Un nuovo anno inizia, drammaticamente, all’insegna delle guerre e della morte, della distruzione e dell’odio.Guerra, nel martoriato Medio Oriente, tra Israele e Hamas, con pesantissimo coinvolgimento delle popolazioni civili inermi e di diversi altri paesi, confinanti e non; guerra – che continua, trascinandosi ormai due anni – tra la Federazione russa e l’Ucraina; conflitti, colpi di Stato, guerre civili in varie parti del globo.Sostenere che la guerra non è il mezzo più giusto e appropriato per la risoluzione della controversie internazionali (o nazionali), riprendendo la nota formula dell’articolo 11 della Costituzione della repubblica italiana, significa, al contempo, ripetere una cosa vera e facilmente constatabile, ma anche fare una affermazione purtroppo retorica.
Nell’arco di tempo che passa da un numero all’altro, circa quattro mesi, accadono così tante cose che è difficile darne conto. Soprattutto, si rischia di essere sorpassati dagli eventi. Solitamente sono eventi – o dinamiche, o processi – negativi dal punto di vista di chi, come noi, si prova a muovere per allargare gli spazi di libertà e dignità. Sembra quasi che ogni cambiamento, qualsiasi trasformazione sia peggiorativa della situazione precedente.
In un articolo pubblicato nella rivista «Interrogations» nel lontano 1975, Giampietro (Nico) Berti coniò questa felice espressione per descrivere, in estrema sintesi, la natura e la vocazione più profonda dell’anarchismo: «nella Storia, ma contro la Storia». L’anarchismo, movimento politico volto alla trasformazione rivoluzionaria della società in vista della realizzazione di una società contrassegnata dal socialismo libertario, fondata sull’autogestione dei produttori e la cooperazione volontaria ed egualitaria degli individui e dei gruppi sociali, si è posto fin dal suo costituirsi nella storia a fianco delle classi oppresse e sfruttate, dei movimenti di emancipazione, di rivolta e sovversione dell’ordine costituito, per contribuire al cambiamento politico e sociale auspicato; al contempo, si è sempre manifestato – e sempre si manifesterà – contro la storia, in quanto sua caratteristica precipua è quella di negare sul piano teorico la legittimità morale e politica del principio del dominio e di ogni forma di rapporto gerarchico tra gli esseri umani; di contestare, dunque, ogni manifestazione storica e politica di tale principio: passata, presente e futura.
Dalle acque del Mediterraneo al cuore del Rio Grande do Sul, nel senso della vita e della morte, nel complesso rapporto tra uomo e natura, nella società e nella cultura, continuiamo, con i molti limiti di cui siamo consapevoli, ma con una passione e perseveranza che ci auguriamo possa in qualche modo trascenderli, a cercare semi concreti di libertà, solidarietà e speranza. Storie piccole e grandi di donne e uomini che sfidano barriere e pregiudizi, violenze e miserie.
Quindi, se apprezzate il nostro lavoro iniziale, provate a fare in modo di allargare il giro delle lettrici e dei lettori, indicando la rivista a chi pensate possa interessare.
Ritorniamo all’inizio: semi sotto la neve, dicevamo, ovvero pratiche ed esperienze libertarie nei più diversi campi basate su un metodo antiautoritario, collettivo, tendenzialmente egualitario. Semi sotto la neve, o gocce nel deserto, o tracce di umidità sotto qualche centimetro di un terreno, in senso reale e figurato, desertificato, potremmo dire.
Nel momento in cui chiudiamo il secondo numero della rivista, ancora lontana appare la fine della guerra in Ucraina, iniziata il 24 febbraio con l’invasione da parte dell’esercito russo di un territorio sovrano. Molte, forse troppe parole sono già state spese su questo conflitto che, come tutte le guerre, segna naturalmente una sconfitta del genere umano e della civiltà, qualunque significato si voglia dare a queste espressioni.
Consci della difficoltà di sviluppare riflessioni penetranti, desideriamo proporre un’analisi di ampio respiro e alcuni spunti di approfondimento sul tema: troverete una interessante disamina dell’ideologia nazional-populista putiniana svolta da Sofia Tipaldou e un percorso di letture per adolescenti suggerito da Libri e formiche.
«Semi sotto la neve». Rivista libertaria». Quadrimestrale. Il titolo che abbiamo scelto per questa nuova rivista sintetizza il suo programma editoriale. Infatti, con l’espressione «Semi sotto la neve» (coniata da Ignazio Silone e ripresa concettualmente da Colin Ward) intendiamo proporre ai nostri lettori una rinnovata interpretazione del pensiero anarchico, delle esperienze libertarie e delle pratiche mutualistiche. Si tratta, a nostro parere, di valorizzare una dimensione costruttiva, positiva e sperimentale di una tradizione sociale, politica e culturale che riconosciamo come antiautoritaria e solidaristica.
Introduzione
In relazione alla cosiddetta «lunga estate delle migrazioni» del 2015 – cui ha corrisposto una generale crisi dell’accoglienza in Europa – in diverse regioni europee sono state attivate diverse forme di solidarietà e sostegno ai rifugiati e ai migranti in transito. Gli attori della società civile hanno sperimentato nuove pratiche e discorsi volti a contestare o contrastare le politiche migratorie europee e nazionali, nonché a compensare le carenze istituzionali in diversi percorsi di accoglienza.
«Il Centro Veneto Progetti Donna - Auser è un’associazione di donne ed esercita in via esclusiva o principale, senza scopo di lucro, una o più attività di interesse generale per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale con l’obiettivo di rimuovere ogni forma di violenza psicologica, fisica, sessuale ed economica alle donne e ai minori, italiani e stranieri, all’interno e fuori la famiglia, approfondendo la ricerca, la riflessione, il dibattito, promuovendo e svolgendo la formazione, implementando e gestendo azioni/progetti e servizi, ispirandosi alla Carta dei Valori, allo Statuto e al Codice Etico della rete nazionale Auser».
Questo articolo nasce a seguito di una lunga conversazione tra chi scrive e Stefano Ciccone, Marco Deriu e Alessio Miceli, tre componenti dell’APS Maschile Plurale, che ringraziamo per la disponibilità e la ricchezza di racconti e riflessioni che hanno condiviso. Aggiungiamo un’osservazione che ci è stato chiesto di esplicitare. Maschile Plurale non ha un portavoce e al proprio interno convincimenti e modi di intendere senso e attività dell’associazione sono sempre espressi dai singoli componenti in prima persona.
Anarchia e solidarietà, nel Mediterraneo centrale, sono concetti che si intrecciano, particolarmente in situazioni di crisi umanitaria come quella che si sta verificando con i flussi migratori marittimi. Prima di parlare della mia visione di donna soccorritrice, vorrei chiarire questi termini nel loro contesto del Mediterraneo centrale. Quanto mi appresto a dire si potrebbe probabilmente estendere anche ad altre rotte o altri luoghi, ma preferisco parlare sulla base della mia esperienza diretta e su quanto ho personalmente visto e vissuto.
Gli spazi pubblici sono fondamentali come punti d’incontro, di gioco e di rappresentazione sociale, culturale e politica. Gli spazi urbani non sono neutri, sono la rappresentazione fisica dei valori della società che li pianifica, li costruisce, li gestisce e li abita. Gli spazi ci parlano, trasmettono messaggi che integriamo in maniera incosciente e che possono riprodurre disuguaglianze sociali.L’urbanistica è la disciplina che si occupa di definire questi spazi, e nella grande maggioranza dei casi gli architetti e urbanisti che prendono decisioni sull’organizzazione delle nostre città sono uomini, bianchi, normodotati e generalmente si muovono in macchina.
Presentiamo qui la traduzione di un articolo apparso sulla rivista spagnola «Disjuntiva. Crítica de les Ciències Socials», vol. 0, n. 1, luglio 2019. I tre autori, Joaquim Cuevas Casaña, Lina Gálvez Muñoz e Lluís Torró Gil sono ricercatori rispettivamente delle Università di Valencia, Siviglia e Alicante. Il loro lavoro, attraverso un’analisi storica, sostiene due tesi, una generale e una particolare.
A) La tesi generale è che nella Spagna rivoluzionaria del 1936-39, dove vi è stata una trasformazione economica e produttiva guidata dal sindacato anarchico (e socialista), la cooperazione e il fare rete secondo la pratica del mutuo appoggio siano stati mezzi più efficienti rispetto a un’organizzazione gerarchica e autoritaria.
Bauhäusle non è solo uno dei dormitori studenteschi più popolari del campus suburbano di Vaihingen presso Stoccarda, ma è anche uno di quelli in cui si può riconoscere un forte senso di comunità basato su principi come l’auto-organizzazione, la condivisione del cibo e l’ecologia.Il recente anniversario dei 40 anni ci offre un’occasione per riflettere su questo luogo non comune in cui l’architettura ha svolto un ruolo centrale nel processo di creazione di questa particolare comunità malgrado il rapido avvicendamento dei suoi abitanti.
Introduzione
Le tecnologie invasive, l’imposizione di una socialità digitale predigerita da parte dei colossi dell’informatica e dei media, la profilazione pervasiva a scopo commerciale e di controllo sociale, la censura governativa e aziendale e la commercializzazione di massa di prodotti hardware e software che utilizzano licenze limitanti e brevetti intellettuali come armi legali e dogane virtuali sono gabbie sociali in cui l’utente viene rinchiuso. Hacklabbo, il laboratorio hacker di Bologna, analizza, smonta e scardina le meccaniche in cui ci siamo fatti inscatolare rivendicando la libera circolazione (analogica e digitale) dell’informazione, il diritto alla privacy, all’anonimato, alla libertà di espressione e di invenzione, condividendo conoscenza attraverso l’autoproduzione dal basso di strumenti alternativi, di infrastrutture digitali e di comunicazione autonome che consentano una partecipazione politica consapevole.
La Rete per l’Educazione Libertaria collega una serie di realtà, presenti sul territorio italiano, attive nella sperimentazione con bambine e bambini, ragazze e ragazzi, di pratiche creatrici di comunità scolastiche autogestite. Tra queste Tana Libera Tutti, con sede a Mamiano, in provincia di Parma, è tra le prime nate in Italia: è attiva infatti dal 2007. La struttura che ospita quest’esperienza è la tipica casa rurale emiliana, un edificio largo e solido, diviso in diverse stanze ampie e luminose; il giardino che la circonda è vasto e alberato, attrezzato con uno spazio dedicato ai momenti assembleari oltre alle altalene e agli altri giochi.
Il concetto di ecomuseo nasce in Francia nei primi anni Settanta sull’onda dei movimenti di contestazione con l’obiettivo di superare schemi e definizioni di vecchio stampo anche nel mondo della cultura: «i teorici francesi volevano delineare una nuova formula museale in grado di oltrepassare i confini accademici, mettendo al centro dell’attenzione un approccio olistico del “fare cultura”, una provocazione intellettuale che solo nei decenni successivi è giunta a una declinazione operativa».
Dopo la Fiera del libro anarchico di Porto Alegre e un tentativo fallito di entrare in Uruguay, decisi di partire alla volta della Comune Pachamama, proprio nel cuore del Rio Grande do Sul. E siccome in Brasile tutto è lontano… da Porto Alegre, capitale di quello Stato, a São Gabriel, piccolo centro rurale dell’interno, ci vogliono circa cinque ore di pullmann espresso. Poi, altro pullmann, che circola solo nei giorni dispari, e che, per più di quattro ore, percorre una strada sterrata fino a un posto chiamato Pavão.
Giorno 1
Come normalmente succede all’inizio di una missione, salendo a bordo ci si ritrova sulla porta d’imbarco della nave, alcuni entrano mentre altri escono. Ci si saluta e ci si abbraccia tra chi è già stato assieme a bordo. Quelli che vanno via hanno spesso le facce smunte, dimagrite, i capelli incolti, si nota la stanchezza ma anche la gioia di avere fatto la cosa giusta.Spesso ci si scambia qualche parola, chi arriva di solito si limita a fare i complimenti a chi sbarca, sia nel caso di successo della missione, sia quando le cose sono andate male.
Al centro dell’«Isola», quartiere di Milano abitato un tempo da operai e artigiani, ora ricco di bar e locali alla moda non sempre economici, si trova la scuola «L’isola del tesoro», ospitata presso la sede della chiesa metodista di Milano, in via Luigi Porro Lambertenghi 28. Si tratta di una scuola rivolta a giovani migranti, di differente provenienza, minori non accompagnati e ricongiunti, richiedenti asilo, realizzata e sostenuta dall’associazione di promozione sociale «Asnada».
Lo Spaccio popolare autogestito di Bologna è una delle attività che svolge il «Giaz», ovvero il Gruppo informale di acquisto zapatista. Vediamo quindi innanzitutto quale è stata la sua formazione e quali sono le sue caratteristiche.
Il «Giaz» si è costituito diversi anni fa ed è nato dalla scissione di un gruppo di compagne che formava il sottogruppo dello spazio sociale «Vag61» all’interno del «Gasbo», il Gruppo d’acquisto solidale di Bologna, per differenze di vedute sul senso della propria attività e della direzione che essa dovesse assumere.
Arrivo alla stazione di Neustadt an der Weinstrasse (Germania) un sabato pomeriggio di aprile e ad aspettarmi ci sono Ede e Michael, due signori sorridenti sulla sessantina passata. Li riconosco perché, come mi hanno preavvisato, hanno con sé una bicicletta con un rimorchio che dà nell’occhio. In effetti li vedo subito, il carretto è coperto da un vistoso telo rosso e nero, vestigia di gloriosi tempi passati. Il rimorchio, ci dice subito Ede, ha trent’anni ed è perfettamente funzionante.
E’ possibile un progetto di scuola che non coinvolga solo i bambini ma anche gli adulti nel processo educativo? In cui anche i genitori possono sostituire gli insegnanti perché hanno costruito insieme le dinamiche educative?
A Barcellona funziona da quasi vent’anni un progetto con queste caratteristiche, che si definisce “collettivo di autogestione educativa” e parte proprio dall’idea di non delegare la questione educativa a degli specialisti, e di prendere invece decisioni collettive per condividere la responsabilità pedagogica.
A Reggio Emilia esiste da oltre trent’anni l’esperienza della MAG6, nata sul finire degli anni ‘80 per volontà di una quindicina di persone legate al movimento pacifista e non violento. Ciò che caratterizza fin da subito questa esperienza è la volontà dei fondatori e delle fondatrici di dare concretezza alla propria idealità, sperimentandosi in prima persona nel cominciare ad attuare immediatamente quella possibilità di cambiamento tanto auspicata. La MAG6 si struttura come cooperativa, qualcuno rinuncia al suo posto di lavoro stabile e garantito per dedicarsi in toto alla realtà nascente e, parallelamente al finanziamento dei progetti, cresce l’impegno a diffondere una differente cultura del denaro in un processo evolutivo del suo utilizzo.
La «Zelena Mreža Aktivističkih Grupa», ZMAG1 (rete verde di gruppi di attivisti) è una organizzazione non governativa nata nel 2002, che nel tempo ha realizzato un «eko-selo», un villaggio ecologico, adiacente al piccolo villaggio rurale di Vukomerić. Le attività dello ZMAG sono incentrate particolarmente sulla pratica e la promozione di soluzioni sostenibili, su programmi di istruzione e progettazione, sulla promozione e sviluppo di sistemi sociali ed economici giusti ed equi e sulle tecnologie appropriate.
«Il salto. Viene spontaneo, c’è un fosso nel campo… Ci fermiamo a guardare, a ponderare se sia possibile passare dall’altra parte. A sentire se nelle gambe c’è la spinta, la molla, la forza del salto per arrivare di là. Sì!!! Si può!!! Si salta!!!». Così inizia l’avventura di questa esperienza educativa libertaria nel 2010 a Cadriano (BO). Un salto impegnativo, un osare senza protezioni, sorretti solo dall’entusiasmo e dalla convinzione profonda di dover provare ad andare al di là.
Prendete una manciata di studenti universitari milanesi idealisti e sognatori, tuttavia desiderosi di progettare esperienze concrete, lontano dalla vita di una metropoli frenetica che offre certo una montagna di opportunità, ma crea, al contempo, notevoli problemi e disagi quotidiani ai suoi abitanti. Li accomuna uno spirito libertario non troppo specificato, una forte passione ecologica, la volontà di realizzare un “luogo altro”, insieme. Immaginateli, a un certo punto, girovagare tra la Toscana e l’Emilia alla ricerca di una terra dove dar vita a una realtà capace di coniugare una certa quota di immaginazione utopica con un pizzico di quel buon senso che ha reso celebri le casalinghe di Voghera.
A Perugia c’è un’edicola molto particolare che grazie al lavoro di un collettivo di giovani è riuscita ad animare il centro storico con dibattiti e appuntamenti culturali. Le peculiarità dello spazio dell’Edicola 518 hanno attratto l’attenzione internazionale, non solo per l’originale proposta editoriale ma anche per il grande merito di trasformare un luogo generalmente “di servizi” in un polo culturale e in questo modo riappropriarsi dello spazio comune della piazza per creare dibattito.
Il 2023 è indubbiamente stato un anno molto denso per l’intelligenza artificiale (IA). Un primo evento eclatante risale ad aprile, quando un team di esperti (manager, professori, tecnici del settore e intellettuali vari) si è unito in un appello per una moratoria per fare una pausa sui grandi progetti di addestramento delle intelligenze artificiali che alcune grosse aziende stanno portando avanti. Il messaggio invitava a fermarsi un attimo per valutare i rischi e per dare tempo alle istituzioni di comprendere l’evoluzione degli scenari possibili, alcuni dei quali ipoteticamente molto minacciosi.
Il Capitale e lo Stato, che dominano la società moderna, agiscono come un re Mida a rovescio, o come degli alchimisti al contrario: tutto quello che toccano si trasforma in vile piombo e in pena per gli umani, anche quello che si potrebbe chiamare oro. Questo vale naturalmente pure per uno dei grandi campi dell’attività umana: costruire e abitare.
È noto come il capitalismo industriale abbia prodotto fin dai suoi inizi nel Settecento grandi cambiamenti nel concetto di abitare: la crescita delle agglomerazioni urbane ha aperto le porte a nuove disuguaglianze trasformando l’abitazione in merce.
Vado spesso nelle scuole a parlare dei libri che scrivo, invitato dagli insegnanti. Incontrando i ragazzi e le ragazze, e ascoltando i loro interventi, non ne ho affatto l’impressione di un pubblico annoiato: anzi sono tra i lettori più acuti, e quelli che mi fanno le domande più difficili. A differenza di tanti adulti, cercano ancora nei libri delle chiavi di comprensione del mondo. Hanno antenne sensibili al loro tempo, e in questi anni sono sempre più allarmati dalla crisi ambientale.
Quella che abbiamo vissuto dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi può sicuramente essere definita l’era del dominio del turismo. C’è stata una breve interruzione di crescita negli anni pandemici, ma il trend è destinato a tornare a crescere. I dati ufficiali dell’Organizzazione Mondiale del Turismo ci dicono che a livello globale nel 2022 si sono mosse 917 milioni di persone, nel 2019 erano 1,4 miliardi, mentre nel 1950 erano solo 10 milioni di persone circa.
Sfogliando le pagine della storia moderna iraniana, si comprende come negli ultimi secoli in questo antico paese la religione e il clero sciita abbiano sempre avuto un ruolo attivo nella politica. La religione, rappresentata dall’apparato clericale sciita, è stata l’alleata principale dell’istituzione monarchica iraniana per secoli (dal XVI secolo fino al 1921), una fonte legittimante per le dinastie governanti e una valvola di sfogo nei momenti in cui il furore della società scrollava le basi del potere dell’ancien régime iraniano.
La violenza del carceree le alternative coerenti con la sua funzione
Quando a Michel Foucault venne chiesto di parlare di alternative al carcere in occasione di un convegno a Montreal nel 1976, lui non nascose un certo imbarazzo. In quell’occasione provò a spiegare il suo disagio con un esempio. Parlare di alternative al carcere significa parlare di alternative tra diverse punizioni. Sarebbe come chiedere a un bambino di sette anni: «Senti, visto che tanto sarai punito, cosa preferisci: la frusta o saltare il dolce?
Fino a ieri contavano la casa, l’auto e le otto ore di lavoro, oggi invece il motto è: vivi secondo le tue regole, trova il tema che ti sta a cuore, lavora in modo flessibile e in qualsiasi parte del mondo.Sempre più persone in Germania vogliono seguire questo imperativo da millennial, di indipendenza, ricerca di significato e avventura. Secondo un sondaggio Bitkom, il 35% degli intervistati in età da lavoro lo farebbe prevalentemente dall’estero, se ne avesse la possibilità.
“La prima Nuova sinistra era composta da radicali degli anni 1930-1945 che non ruppero solo con lo stalinismo ma anche con il leninismo, e non solo con il leninismo ma anche con il trotskysmo, e non solo con il trotskysmo ma in buona parte con il marxismo stesso. Negli Stati Uniti molti di quelli che dovrebbero essere considerati membri della prima Nuova sinistra erano associati con la rivista politics” (Lynd 1997: 67).
Lo scatenarsi della guerra contro l’Ucraina da parte della Federazione Russa ha portato in evidenza un aspetto di cui poco si parla, che personalmente ritengo inquietante. Riassumendone il senso, si potrebbe dire che si tratta della palese partigianeria di una parte consistente della sinistra, intesa come complesso culturalmente identificabile, contro le visioni politiche e sociali del blocco occidentale, di cui pure storicamente e culturalmente è parte. Non mi riferisco tanto agli schieramenti istituzionali, che ormai ben poco hanno a che fare con i fondamenti teorici ed etici che a noi interessano, ma a un’area di opinione pubblica e di pensiero, ampia e variegata, convinta di far parte del patrimonio di scelte politiche e di idee tradizionalmente considerate di sinistra.
Scienza e filosofia sono discipline molto antiche, cresciute assieme per lungo tempo stimolandosi a vicenda. Se pensiamo a un prototipo di scienziato filosofo, chiunque può facilmente richiamare alla memoria il greco Ippocrate, vissuto nell’isola di Kos nel V e il IV secolo a.C. Egli affiancava rigorose procedure logiche (pur con tutti i limiti della sua conoscenza dell’epoca) a profonde riflessioni filosofiche. Era attento osservatore dell’ambiente, nel quale cercava elementi, che annotava scrupolosamente, per spiegare le cause dei sintomi dei malati che visitava, senza discriminazioni in base al ceto sociale, tra l’altro.
Al Congresso di Lotta Continua nell’autunno 1976 avvenne uno scambio che nasce dal dibattito portato avanti dalle femministe, ma dice qualcosa anche sugli animali. Ciro della Spa Stura affermò che solo gli operai, «in quanto operai», esprimono il punto di vista del proletariato; la donna, «in quanto donna», può anche essere borghese e reazionaria. «Se una donna ponesse come obiettivo di avere tutte le pelliccia di visone», aggiunse, «sarebbe un obiettivo che riconoscerebbe nelle donne l’effettiva esigenzadi avere tutte la pelliccia di visone, ma non sarebbe un obiettivo consono agli obiettivi degli operai».
Quali sono le regole e gli strumenti per comunicare fra le persone che partecipano? E quali per comunicare verso l’esterno, alle esperienze affini, al resto del mondo? Come si fa a informarsi, a selezionare informazioni, a orientarsi nel diluvio di notizie, a far circolare quelle che si ritengono opportune?
Le «Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione» (TIC), spesso indicate come nuove tecnologie, non sono affatto nuove, visto che se ne parla da decenni e ci abbiamo a che fare quotidianamente da tanto tempo.
Tanta attenzione non sempre però corrisponde, purtroppo, a un reale approfondimento della conoscenza. Spesso ciò che si cerca è solo la conferma di propri antichi stereotipi e teorie, magari per miseri calcoli di tornaconto politico. E dispiace che questo accada anche in un paese, come l’Italia, che per quanto riguarda il campo culturale, poteva vantare una tradizione di slavistica tra le più qualificate al mondo, di cui furono esponenti, solo per citarne alcuni, studiosi del calibro di Ettore Lo Gatto e Angelo Maria Ripellino.
Tierra y libertad, questo il motto con cui Emiliano Zapata guidò l’esercito di liberazione del sud nella rivoluzione messicana all’inizio del secolo scorso. Una rivoluzione tanto radicale nei presupposti quanto effimera nei risultati, per la svilente riproduzione degli stessi meccanismi di potere anche dopo la destituzione del dittatore Porfirio Díaz. Sul finire dello stesso secolo compariva sulla scena mondiale l’Ejército Zapatista de Liberación Nacional che, riprendendo gli stessi valori, rompeva in realtà con tutte le rivoluzioni novecentesche fino a quel momento osservate.
La Russia di Vladimir Putin «non è una democrazia, ma un governo in nome del popolo e per il popolo. La base elettorale principale di Putin è il popolo. Tutto il suo potere proviene dall’appoggio del popolo», spiega Migranyan (in Ioffe 2018). La legittimità popolare in Russia non deriva, però, dalle elezioni. Dall’inizio della sua presidenza, Putin ha configurato una politica interna che non solo ha enfatizzato elementi di patriottismo, xenofobia e antioccidentalismo, ma ha anche costantemente spinto a una depoliticizzazione della società, facendo contemporaneamente ricorso a un linguaggio esplicitamente populista (Casula 2013).
Il 2020 sarà ricordato come l’anno che ha sconvolto la vita di miliardi di persone a causa della pandemia di Covid-19. Con l’abitudine di considerare ciò che accade intorno a noi come «emergenza», si è posta molta enfasi su quella pandemica, senza considerarla in relazione a fenomeni più ampi. La crisi climatica che viviamo sembra essere passata in secondo piano, nonostante le acclarate relazioni che intercorrono tra essa e la diffusione di eventi pandemici, a partire dalla devastazione dell’ambiente per sfruttarne le risorse naturali, che facilita il passaggio di virus tra specie animali, compresa quella umana.
Siamo in un’epoca caratterizzata da rapide e inedite trasformazioni degli ambienti in cui viviamo. Il sintomo più evidente di ciò è il riscaldamento climatico, ma anche la pandemia da Sars Cov-2, di cui la rivista ha trattato nel n. 1, è da leggersi nel più ampio contesto della crisi ambientale oggi in corso (Vineis e Savarino 2021). Partiamo da un concetto fondamentale: come esseri umani siamo animali dell’eccedenza. Infatti «una delle cose che ci distinguono dagli animali non umani è che questi ultimi producono solo ed esclusivamente ciò di cui hanno bisogno; gli esseri umani producono molto di più.
Politicamente parlando, le concezioni della libertà che si sono date nella storia sono fondamentalmente due: “la libertà negativa” e quella “positiva”, in parte sovrapponibili ai concetti di “libertà dei moderni” e “libertà degli antichi” e in parte coincidenti, rispettivamente, con la concezione democratica e quella liberale della libertà. Sebbene siano stati individuati decine di significati della parola libertà, quelli centrali sono proprio i due summenzionati, ai quali possono essere ricondotti molti altri.
“Nessuno libera nessuno, non ci si libera da soli, ci si libera insieme, in solidarietà”, diceva Paulo Freire. In questo tempo pandemico, che da ormai due anni stiamo attraversando, la parola libertà è tra quelle più inflazionate, declinata dalle varie parti a proprio uso e consumo. Questo perché, in fondo, ognuno è libero di pensare ciò che vuole della libertà: tutti dimentichi del fatto che la propria libertà diviene licenza laddove nega irresponsabilmente la libertà dell’altro-da-sè.
Nel mondo risultano perlopiù le donne a pagare la crisi economica determinata dalla pandemia: in tutte le aree geografiche, indipendentemente dai livelli di reddito dei paesi di appartenenza, in termini percentuali le donne restano fortemente prevalenti tra i disoccupati e tra le persone inattive. I settori più colpiti si confermano infatti quelli del terziario povero e del lavoro domestico retribuito, in entrambi i casi a prevalente impiego di manodopera femminile.
Matthew Wilson (MW): Ci siamo incontrati per la prima volta circa quindici anni fa, in occasione di un seminario universitario per discutere della tua raccolta di opere di Gustav Landauer. Quindici anni prima un evento del genere sarebbe stato quasi inimmaginabile, ma a quel tempo sembrava del tutto naturale e normale; l’anarchismo, sembrava a molti di noi, aveva sostituito il marxismo nei movimenti sociali, ma anche, sempre più spesso, nel mondo accademico.
La storia di elèuthera – che inizia alla metà degli anni Ottanta – è anche la storia di un gruppo libertario che passa da una militanza politica a una dimensione più culturale (tra virgolette). Che cosa ha determinato questo passaggio e quindi l’inizio delle attività della casa editrice?
Intanto va precisato che il gruppo era dichiaratamente anarchico e con una pratica di militanza quotidiana molto comune all’epoca (anni Sessanta e Settanta).
Ciao Pino, la mia prima curiosità è rivolta alla tua ultima pubblicazione, L’elbano errante, un romanzo storico ambientato nel ‘500 nel quale i temi del viaggio, della precarietà esistenziale e del senso di infinito appaiono predominanti. Ti sembra corretta questa sintetica interpretazione?E che cosa ti ha spinto ad ambientare il romanzo in questo secolo dopo esserti occupato del ‘900 sapendo coglierne aspetti differenti e, forse, contraddittori?
Non solo l’interpretazione mi sembra corretta, ma racchiude i sentimenti essenziali che spingono il protagonista del romanzo – che definirei sia storico che di avventure – a diventare «errante», continuamente alla ricerca di risposte a un’esistenza votata alla vendetta.
Loriano Macchiavelli (Vergato, 12 marzo 1934) è uno scrittore, drammaturgo e sceneggiatore italiano, autore di pièces teatrali, racconti e romanzi polizieschi. Dal suo primo romanzo Le piste dell’attentato (1974) a oggi, ha pubblicato oltre quaranta titoli, tradotti anche all’estero. Molti suoi racconti hanno al centro le indagini di una fra le coppie investigative più originale del giallo italiano, ovvero quella composta da Sarti Antonio, un poliziotto credibile, onesto e tenace, ma non particolarmente dotato nell’arte delle indagini, e Rosas, extraparlamentare di sinistra, eterno studente universitario, una mente analitica degna dei polizieschi classici.
Attualmente collabora in qualità di consulente SAR – Search and Rescue - come responsabile dei soccorsi a bordo della nave “Geo Barents”, di Médecins sans Frontiéres, attiva nel Mediterraneo centrale.
Nel 2015 ha iniziato a lavorare con MSF nel mar Egeo come pilota di imbarcazioni di soccorso,
Nel 2016 è operativo nel Mediterraneo Centrale sulle navi della ONG spagnola Open Arms, inizialmente come comandante poi come capo missione ricoprendo contemporaneamente il ruolo di presidente di Open Arms Italia.
Goffredo Fofi, nato a Gubbio nel 1937, è sicuramente uno dei principali punti di riferimento di una cultura libertaria oggi in Italia. Critico letterario e cinematografico, scrittore, animatore di riviste e di gruppi di azione, maestro elementare e operatore sociale, da oltre sessant’anni cammina in direzione «ostinata e contraria» rispetto alle varie forme che assume sistematicamente il dominio. Questa breve conversazione ci offre innumerevoli stimoli per migliorare lo sguardo libertario che questa rivista intende praticare e, soprattutto, ci incoraggia nella scelta che abbiamo intrapreso, per tenere sempre uniti pensiero e azione e per mettere a punto un pensiero antiautoritario e solidale, propositivo e positivo.
L’autore del grande successo Le otto montagne risponde alle nostre domande sul rapporto tra essere umano e ambiente e racconta della sua visione del mondo, tra letteratura, scelte esistenziali e impegno culturale. Nel 2021 sono usciti il documentario Sogni di grande nord, sulla base di un suo viaggio dalle Alpi all’Alaska in compagnia dell’amico illustratore e viaggiatore Nicola Magrin, e il suo ultimo romanzo per Einaudi, La felicità del lupo.
Quando si pensa all’idea di democrazia radicale, gli scritti di John Dewey non sono probabilmente il primo esempio che viene in mente. Il suo concetto di democrazia è stato invece spesso liquidato come «liberale» (Talisse 2007) o come un primo esempio di democrazia deliberativa (cfr. Bacon 2010). A fronte di queste nozioni, in questo articolo voglio esplorare la natura radicale della narrazione deweyana della democrazia. La mia tesi principale è che gli elementi radicali vengono in primo piano se analizziamo il concetto di democrazia di Dewey nel suo contesto storico.
Con il rinnovato interesse in Nord America per la costruzione di un doppio potere e la definizione di strategie per raggiungere questi obiettivi, è importante guardare a modalità esistenti in tutto il mondo di resistenza e costruzione del potere. In tutto il mondo, i popoli indigeni ed ex colonizzati hanno intrapreso la lotta per creare spazi autonomi o, come dice Arturo Escobar, per costruire «un mondo che comprende molti mondi» (Escobar 2012).
L’approccio delle istituzioni, dei media e dell’opinione pubblica nei confronti delle «bande latine» ha un ruolo fondamentale per la comprensione, il percorso e la prospettiva di questi gruppi. Più si usa il pugno di ferro, più aumenta la clandestinità dei gruppi e più sono le possibilità che aumenti la conflittualità. Ma che alternative ci sono? In base ai casi di Spagna, El Salvador e Ecuador, questo articolo analizza le esperienze di approccio istituzionale al fenomeno delle bande basate sul binomio «criminalizzare versus regolare», e si propone di rispondere alla domanda: la decriminalizzazione è un paradigma che può essere utile per affrontare il fenomeno delle aggregazioni giovanili di strada, definite impropriamente bande?
Molti degli studi realizzati negli ultimi decenni sul carattere del lavoro contemporaneo arrivano a conclusioni simili, nonostante i diversi punti di vista: il lavoro oggi non sembra essere tanto un mezzo per oggettivarsi o per costruire un’identità personale, quanto un’attività spesso debilitante, che induce al consumo di merce e favorisce soggettività funzionali al sistema. Il necessario cambiamento storico che la situazione attuale richiede avrà invece bisogno di identità solide e di un “pensiero forte” in un mondo che si sostiene su processi ugualmente forti.
È in reazione al neoliberismo che all’inizio degli anni Ottanta prende piede il movimento dei beni comuni. Il suo principio? L’autorganizzazione decentralizzata delle comunità di vita e di lavoro. I suoi obiettivi? Da un lato riappropriarsi e preservare le risorse di fronte alle molteplici forme di privatizzazione e di rapina, dall’altro esercitare l’autogoverno attraverso l’elaborazione di regole comuni. Se è vero che quello dei beni comuni è un movimento eterogeneo, è altrettanto vero che i suoi princìpi ispiratori richiamano quelli che costituiscono l’ossatura principale dell’anarchismo.
Il concetto di politiche prefigurative non implica il tentativo di portare nel presente, di «concretizzare» direbbero alcuni, uno stato di cose definito e delineato, o semplicemente abbozzato e suggerito, di una o l’altra utopia, bensì di mettere in pratica il più possibile nel presente, qui ed ora, i valori in cui si basa l’utopia. E quindi, è in quanto dispositivo per illustrare e trasmettere questi valori che l’utopia può ispirare l’azione rivoluzionaria nel senso rinnovato del termine rivoluzione.
Camus nasce nel 1913 ad Algeri, da una famiglia di pied-noirs (i Francesi d’Algeria) per nulla benestante, quando l’Algeria è una colonia francese; lo sarà fino all’ottenimento dell’indipendenza, dopo una cruenta guerra di liberazione di otto anni, nel 1962. Ma Camus muore due anni prima, prematuramente, in un incidente stradale, in un periodo in cui sta scrivendo il romanzo autobiografico Il primo uomo, rimasto incompiuto ed edito recentemente da Bompiani. Figlio di operai, orfano giovanissimo di padre, con una madre analfabeta, riesce a studiare solo grazie all’aiuto del suo maestro elementare: diventerà uno dei maggiori intellettuali libertari del Novecento.
«Ciò di cui ha bisogno oggi il movimento anarchico non sono certo nuove formule organizzative, bensì un programma di lavoro concreto, ben definito, da intraprendere fin da subito [… ] Perciò, le iniziative e le idee non devono essere soffocate, ma invece si deve incoraggiare uno scambio vitale di tutti i punti di vista».Così scriveva Marie Goldsmith nella rivista anarchica Plus Loin nell’aprile del 1928. Queste parole rivelano molto esplicitamente due caratteristiche peculiari di questa anarchica, purtroppo poco conosciuta ancor oggi, che ne definiscono la sua postura: l’essere una scienziata e al contempo essere un’anarchica.
Ancorata alla radice socialista dell’anarchismo malatestiano e del padre Luigi, ma al contempo spinta a svilupparlo e arricchirlo, Luce Fabbri è certamente da considerarsi una tra le figure intellettuali più interessanti e significative dell’anarchismo italiano e internazionale del Novecento.Testimone degli eventi e delle tragedie che attraversano tutto il XX secolo, Fabbri ha affrontato nel corso della sua esistenza alcuni tra i nodi centrali delle vicende storiche della realtà contemporanea. In lei ha convissuto sia una solida cultura politica, storica e letteraria, che, ad esempio, le permise nel 1949 di accedere in Uruguay all’insegnamento universitario, sia una massima apertura mentale verso i problemi del presente e del futuro.
Tolstoj appuntava nei suoi diari: «Ho letto Kropotkin sul comunismo. Ben scritto e buoni concetti, ma stupefacente per l’intimacontraddizione: per far cessare la violenza di alcuni uomini sugli altri, impiegare la violenza. Il punto è questo: come far sì che gli uomini cessino di essere egoisti e violenti? Secondo il loro programma, per il raggiungimento di quest’obiettivo occorre impiegare nuova violenza». Ecco come Lev Tolstoj il grande scrittore russo, il famoso autore di grandi e intramontabili opere narrative, interrogava l’anarchismo.
È nota quella pagina del sesto capitolo di Socialismo liberale nella quale Carlo Rosselli esaltava il metodo liberale quale miglior mezzo di autogoverno per una società; un metodo che aspirava a che le comunità politiche potessero amministrarsi da sé «con le loro forze, senza interventi coercitivi o paternalistici». Tale metodologia, spiegava l’autore, consisteva nel principio che la libera persuasione individuale fosse l’unica via praticabile per arrivare alle decisioni riguardanti la polis nel suo insieme.
Non si può non essere d’accordo con Albert Camus, che definì la Weil «l’unico grande spirito del nostro tempo». Farne memoria è, allora, un invito a chi ancora si interroga sul senso della vita a leggerla e rileggerla, perché le sue parole sono come lampi che illuminano per un istante la notte del mondo in cui viviamo e sono pensieri che possono trasformarsi in attrezzi indispensabili per affrontare i pericoli dell’attualità.
Le grandi storie complessive dell’anarchismo e del pensiero anarchico hanno a lungo trascurato l’impatto del movimento tedesco e l’apporto teorico dei suoi intellettuali. Le cose sono cambiate a partire dagli anni Ottanta, quando la storiografia internazionale, ma anche quella italiana (si pensi ai contributi di Mirella Larizza e Giampietro Berti), si sono accorti dell’importanza di figure quali Rudolf Rocker, Eric Mühsam e naturalmente Gustav Landauer. L’attenzione per Landauer è andata crescendo nell’ultimo decennio, grazie alla pubblicazione delle Opere scelte (15 volumi usciti tra il 2008 e il 2019) e dell’enorme ricognizione biografica condotta da Tilman Leder (quasi mille pagine dettagliatissime).
Agli interessati del movimento anarchico e libertario di lingua italiana, il nome della Wichmann probabilmente non dice nulla. Per quanto a mia conoscenza, un solo suo articolo è stato pubblicato in italiano e precisamente nel 1990 sulla rivista «Volontà», corredato da alcuni cenni biografici.Pur essendo una teorica ed attivista di peso, impegnata in molti ambiti, il fatto di aver scritto i suoi testi in olandese non ha di certo facilitato la diffusione del suo pensiero al di fuori dei Paesi Bassi.
Buber, intellettuale atipico, non classificabile, al tempo stesso socialista religioso, sionista fautore di uno Stato bi-nazionale arabo-ebraico nella Palestina mandataria, ebreo credente ma lontano da ogni ortodossia religiosa, spesso in contrasto con le idee dominanti, anche all’interno della sua stessa comunità, è soprattutto noto come l’autore di «Io e tu» pubblicato nel 1923, in cui teorizza il principio dialogico come filosofia relazionale: un’interpretazione teologica della relazione tra sé e l’altro che metteva l’accento sull’assoluta necessità del dialogo con gli altri esseri umani e il «Tu» divino, che è il «tutto altro» e il «tutto vicino».
Formatasi intellettualmente intorno al gruppo dei rational dissenters, intellettuali inglesi radicali tra i quali figuravano Richard Price, Joseph Priestley e appunto William Godwin, Wollstonecraft esordì come scrittrice alla vigilia della Rivoluzione francese, evento che scosse alle fondamenta la società d’antico regime, imprimendo una accelerazione senza precedenti, su scala dapprima europea e poi mondiale, allo sviluppo dell’idea e della pratica dell’uguaglianza, politica e sociale.
Non a caso durante la Rivoluzione francese presero piede clubs femminili ed emersero notevoli figure di donne, che acquisirono visibilità nell’arena culturale e politica: Catherine Macaulay Graham, Helen Maria Williams, Marie-Jeanne Roland, Olympe de Gouges, più tardi Madame de Staël.
«Come si reagirebbe alla scoperta che la società in cui si vorrebbe realmente vivere c’è già […] se non si tiene conto, ovviamente, di qualche piccolo guaio come sfruttamento, guerra, dittatura e gente che muore di fame? […] Una società anarchica, una società che si organizza senza autorità, esiste da sempre, come un seme sotto la neve, sepolta sotto il peso dello Stato e della burocrazia, del capitalismo e dei suoi sprechi, del privilegio e delle ingiustizie, del nazionalismo e delle sue lealtà suicide, delle religioni e delle loro superstizioni e separazioni».
Maria Luisa Berneri nasce ad Arezzo nel 1918 da Camillo e Giovanna Caleffi. Il padre si può considerare il più innovativo degli anarchici italiani della prima metà del Novecento, la madre è stata, tra le altre cose, redattrice della rivista «Volontà» nel secondo dopoguerra. Maria Luisa, così come la sorella Giliana, è un’attiva militante. Costretta dal fascismo a emigrare, nel 1926 si stabilisce insieme alla famiglia in Francia. Dopo l’uccisione di Camillo per mano stalinista, si trasferisce a Londra, dove condivide l’amore e la militanza con Vernon Richards ed è tra le animatrici più influenti del movimento anarchico inglese.
L’anniversario della morte di Pëtr Kropotkin (1921-2021) ci offre l’opportunità di interrogare il suo pensiero per valorizzarne quella parte che può stimolare la sua applicazione nella nostra contemporaneità. Il percorso intellettuale e militante di questo straordinario anarchico è ricco di suggestioni e di analisi ma anche di proposte concrete, riferite ovviamente all’epoca in cui visse. Tutte queste possono indicarci una via per soddisfare concretamente le esigenze degli esseri viventi in vari ambiti sociali.
L’attualità e l’urgenza della questione ecologica – dimostrata ad esempio dai vari rapporti sulla diminuzione della biodiversità, sul riscaldamento globale, sulla distruzione di interi ecosistemi con i conseguenti aumenti di spillover, etc. – ci impone di trovare delle soluzioni praticabili e realmente incisive. Per farlo è necessario andare alla radice del problema prendendo atto del fatto che l’attuale sistema politico ed economico è incompatibile con l’ecosistema. Già quarant’anni fa Murray Bookchin (1921-2006), uno dei pionieri del movimento ecologista e uno dei pensatori politici radicali più originali della seconda metà del Novecento, evidenziava lo stretto legame tra questione ecologica e questione sociale.
Il Novecento viene spesso dipinto come un secolo dai tratti esclusivamente, o prevalentemente, negativi: il secolo del totalitarismo, dei genocidi e degli stermini di massa operati dagli Stati contro popolazioni civili per lo più inermi. Siffatta rappresentazione coglie tuttavia solo un aspetto, per quanto veritiero e tragicamente cruciale, del secolo trascorso. In realtà, il ventesimo è stato anche un secolo contrassegnato da diversi fattori positivi: i regimi liberaldemocratici hanno infine avuto la meglio sugli Stati dittatoriali e dispotici; l’Europa ha vissuto, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, un lungo e inedito periodo di pace; nei paesi occidentali si è raggiunto un grado di benessere mai prima conseguito nella storia umana; il movimento dei lavoratori ha ottenuto in decine di paesi il riconoscimento di fondamentali diritti sociali; molti paesi eufemisticamente definiti in via di sviluppo si sono liberati dal giogo coloniale.
L’interrelazione fra i progetti educativi e gli spazi idonei a ospitarli è inscindibile; pur non essendo un tema nuovo, rimane fondamentale: ogni esperienza pedagogica del passato, che risulta di riferimento a chi cerca di attuare oggi approcci rispettosi dell’evoluzione delle giovani generazioni, si è dovuta confrontare sul come e il perché in rapporto al dove. Ciò è vero soprattutto in luoghi urbanizzati sconvolti dai cambiamenti sociali dovuti anche all’uso imperante del digitale.
All you can write is what you see!
Woody Guthrie nasce a Okemah (Oklahoma) nel 1912 e muore, consumato dal morbo di Huntington, al Creedmoor State Hospital a New York nel 1967. Nell’arco di 55 anni di vita, Guthrie ha attraversato anni che possiamo definire fondamentali per la storia degli Stati Uniti - e non solo - gli anni che hanno traghettato l’America verso quella che alcuni storici definiscono come «Era atomica», espressione coniata dal giornalista del «New York Times» William L.
Coerentemente con l’idea di fondo che ispira questa rivista proponiamo ancora alcune letture che possono rappresentare stimoli e suggestioni interessanti per i nostri lettori. Lo scorso numero abbiamo suggerito il libro di John Clark (edito da elèuthera) che ci ha presentato una prospettiva sperimentale e una visione libertaria della società. In particolare ricordo ai nostri lettori e a quanti hanno voluto leggerlo che Clark ci ha raccontato di esperienze di democrazia diretta e di relazioni libertarie in India e in Sri Lanka (oltre al Rojava e al Chiapas).
Nel muro di fronte a Giolitti, una delle migliori gelaterie romane, compare ancora, scolorita e quasi invisibile, la scritta Van Thieu vattene. Già ma chi è Van Thieu? Lo spiega Wikipedia: «generale e politico vietnamita, presidente e dittatore del Vietnam del Sud dal 1965 al 1975» cioè un uomo al potere fino alla disfatta americana e alla liberazione del paese. Proprio il periodo che ha sconvolto il sud-est asiatico e contemporaneamente ha visto emergere in intere generazioni una coscienza pacifista antimperialista e nell’area della sinistra italiana un sentimento antiamericano che sembra permanere a distanza di oltre cinquant’anni anche nel modo di schierarsi sulla guerra in Ucraina.
Sono esattamente cinquant’anni che il libro più diffuso e forse il più importante scritto da Colin Ward, Anarchia come organizzazione, è stato editato per la prima volta in italiano (Edizioni Antistato, Milano, 1976). Il testo, che ha avuto in questi anni diverse riedizioni (elèuthera, Milano), rappresenta sicuramente una sorta di manifesto programmatico della rivista che avete in mano. Colin Ward con questo libro ha capovolto radicalmente la prospettiva dell’anarchismo tradizionale. Infatti, le tesi sostenute e sviluppate nelle pagine del volume modificano letteralmente e concettualmente la concezione anarchica secondo la quale è solo attraverso un «evento» rivoluzionario che può pensarsi una società libertaria.
Il libro Discorso sull’autogoverno di Matthew Wilson, pubblicato da elèuthera a fine 2022, traduce bene il senso del titolo inglese: Rules Without Rulers: The possibilities and Limits of Anarchism, un testo dai molti pregi, che efficacemente mette a tema il nocciolo dell’invettiva che un camionista scagliò, nel 2005, in Scozia, contro i manifestanti anti-G8: «Maledetti anarchici, siamo rimasti bloccati negli ingorghi tutta la mattina grazie a voi. Pensavo credeste nella libertà!
In quegli stessi anni, invece, sul fronte statunitense, dopo l’ubriacatura del folk politico il mondo della musica sembrò aver trovato nell’underground e nella nuova canzone d’autore la parola chiave dell’innovazione creativa. Una scelta ispirata dai sogni cupi ed estremi del gruppo rock «The Velvet Underground» attivo nelle viscere newyorkesi sotto la guida artistica di Andy Warhol. La formazione dei «Velvet», già nella struttura, si presentava fuori dagli schemi, guidata, com’era, da una ex modella e un gruppo di performer che aveva trovato nel rock il messaggio ideale per mettere in pratica un progetto denso di invenzioni sonore e immagini di morte, sesso e alienazione, lanciato con il celebre show «Exploding Plastic Inevitable» che nel 1966 a New York offriva chiare indicazioni sulla prospettiva creativa elaborata da Andy Warhol.
La guerra come morbo subdolo che si insinua nelle vite. La guerra come macchina implacabile, che tutto distrugge e calpesta. Che piove dal cielo con scrosci di bombe. Che non sa leggere, sa solo incendiare. Sono queste alcune delle immagini che evoca lo scrittore e poeta José Jorge Letria nell’albo La guerra (Salani, 2020) e da cui partiamo per un breve percorso di letture sul tema. Recentemente pubblicato in Italia, La guerra è finita di David Almond (Salani, 2021), racconta una storia nel contesto della Prima guerra mondiale ma il mondo in crisi che viene descritto e la sua assuefazione alla violenza sono pienamente attuali.
«Forse così sapremo quello che vuol dire affogare nel sangue tutta l’umanità». Queste parole tratte dal brano di apertura di «Arbeit Macht Frei», il primo album degli Area, al di là della sua straordinaria qualità musicale, ne evidenziano oggi, a 50 anni dalla realizzazione, anche la dimensione profetica. Un messaggio che rappresenta in modo drammatico e potente la sensibilità di una generazione di artisti verso una narrativa dai contorni inediti e segnata da una nuova consapevolezza.
Una racconto potente, doloroso e pieno di speranza allo stesso tempo. Una storia tristemente vera, per la quale si vuole scrivere un nuovo finale. Con l’auspicio che le scelte della nostra comunità civile e politica possano riempire anche il nostro presente del verde splendente dell’isola di Kalief.
In questa sezione presentiamo, attraverso delle brevi recensioni di libri, un percorso di lettura che privilegia alcuni temi che ci interessa approfondire. Iniziamo qui da un nuovo concetto di utopia, che da lontana e irrealizzabile, diventa una proposta concreta da mettere in pratica qui ed ora, ma mai definita e sempre in divenire.