le destinazioni sono il nostro supermercato.