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Lev Tolstoj

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Tolstoj appuntava nei suoi diari: «Ho letto Kropotkin sul comunismo. Ben scritto e buoni concetti, ma stupefacente per l’intimacontraddizione: per far cessare la violenza di alcuni uomini sugli altri, impiegare la violenza. Il punto è questo: come far sì che gli uomini cessino di essere egoisti e violenti? Secondo il loro programma, per il raggiungimento di quest’obiettivo occorre impiegare nuova violenza». Ecco come Lev Tolstoj il grande scrittore russo, il famoso autore di grandi e intramontabili opere narrative, interrogava l’anarchismo. Eppure, nonostante le critiche forti e risolute che muoveva all’idea anarchica, Tolstoj era, ed è, considerato un pensatore sostanzialmente «anarchico». Sul senso del suo essere anarchico critici letterari, storici o politici, hanno dibattuto a lungo. Una sicura sensibilità libertaria del grande scrittore russo, pur avendo avuto esplicita manifestazione a un certo punto della sua vita, può essere rintracciata, in nuce, già nei suoi duepiù grandi e famosi romanzi: Guerra e pace e Anna Karenina. Anarchico dunque, ma di un anarchismo specifico, particolare, diverso sicuramente, da quello degli altri pensatori «classici» di questa idea. Infatti, se la critica allo stato e al potere, alla concezione «sviluppista» dell’economia, alla proprietà privata, all’educazione autoritaria e alla scuola istituzionalizzata, alla funzione repressiva della religione ufficiale, al militarismo e a ogni forma di esercito, alla nozione di patria e di patriottismo, al socialismo statalista, all’uso antropocentrico della natura e degli animali, se tutto questo (e altro ancora) può essere riconosciuto come patrimonio comune dell’anarchismo, per altre caratteristiche il suo pensiero si differenzia, in modo anche radicale, da quello tradizionalmente considerato come libertario. Questo aspetto, lungi dal rappresentare però un limite (anche se può esserlo), costituisce in realtà un utile e quanto mai significativo contributo a un pensiero anarchico non rigidamente rinchiuso in presunte inossidabili certezze. Nel 1900 a firma «Studenti Socialisti Rivoluzionari Internazionalisti di Parigi» appare un opuscolo dal significativo titolo: Tolstoismo e anarchismo, in cui viene affrontata appunto la questione relativa al possibile rapporto tra il pensiero anarchico e quello che ormai viene chiamato tolstoismo. Così conclude: «In riassunto, noi pensiamo che la propaganda di Tolstoj ha un’utilità teorica incontestabile, soprattutto quando essa attacca con vigore il militarismo e lo Stato. Ma essa presenta anche, a nostro avviso, dei grandi pericoli […] Tolstoj, il quale critica con tanta asprezza e vigore i pregiudizi e le istituzioni, fa una propaganda che devia dal socialismo e dalla rivoluzione. Egli è forse un eccellente cristiano della chiesa primitiva, è certamente un grande scrittore, è un pensatore, ma non è, in nessun caso, un anarchico comunista e rivoluzionario». Sostanzialmente sulla stessa lunghezza d’onda si troveranno, seppur con accenti diversi e sfumature non omogenee, molti altri pensatori e militanti anarchici italiani come Pietro Gori, Luigi Fabbri, Luigi Galleani, Errico Malatesta, Camillo Berneri e molti altri.Un approccio differente lo troviamo in altri militanti anarchici come, ad esempio, Pëtr Kropotkin il quale, nel 1905, nell’opera Ideals and Realities in Russian Literature, dedicando un capitolo proprio a Tolstoj, esprimeva le sue opinioni sul Tolstoj letterato ma anche sulla dimensione più complessiva del suo pensiero. La prima osservazione, di estrema attualità, la fa a proposito di due opere giovanili di Tolstoj, Infanzia e Fanciullezza, in cui coglie bene la profondità delle intuizioni tolstoiane rispetto ai temi educativi. Kropotkin mette in risalto come nessuno, fino ad allora, avesse così ben descritto la vita dei ragazzi dall’interno, cioè dal loro punto di vista. Infatti Tolstoj dimostra molto bene il valore dell’empatia nella relazione educativa e lo fa in modo tale che il lettore è costretto a giudicare gli adulti dallo stesso punto di vista del ragazzo. In effetti, a partire proprio da questi iniziali capolavori letterari, Tolstoj svilupperà con anticipo, secondo solo a William Godwin, quelle che saranno destinate a diventare le idee base, tutt’ora riconosciute e sui cui si sviluppano continuamente esperienze di scuole libertarie, di un approccio antiautoritario all’educazione e alla scuola. Sarà proprio il tema dell’educazione, infatti, che avvicinerà per primo la sensibilità dello scrittore russo alle idee dell’anarchismo.Kropotkin però coglie, dalle sue opere, anche altri aspetti centrali del pensiero di Tolstoj e li interpreta in chiave libertaria: la denuncia dei mali della cosiddetta civiltà e il bisogno di un ritorno alla natura con l’abbandono di tutte quelle artificiosità che «noi chiamiamo vita civile»; la potente condanna della guerra e la rivalutazione del ruolo delle masse a scapito del singolo eroe nel progresso della storia; il tentativo di liberare il cristianesimo da ogni gnosticismo e misticismo e di descrivere Dio come la vita, o «come l’amore o in generale come l’ideale, di cui l’uomo è cosciente in se stesso»; la lotta contro lo stato e la chiesa, il governo in quanto tale e i dogmi religiosi; le disuguaglianze sociali e il sistema capitalistico. E inoltre: l’incitamento alla disobbedienza civile; il sostegno a una visione non antropocentrica e più rispettosa degli altri esseri viventi; alla costruzione di una società decisamente più semplice e umana. Rispetto alla questione della «non resistenza al male», concetto fondamentale nell’elaborazione di Tolstoj che ispirerà anche la vita di Gandhi, Kropotkin, diversamente da altri anarchici, sottolinea che essa va letta non come un rifiuto di lottare contro le ingiustizie ma, piuttosto, nel senso che le lotte, giuste e sacrosante, non devono contemplare la violenza: si tratta cioè «della non resistenza al male con la violenza». Anche Max Nettlau evidenzia in modo positivo l’apporto che Tolstoj ha dato arricchendo molto il pensiero anarchico soprattutto in Russia. Ribadisce le stesse sottolineature fatte da Kropotkin rispetto alla teoria della «resistenza al male» come una forma di lotta, di disobbedienza civile, di rifiuto di scelte autoritarie, di condanna della violenza dello Stato e dei governi.

Inoltre, nel pensiero tolstoiano, si trova, secondo il grande storico dell’anarchismo, il riconoscimento della forza che il bene, la bontà, la solidarietà possiedono. Si tratta, in altre parole, di una energia veramente rivoluzionaria che ci appartiene e che deve pertanto essere incoraggiata a esprimersi al posto di malvagità e sopraffazione. L’unica cosa che Nettlau lamenta è l’uso che Tolstoj fa della terminologia religiosa, che inevitabilmente confonde il popolo: «Ha errato perché […] le religioni sono state sempre uno strumento della reazione che perseguita coloro che le combattono a fondo». La maturità del grande romanziere russo è caratterizzata, secondo Gustav Landauer, invece dall’aver acquisito «la saggezza di un profeta e di un santo». La sua implacabile lotta contro i governi e gli stati, le chiese istituzionalizzate, ogni sorta di violenza dell’uomo sull’uomo e su tutti gli esseri viventi, sono esemplari verità che Tolstoj ha annunciato sistematicamente. Ma, sempre secondo Landauer, non bisogna scordare che la robustezza del suo pensiero sta molto nella capacità dimostrata di cogliere l’importanza che mezzi e fini siano coerenti tra loro: «Egli ha chiaramente dimostrato che il fine, la non violenza, è contemporaneamente il mezzo per conseguire questo fine», che ogni forma di dominio esercitato tramite la violenza può venire spazzato via solo quando ciascuno di noi cesserà di esercitare ogni sorta di violenza nei confronti degli altri e di se stessi. L’importanza che Tolstoj riveste tra gli anarchici è dunque ben sottolineata da questi interpreti e attivi militanti dell’ideale anarchico. A essi si può aggiungere anche Rudolf Rocker che non teme di evidenziare come il pensiero tolstoiano, tra le tante intuizioni libertarie che ha espresso, non si sia scordato di denunciare il colonialismo economico e l’imperialismo culturale che l’Europa e l’intero occidente hanno messo in campo nei confronti di altri paesi più poveri. Ma anche come il modello di sviluppo proprio del capitalismo si sia imposto con la forza e la dominazione verso l’esterno del continente europeo e come, nei fatti, lo stesso capitalismo e lo sviluppo della tecnica non siano stati in grado di soddisfare le profonde aspirazioni che gli uomini e le donne hanno alimentato sognando una società più giusta e più libera. Tolstoj, per Rocker, è stato dunque «non un riformista, non rientra tra coloro che vogliono guarire il male con dei piccoli miglioramenti. Il suo pensiero è rivolto contro il fondamento stesso di questa società moderna; combatte l’essenza e non la forma di questa sedicente civiltà».Nell’Encyclopédie anarchiste del 1924 alla voce Tolstoïsme si può leggere una corposa sintesi dell’evoluzione del pensiero di Tolstoj, delle sue convinzioni in ambito politico, economico, religioso, ecc. e si afferma con decisione che egli debba essere annoverato sicuramente tra i pensatori anarchici. Il teorico e il militante principale dell’individualismo anarchico, E. Armand (pseudonimo di Ernest Lucien Juin) lo annovera tra i suoi principali punti di riferimento assieme a Benjamin Tucker e Henry David Thoreau, soprattutto nel significato da attribuire alla concezione tolstoiana di non resistenza al male con la violenza, sostenendo questa forma di lotta e sottolineandone anche le implicazioni concrete.Come si può capire esiste dunque un filo rosso che unisce le riflessioni di questi autori anarchici nel giudizio sostanzialmente positivo di Tolstoj, sul suo legittimo anarchismo. Ma altri pensatori e militanti, altrettanto autorevoli nelle file del movimento anarchico internazionale a cavallo tra la fine dell’ottocento e la prima metà del novecento, hanno evidenziato critiche anche molto severe nei confronti dello scrittore russo. Errico Malatesta e Luigi Galleani, in modo particolare anche se con accenti diversi, non hanno esitato a criticare aspramente le implicazioni negative che le teorie tolstoiane sulla non violenza e sulla religione cristiana hanno nel processo di trasformazione rivoluzionaria della società.Ma è lo stesso Tolstoj che precisa, esplicitamente, il suo rapporto con l’anarchismo in alcuni pensieri tratti dai suoi Diari: «Una volta l’anarchismo era impensabile. Il popolo voleva adorare e star sottomesso e i governanti erano certi della loro vocazione […] Ora invece il popolo non adora più e non solo non vuole star sottomesso ma vuole essere libero […] I popoli […] non sono più disposti a sopportare il potere, vogliono la libertà, la completa libertà». Ma chiarisce subito che il suo anarchismo è particolare, specifico, personale: «Mi considerano anarchico, ma io non sono anarchico, sono cristiano. Il mio anarchismo è solo l’applicazione del cristianesimo ai rapporti tra gli uomini. Così l’antimilitarismo, il comunismo, il vegetarianesimo».Il pensiero di Tolstoj ha avuto, e ancora ha, molti seguaci e a esso si sono ispirati veri e propri pionieri di comunità tolstojane alternative alle forme di vita dominante e organizzazioni sociali di stampo libertario.Tolstoj, dunque, ha in comune con il pensiero anarchico diverse e fondamentali idee che vengono però sostenute attraverso una lettura estremizzata e poco consueta del messaggio contenuto nel vangelo. Gesù e la sua predicazione sono alla base della sua profezia anarchica. Anzi, come lo stesso scrittore russo ha ribadito, il suo pensiero filosofico, religioso, politico non è altro che una traduzione in questi ambiti della predicazione evangelica. La religione di Tolstoj è sostanzialmente un’etica universalizzata: «Questa religione c’è e noi tutti la possiamo conoscere, se soltanto evitiamo di nascondere a noi stessi i suoi imperativi, imperativi che ci sembrano esagerati e impossibili, perché si oppongono direttamente a tutto il nostro sistema di vita e smascherano i vizi e i crimini abituali della nostra vita. Tale religione ci fu sempre e c’è oggi: essa è nei Veda, nel Confucianesimo, nel Taoismo, nell’insegnamento dei sapienti romani e greci, nell’Islam, nel Bahaismo e nel Cristianesimo; è nelle dottrine di Rousseau, Pascal, Kant, Schopenhauer, Emerson, Ruskin, Lamennais, e molti altri e cosa principale, è nel cuore e nella mente di ogni uomo del nostro tempo […] Tutto il credo consiste in questo, come fu detto da Cristo e da tutti i sommi maestri del mondo: nel fatto che per avere coscienza del principio divino in se stessi e riconoscerlo in tutte le persone, bisogna amare tutti e non fare a nessun uomo ciò che non vuoi che sia fatto a te».Questa fiducia nelle naturali virtù del popolo, dei contadini russi in particolare, seppur ammantata di un certo ottimismo naturalistico, non gli ha però impedito di denunciare i grandi livelli di corruzione che il potere (nelle sue varie articolazioni) riesce a produrre negli animi e nei costumi delle singole persone. Ma questa sua fede idealistica non gli ha compromesso neanche la volontà di proclamare la necessità della ribellione, in tutti gli ambiti della vita quotidiana, a ogni forma di dominio e di repressione. Lui stesso, in vari momenti della sua tormentata esistenza, non si è sottratto ad azioni e scelte di rifiuto di quei valori e quei comportamenti che caratterizzavano la società dell’epoca. «Non posso tacere!» è forse il «mantra» che riassume bene il suo sguardo obliquo verso il potere. La lotta che Tolstoj conduce contro ogni forma di dominio è sempre caratterizzata da una scelta morale. Per Tolstoj l’autorità, ogni forma di autorità, non è altro che il mezzo per forzare un uomo ad andare contro i suoi desideri e contrasta con l’influenza spirituale, che viene invece salvaguardata dalla critica tolstoiana. La relazione fondata su una gerarchia autoritaria incoraggia l’ipocrisia, intesa non tanto come una mera spinta ad agire contro i propri convincimenti quanto, piuttosto, come il recitare una parte in un teatro nascondendo la propria identità.Tolstoj pertanto assume e fa proprie le critiche anarchiche al potere, ma lamenta l’inconsistenza di idee e di proposte praticabili che possano suggerire nuove forme di relazioni sociali. Ma l’affondo più radicale Tolstoj lo porta in termini più strettamente filosofici. Per lo scrittore russo, come abbiamo già visto, l’unica possibilità di negare la legge umana e tutti gli apparati istituzionali che ne conseguono risiede nell’abbracciare totalmente un’altra legge, ben più grande e universale, che sarebbe quella divina dell’amore universale. In nome e per conto di questa, e solo in questo modo, è possibile riconoscersi uguali e radicalmente non assoggettati al potere secolare.La filosofia tolstoiana è una filosofia sostanzialmente morale, kantiana, che basa la sua universalità proprio sulla sua adesione al pensiero del Cristo. Come giustamente rileva Giampietro Berti, «l’anarchismo di Tolstoj appare molto più radicale di quello “tradizionale”, dal momento che il rifiuto di obbedire all’autorità investe proprio ogni comando umano».Per Tolstoj l’emancipazione umana è possibile solo a condizione di obbedire alla morale che Gesù ci ha tramandato, e la fede in Dio è assolutamente necessaria per questo scopo: proprio per tutto questo è possibile e legittima la disobbedienza all’autorità umana, perché viene dopo quella divina e la contraddice. Inoltre i comandamenti di Dio sono insiti nella natura umana, sono cioè immanenti, valori cristiani e valori umani coincidono. L’enfasi posta da Tolstoj su un misticismo sapienziale, identificato nei grandi maestri religiosi sia occidentali che orientali, conduce il suo pensiero a valorizzare una tensione continua verso la perfezione. Grazie a questo atteggiamento di perfettibilità costante, l’essere umano si pone in modo critico nei confronti della vita terrena e di ogni forma di dominio, proprio perché aspira a un modello universale e religioso di bontà. Sulla base di un principio universale e naturale, la legge dell’amore, attraverso una continua coerente testimonianza di questa fede nella vita terrena, Tolstoj nega ogni valore a qualsiasi autorità secolare e a ogni istituzione che pretenda di rappresentarla. Il suo tasso di anarchismo è pertanto identificabile nella sua priorità morale: la possibilità di cambiare radicalmente questa società corrotta e autoritaria si risolve prioritariamente nella rivolta morale che ogni individuo deve compiere. La dimensione della rivolta (individuale) è essenziale dunque a quella rivoluzionaria (collettiva). La più grande questione che differenzia il pensiero di Tolstoj da quello espresso dai classici dell’anarchismo è, come abbiamo visto, quella della legittimità dell’uso della violenza, seppur come inevitabile, resistente risposta alla violenza istituzionalizzata. In molte occasioni egli, infatti, denuncia senza esitazione come la violenza perpetuata dalle istituzioni statali sia all’origine, e ben più grave, della violenza delle rivolte, sia individuali che sociali, impiegate per abbatterla. La sua idea (fatta propria poi da tutti i movimenti che si ispirano alla nonviolenza) della non resistenza al male, esemplifica in maniera chiara i suoi convincimenti etici e morali. Lottare è non solo giusto, ma soprattutto doveroso: è l’imperativo morale per eccellenza per ogni individuo che voglia trasformare il mondo corrotto e degenerato e per edificare un nuovo rapporto tra gli esseri viventi. La legge dell’amore, amare gli altri come vorresti essere amato, è la legge universale che presiede la filosofia morale tolstoiana. Anzi, l’unica forza in grado di sconfiggere la violenza dello stato e della proprietà è proprio questo amore portato alle sue estreme e più radicali conseguenze. La violenza genera violenza, pertanto se il fine è fondare una società fatta di relazioni non violente, è impossibile pervenirci, nonostante qualsiasi sopruso noi subiamo, attraverso l’uso di forme violente. Tolstoj istituisce la sua scelta morale sulla legge dell’amore universale per tutti, ma proprio tutti, gli esseri viventi.