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Editoriale n. 6

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Nell’arco di tempo che passa da un numero all’altro, circa quattro mesi, accadono così tante cose che è difficile darne conto. Soprattutto, si rischia di essere sorpassati dagli eventi. Solitamente sono eventi – o dinamiche, o processi – negativi dal punto di vista di chi, come noi, si prova a muovere per allargare gli spazi di libertà e dignità. Sembra quasi che ogni cambiamento, qualsiasi trasformazione sia peggiorativa della situazione precedente. Dal lavoro alla sanità, dall’ambiente alla guerra, dalla violenza di genere alla repressione della polizia (abbiamo cominciato ad abbozzare questo editoriale subito dopo l’omicidio di un diciassettenne di Nanterre per mano delle guardie), dal carcere alle varie forme di limitazione della libertà, tra cui quella di movimento di chi cerca prospettive di vita migliori lasciando i sud del mondo. Potremmo non finire più.

Forse è perché – nella nostra vecchia Europa – siamo ancora e sempre immersi, da quasi cinquant’anni ormai!, in una fase di regressione dei diritti acquisiti nella stagione del lungo ‘68 e allora, ci si dice, bisogna tenere duro e il quadro prima o poi muterà.

Oppure è questione di percezioni distorte, le nostre che stiamo buttando giù queste note, e la realtà è che il male è sempre ben presente nell’esistenza umana come ci ha fatto vedere con la sua scrittura graffiante Cormac McCarthy, scomparso in primavera. Contrastarlo, combatterlo – che lo si chiami male o assurdo come fa Albert Camus – è però quell’attitudine, anch’essa tutta umana, a cui non rinunciamo. Lo facciamo a modo nostro, anche in questo numero, mettendo in luce tre diverse esperienze, due contemporanee e una storica, che toccano alcune tematiche: l’impegno in prima persona nel salvare vite in quella fossa comune che è il Mediterraneo, le attività di un collettivo barcellonese che si occupa di architettura e di urbanistica da un punto di vista femminista, e le modalità di autogestione dei processi economici ad Alcoi nell’inebriante esperienza della rivoluzione spagnola.

Trovate quindi approfondimenti su altri temi a noi cari: il turismo, e quindi una critica a esso nella sua funzione distruttiva e una valorizzazione, invece, di pratiche turistiche più consapevoli; un’analisi e una proposta concreta a opera di Paolo Cognetti per ridare centralità alla montagna e far scoprire la sua ricchezza ai ragazzi immersi nella vita di città. Nell’internazionale c’è una riflessione originale su un caso di autoamministrazione della società, quello delle isole Fiji; la conversazione è dedicata alla casa editrice elèuthera, che svela qui la complessità e la ricchezza delle pratiche di lavoro cooperativo che si celano dietro a ogni loro libro; la radici si concentrano sulle figure di Lev Tolstoj e di Luce Fabbri (su di loro, tra l’altro, proprio elèuthera ha curato due agili antologie: Il rifiuto di obbedire del 2019 e Critica dei totalitarismi del 2023); le recensioni consistono in un percorso di lettura riguardante il tema, anch’esso a noi caro, della prefigurazione.

Un evento che ha colpito da vicino alcuni di noi è stata l’alluvione che si abbattuta su parte dell’Emilia e della Romagna, a maggio. Un evento che non si può definire eccezionale, nel senso che, è vero, è caduta una quantità d’acqua mai vista in alcune zone, ma, stante il cambiamento climatico, questi fenomeni accadono sempre più di frequente. È la nuova normalità, si potrebbe dire e il fato c’entra ben poco. È l’azione umana che provoca l’aumento costante di emissioni di CO2 e il conseguente innalzamento delle temperature che va di pari passo con precipitazioni improvvise e violente. Scienziati, divulgatori, attivisti ce lo dicono da molto tempo: è ora di cambiare rotta. C’è bisogno di amplificare il messaggio lanciato dalle nuove generazioni di ambientalisti, di elaborarlo e di dare vita a pratiche di riorganizzazione della società in senso ecologico e libertario. Questo comporta tutto un insieme di pratiche che vanno in direzione opposta a quanto fanno gli amministratori, compresi quelli «di sinistra»: cemento, cemento e ancora cemento e poi auto, strade, fabbriche, fabbrichette e capannoni e ancora strade – sempre più larghe, a sei otto, nove corsie – e auto e camion e centri della logistica che spuntano ovunque. Ettaro su ettaro siamo sempre più fagocitati dal nostro stesso cemento.

Una delle cose che più ci ha colpito quando siamo andati a spalare il fango alla periferia di Faenza, là dove il fiume Lamone aveva invaso del suo fango le case fino al secondo piano, è stata la quantità di rifiuti accumulati. Nel giro di pochi giorni si sono sommate, nella sola Faenza, circa centomila tonnellate di rifiuti, così che il disastro e la distruzione di case, strade, e campi è stata accompagnata anche da ulteriori fonti di inquinamento con cumuli di rifiuti dati alle fiamme e aria e falde acquifere contaminate. Abbiamo visto, anche, la realtà degli allevamenti intensivi, questi luoghi di tortura che per decenza non dovrebbero avere più ragione di esistere. Sono luoghi insostenibili, dal punto di vista ambientale ed etico, la cui mostruosità è venuta alla luce con la pioggia e con le decine di carcasse di maiali trasportate dai flutti. Davvero le più lancinanti distopie, oggi di gran moda, sono superate dalla realtà: «volevamo cambiare il mondo, e l’abbiamo distrutto», così ci ha detto un compagno di quelle parti.

Abbiamo visto anche, però, Un paradiso all’inferno, per citare il titolo del fortunato testo di Rebecca Solnit che analizza «le straordinarie comunità solidali dei terremoti e di altri disastri». Tante migliaia, difficile quantificarle, le persone provenienti un po’ da tutta Italia che hanno dato una mano. Arrivati a Faenza, abbiamo trovato le compagne e i compagni del luogo organizzati in Brigate di solidarietà, mentre gruppi e grupponi arrivavano da Bologna, Modena, dall’Abruzzo, ecc.

Pensiamo che, a fronte di un modello di sviluppo bacato, marcio alle fondamenta, sarebbe necessario trovare soluzioni concrete, che privilegino il riuso e non il consumo e che facciano leva su forme di tecnologia partecipate e condivise; praticare cioè soluzioni libertarie combattendo e superando l’inefficienza, la burocrazia esasperata, il proceduralismo fine a se stesso della gestione statale.

Questa strada è aperta anche perché – altra cosa che abbiamo potuto constatare con i nostri occhi nei giorni e nelle settimane subito dopo l’alluvione – lo stato, inteso come garante di servizi, non esiste più. Solo in alcune zone si sono visti i pompieri e, in ritardo, la protezione civile. Per non parlare della fantomatica ricostruzione. Le strade franate sono state sgomberate dal fango dagli stessi abitanti che, in alcune aree, hanno addirittura ricostruito con le loro mani le infrastrutture crollate, come nel caso di un ponte nel comune di Monterenzio, vicino a Bologna, travolto da una frana e sostituito da un guado autocostruito dagli abitanti.

Oltre un secolo fa Pëtr Kropotkin nel suo Campi, fabbriche, officine denunciava il sistema economico e sociale che trasformava gli esseri umani in «semplici inservienti di una determinata macchina» e provocava diversi piani di separazione nella società – tra consumatori e produttori, tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, tra agricoltura e industria, tra le varie mansioni del lavoratore. Oggi tale sistema, come scrive Giacomo Borrella nella prefazione alla nuova edizione del testo (elèuthera 2023) si è esteso e perfezionato e si sono moltiplicati i piani di separazione. Kropotkin proponeva, facendo leva su esempi concreti – i «semi sotto la neve» di cui scriverà Colin Ward – il ribaltamento di questo schema, partendo dalla dimensione piccola, o intermedia, in cui si afferma nelle attività umane la cooperazione e l’autorganizzazione. Una valorizzazione della piccola dimensione, indipendente e motivata eticamente, che rifugga la mentalità del profitto e del consumo volto alla crescita continua.

La solidarietà pratica nei disastri e i movimenti per la giustizia climatica con le loro proposte, decentrate e variamente declinate a seconda della realtà geografica e sociale dei territori, ci indicano la strada da percorrere, che non è quella della fiducia acritica verso nuove tecnologie che risolveranno i problemi ambientali, ma è praticare forme antiautoritarie, libertarie, attuabili qui e ora nel rapporto con il territorio e nelle relazioni tra chi lo abita.

In ultimo diamo conto del fatto che tra le varie tematiche che sono oggetto di frequente dibattito in redazione due ritornano ripetutamente nelle nostre riflessioni con particolare forza. La guerra e la violenza di genere. Per quanto riguarda il conflitto armato causato dall’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo noi abbiamo sostenuto, e sosteniamo, il diritto all’autodifesa da parte del popolo aggredito. Vediamo però che a questo punto del conflitto l’autodifesa si sta accompagnando sempre più, anche da parte ucraina, con azioni offensive che utilizzano tutto l’armamentario per colpire il territorio russo con droni, missili e aerei, e riteniamo che questa prosecuzione del conflitto non sia accettabile. Le truppe russe si devono ritirare e la guerra deve finire: per raggiungere questo obiettivo bisogna che la mobilitazione civile e le iniziative diplomatiche guadagnino spazio a discapito delle armi. È giusto non piegare la testa di fronte ai soprusi, ma è anche necessario operare in una prospettiva ideale che faccia a meno degli eserciti e della violenza brutale della guerra. Il passaggio tra violenza e nonviolenza è stretto e noi ci siamo in mezzo, in una maniera interrogativa e problematica che non nascondiamo.

Siamo infine scossi e turbati per le dinamiche di violenza contro le donne frequenti nella nostra società, anche tra giovani e giovanissimi. È un tema che tocchiamo anche in questo numero, convinti che per fermare uccisioni e violenze sia necessario lavorare alle radici, dando vita a pratiche educative diverse, come è il caso del collettivo Equal Saree di Barcellona che nel rinnovare lo spazio urbano da un punto di vista femminista mette al centro il tema del dialogo, del confronto, dell’inclusività. Ritorneremo su questo tema nei prossimi numeri con altre esperienze e approfondimenti.