Forme di libertà: il doppio potere nelle Fiji
Con il rinnovato interesse in Nord America per la costruzione di un doppio potere e la definizione di strategie per raggiungere questi obiettivi, è importante guardare a modalità esistenti in tutto il mondo di resistenza e costruzione del potere. In tutto il mondo, i popoli indigeni ed ex colonizzati hanno intrapreso la lotta per creare spazi autonomi o, come dice Arturo Escobar, per costruire «un mondo che comprende molti mondi» (Escobar 2012). Questa strategia è ben nota a chiunque segua gli sforzi degli zapatisti (EZLN), dell’Autoamministrazione della Siria del Nord (Rojava), del Bakur e, recentemente, del popolo Mapuche nella regione Wallmapu del Sud America. Queste lotte rinunciano all’obiettivo della creazione o del controllo dello Stato, dando vita invece forme di doppio potere all’interno degli Stati in cui sono collocate. Questo approccio si allinea ampiamente al programma politico del comunalismo sviluppato da Murray Bookchin, sebbene adattato e modificato per contesti specifici.È in questo quadro che tratto del popolo iTaukei (E-tow-kay) delle Fiji e alla sua lotta per l’autonomia dal governo figiano. Le Fiji hanno sperimentato la debolezza dello Stato attraverso vari golpe nel loro passato, ed è mia opinione che questa debolezza abbia al centro aspetti di doppio potere. Questo testo illustra alcune di queste caratteristiche e ne discute brevemente le origini e le conseguenze. Sostengo che questi esperimenti di doppio potere nelle Fiji ci mostrino l’importanza del controllo delle terre da parte dei comuni e della sottrazione di potere da parte degli organi di governo locali e municipali, e dimostrano come ciò possa contribuire alla debolezza dello Stato auspicata dal comunalismo. Inoltre, credo che se queste strutture siano «forme di libertà» latenti, spetta alle persone e alle organizzazioni dare loro un contenuto politico. L’esperienza fijiana offre anche un ammonimento: in assenza di una critica più ampia dei sistemi di gerarchia e dominio, la democrazia di base e il doppio potere possono facilmente diventare strumenti di un nazionalismo reazionario. Le Fiji sono state colonizzate per la prima volta dai britannici nel 1875 e fino al 1916 si sono affidate a servitori indigeni importati dall’India. Le Fiji ottennero infine l’indipendenza nel 1970. Come succede spesso in molti Paesi ex colonizzati, ci sono state tensioni tra i discendenti delle popolazioni indiane e i nativi iTaukei, che a volte sono sfociate nella violenza. Il timore cheil controllo indo-figiano potesse distruggere l’autonomia culturale degli iTaukei è stato identificato come uno dei fattori principali dei quattro colpi di stato che le Fiji hanno subito, guidati o favoriti dall’esercito dominato dagli iTaukei. Sebbene esuli dagli scopi di questo testo trattare le origini del razzismo in quest’area e gli altri fattori coinvolti nei colpi di stato, questa storia è adeguatamente riassunta in altre fonti, come ad esempio Race and Politics in Fiji di Robert Norton (2012) e The Fijian Colonial Experience di Timothy Macnaught (2016); entrambi questi testi sostengono che l’élite politica dei governi coloniali e poi sovrani abbia favorito questa divisione e alimentato la paura di non poter mantenere le proprie posizioni. Tuttavia, nonostante la storia coloniale e post-coloniale, gli iTaukei hanno sviluppato una forma indigena di democrazia diretta dal basso e di confederazione con sfumature ecologiche. Questo processo è stato facilitato da una serie di fattori storici e sociali. In tutte le Fiji, i villaggi hanno avuto una penetrazione limitata dell’economia del contante e del controllo statale, lasciando alle comunità ampia libertà di dirigere e decidere le proprie linee di sviluppo. Le questioni importanti vengono sollevate nel corso di una riunione mensile del villaggio chiamata bose va koro, durante la quale le persone partecipano alla pratica indigena del talanoa, o storytelling. La talanoa funziona come una sorta di connubio tra lavoro e gioco: le persone discutono gli avvenimenti del villaggio, espongono le loro lamentele, ridono, scherzano e riportano quanto discusso dalle varie assemblee locali, il tutto bevendo kava e fumando sigarette. In questo modo, la noia tipica delle riunioni viene alleviata con cura, umorismo e interesse gli uni per gli altri. Anche la vita sociale è informata dal concetto iTaukei di vivere vaka vanua, o «con la terra». Il termine vanua ha molteplici connotazioni: può significare semplicemente la terra stessa, oppure l’unità di terra, spirito e popolo. Implica uno stile di vita in armonia con la terra e con la propria comunità, anteponendo il benessere di entrambi al profitto personale (Parke 2014). Esistono diverse assemblee a cui gli abitanti del villaggio possono partecipare. Queste assemblee tematiche si occupano di questioni come criminalità e mediazione, igiene dell’acqua, salute e sicurezza, finanza e investimenti, sviluppo della comunità e sono anche gruppi di donne e giovani, gruppi ecclesiali e di assistenza agli anziani. Attraverso queste assemblee, vengono definiti e diretti vari aspetti della vita del villaggio. Le assemblee differiscono da villaggio a villaggio, in quanto ognuna di esse è creata e controllata all’interno del bose più grande del villaggio. I bose va koro sono stati codificati nel governo attraverso il Ministero degli Affari iTaukei. Queste riunioni dal basso si collegano a un sistema di riunioni distrettuali e provinciali, composte sia da capi ereditari che da funzionari eletti per decidere gli affari dei villaggi a livello regionale, provinciale e nazionale. In pratica è una confederazione di assemblee comunitarie.
A grandi linee, le Fiji sono suddivise in 14 yasana (province), ogni yasana contiene un numero variabile di tikina (distretti). Il koro, o villaggio, è l’unità amministrativa più piccola. Ognuna di queste unità ha un capo, o tui, che ne è responsabile: il Roko Tui per la provincia, il Buli per il distretto, vari capi locali e il Turaga Ni Koro (capo villaggio) a livello di villaggio (Parke 2014). Ciascuna di queste unità comunali ha un proprio consiglio, che si riunisce per occuparsi dei problemi locali e poi conferisce le problematiche al livello superiore. Questo livello successivo è guidato da una serie di regolamenti di villaggio, che variano da luogo a luogo. Inoltre, i capi villaggio e i capigruppo si incontrano ogni trimestre per confrontarsi sulle questioni distrettuali e per nominare i membri del consiglio provinciale che si tiene due volte l’anno (Rotuivaqali 2012). I consigli provinciali contribuiscono a coordinare le linee di sviluppo dei villaggi, dalle infrastrutture agli investimenti. Hanno inoltre la facoltà di creare e gestire società e/o cooperative pubblico-private per favorire lo sviluppo economico delle aree rurali e generare capitale controllato dagli iTaukei. Questo sistema, che nella sua forma attuale soffre di corruzione e di frode, potrebbe anche portare verso una struttura economica municipalizzata. Sebbene questi consigli più grandi siano controllati da élite politiche ereditarie, non è sempre stato così. Testimonianze storiche e antropologiche suggeriscono che l’ereditarietà di queste cariche e l’attribuzione di un così ampio controllo sulle assemblee siano il risultato del colonialismo britannico (Macnaught 2016). Prima di allora, i capi di queste assemblee venivano scelti dai loro stessi abitanti in base al valore in guerra, al servizio reso alla comunità o come compromesso tra le varie fazioni; il loro potere sul resto del villaggio era in molti casi trascurabile. Le confederazioni sono emerse in modo fluido, nascendo e scomparendo a seconda delle necessità. Il sistema provinciale era legato alla base e le riunioni di villaggio erano un metodo di governo indiretto da parte degli inglesi (Macnaught 2016).
Un altro aspetto importante di questa struttura è la comunitarizzazione dei diritti fondiari. Oltre l'80% della terra delle Fiji è di proprietà comunitaria di vari clan: è inalienabile e i proventi finanziari delle locazioni e di altri progetti di sviluppo sono distribuiti annualmente ai membri dei clan attraverso l’iTaukei Land Trust Board. Questo ha in gran parte frenato la penetrazione del capitalismo nei villaggi delle Fiji e ha impedito la loro proletarizzazione. Gli iTaukei possono partecipare al commercio come preferiscono e hanno a disposizione terre da coltivare e su cui vivere senza affitti o tasse. A questo punto è importante spiegare alcuni aspetti del contesto indo-figiano. Gli indo-figiani sono esclusi da questa comunalizzazione della terra e devono acquistare le piccole quantitàdi terra libera o affittarla dai clan iTaukei. Per questo motivo, gli indo-fijiani sono esclusi dall’accesso alla terra su base etnica e sono costretti a partecipare all’economia salariale. Questo fa sì che un gran numero di imprenditori e lavoratori siano di etnia indo-fijiana. Si è quindi sviluppata la percezione, alimentata e sostenuta prima dalgoverno coloniale britannico e poi dalle élite dei clan iTaukei che hanno preso il loro posto, che gli indo-figiani volessero espandersi, rubare terre e sopprimere lo stile di vita degli iTaukei (Norton 2012). La percezione che gli indo-fijiani avessero conquistato troppo potere politico e minacciato la «supremazia» degli iTaukei è stato il fattore che ha animato tutti e quattro i colpi di Stato nella storia delle Fiji. Tuttavia, a causa della limitata importanza del governo centrale in tutte le Fiji, questo è in gran parte un dramma che si svolge tra l’élite politica e culturale della capitale Suva. Sebbene ci siano stati disordini e uccisioni a Suva durante i colpi di stato, la loro portata è stata molto limitata rispetto ad altri episodi simili nel resto del mondo (Norton 2012). Inoltre, vi sono prove di solidarietà tra la comunità indo-fijana e la comunità iTaukei nella vita quotidiana. Un esempio storico importante risale al 1920, quando gli indo-fijiani proclamarono uno sciopero generale per ottenere salari pari a quelli degli europei, che fu brutalmente represso dal governo coloniale. Inizialmente gli iTaukei sostenevano i minatori, gli agricoltori e i braccianti indo-fijiani con cibo, alloggio e sostegno morale. In seguito, però, furono indirizzati dalle loro élite principali – su indicazione del governo coloniale – ad agire come crumiri (Norton 2012).Questo evento ha contribuito a catalizzare lo «sviluppo» del popolo iTaukei e, non a caso, della sua terra. In primo luogo i colonizzatori britannici e poi le élite iTaukei hanno spinto per portare gli iTaukei verso l’«individualizzazione», in particolare non rinnovando i contratti di affitto dei coltivatori di canna indo-fijiani per dover così lavorare la terra in prima persona (Macnaught 2016). L’operazione fu portata a termine, ma con disappunto della Colonial Sugar Refining Company (CSR); gli iTaukei coltivavano una quantità di canna da zucchero molto inferiore a quella degli indo-fijiani, ma la società non aveva altri gruppi da cui acquistare. Il piano di sviluppo fu presto abbandonato e il governo coloniale centralizzò l’affitto delle terre nel 1940. Questo esempio illustra come le tensioni tra i popoli iTaukei e Indo-Fijiani siano state alimentate dalle élite coloniali e culturali nel tentativo di conciliare la cultura comunitaria degli iTaukei con la spinta al dominio della terra e al profitto insita nel capitalismo. Nel suo libro Earth Democracy, Vandana Shiva descrive con acume come il conflitto etnico mascheri e compenetri il conflitto di classe: «Quando la globalizzazione minaccia i valori, le norme e le pratiche delle diverse culture, si verifica un contraccolpo culturale. Quando la risposta culturale non difende contemporaneamente la democrazia economica e la creazione di economie vive, finisce per assumere la forma di identità e culture negative» (Shiva 2016). Il conflitto tra questi due gruppi etnici nelle isole Fiji conferma il punto di vista di Shiva.
Sebbene il resoconto di cui sopra fornisca solo un abbozzo del complicato contesto storico fijano, possiamo comunque tirare le fila e derivarne delle conclusioni interessanti. La prima è la convinzione che le Fiji siano uno Stato-nazione instabile, pur rimanendo un arcipelago relativamente pacifico. Molti teorici hanno utilizzato le Fiji come caso di studio sulla debolezza dello Stato, tra cui l’attuale Procuratore Generale, Aiyaz Sayed-Khaiyum, nella sua tesi di Master sull’autonomia culturale degli iTaukei (Sayed-Khaiyum 2016). Sayed-Khaiyum indica il Ministero degli Affari iTaukei, l’iTaukei Land Trust Board e l’autonomia dei villaggi come ragioni principali della debolezza dello Stato, che secondo lui incoraggiano campanilismo e razzismo. Se da un lato possiamo certamente riconoscere che c’è del vero in questo, dall’altro possiamo utilizzare la lente dell’ecologica sociale per sottolineare che non dobbiamo accettare la debolezza dello Stato come un risultato negativo e che non è scontato che le forme di decentramento politico siano razziste o campanilistiche. L’ultimo colpo di Stato del 2006, guidato da Frank Bainimarama, è stato definito un «colpo di Stato per porre fine alla cultura del colpo di Stato». Eppure, come leader in carica del partito Fiji First, ha continuato a mantenere il potere dopo due cicli elettorali e ha lavorato per attuare riforme neoliberali volte a integrare maggiormente le Fiji nel mercato globale. Per questo motivo, ha preso provvedimenti per limitare l’autonomia culturale iTaukei, sciogliendo il Gran Consiglio dei Capi e gli statuti dei singoli villaggi, istituzioni di base ed élite dell’autonomia culturale iTaukei. C’è stata anche una spinta ad affittare la terra a entità aziendali per 99 anni, sovvertendo di fatto i diritti fondiari comunitari. In risposta, c’è stato un aumento del sentimento nazionalistico. Le ultime elezioni del 2018 hanno visto la contesa tra Fiji First e il Partito socialdemocratico (Sodelpa), quest’ultimo candidato con un programma di ripristino della supremazia iTaukei. Ciò rispecchia da vicino il fenomeno più ampio dell’aumento dei movimenti nazionalisti/fascisti in tutto il mondo in risposta alla globalizzazione neoliberista.
Questo ci riporta al centro della mia argomentazione, ovvero che la debolezza dello stato deriva effettivamente dall’autonomia culturale degli iTaukei, un risultato della nascente struttura a doppio potere incorporata nell’amministrazione coloniale. Porta con séla doppia faccia di un’eredità di dominio e di una possibile forma di libertà. C’è il potenziale per espandere questa autonomia culturale in un paradigma confederale che includa gli indo-fijiani e altre minoranze etniche, religiose e culturali dell’arcipelago delle Fiji in un modo che non distrugga la cultura iTaukei, né installi la sua supremazia. In effetti, essendo le Fiji al centro di flussi migratori sia melanesiani sia polinesiani, la popolazione delle Fiji ha una lunga storia di integrazione inclusiva, con una vasta diversità culturale che è stata omogeneizzata in «fijiano» solo con la colonizzazione. Tuttavia, quello attualmente in corso è un tentativo di integrare le Fiji nella modernità capitalistica promessa alle nazioni «in via di sviluppo», a costo di sacrificare l’autonomia culturale a un individualismo sterilizzato incapsulato nel quadro dello Stato-nazione liberale. Questa situazione sottolinea l’importanza della politica comunalista o confederalista democratica sostenuta da Murray Bookchin e Abdullah Öcalan. Nelle Fiji possiamo vedere la necessità di costruire un potere duale assumendo e democratizzando le istituzioni del governo locale, ma anche la necessità di una confederazione e di una cultura dell’inclusività per arginare il campanilismo. Anche in forma latente, la struttura a doppio potere della democrazia diretta di base combinata con il controllo comunitario della terra nelle Fiji determina uno stato indebolito sia un sistema alternativo in cui le persone possono investire il loro tempo e i loro sforzi. La sua importanza è evidenziata dalla contesa tra i due principali partiti politici delle Fiji; uno vuole disinnescare questo sistema per portare le Fiji nella modernità capitalista, l’altro per usarlo come strumento per affermare il dominio iTaukei e l’esclusione di altri gruppi. La falsa scelta che viene offerta alle Fiji è la stessa che si trova oggi in tutto il mondo: o il neoliberismo o il nazionalismo reazionario. Ma attraverso il quadro politico dell’ecologia sociale diventa possibile vedere come potremmo far crescere un nuovo mondo all’interno delle crepe del vecchio, nelle Fiji e altrove, coltivando «forme di libertà» locali e allo stesso tempo estirpando gerarchia e dominio.
Articolo tratto da: «Harbinger. A Journal of Social Ecology», Issue 1, Winter 2019.
Traduzione di Marco Antonioli