Contenuti

Tre donne anarchiche nella tempesta del Ventesimo secolo: un percorso di lettura al femminile

Contenuti

Il Novecento viene spesso dipinto come un secolo dai tratti esclusivamente, o prevalentemente, negativi: il secolo del totalitarismo, dei genocidi e degli stermini di massa operati dagli Stati contro popolazioni civili per lo più inermi. Siffatta rappresentazione coglie tuttavia solo un aspetto, per quanto veritiero e tragicamente cruciale, del secolo trascorso. In realtà, il ventesimo è stato anche un secolo contrassegnato da diversi fattori positivi: i regimi liberaldemocratici hanno infine avuto la meglio sugli Stati dittatoriali e dispotici; l’Europa ha vissuto, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, un lungo e inedito periodo di pace; nei paesi occidentali si è raggiunto un grado di benessere mai prima conseguito nella storia umana; il movimento dei lavoratori ha ottenuto in decine di paesi il riconoscimento di fondamentali diritti sociali; molti paesi eufemisticamente definiti in via di sviluppo si sono liberati dal giogo coloniale. Il Novecento è stato inoltre, non da ultimo, il secolo che ha visto esplodere, su un piano pubblico, la questione femminile e in cui diverse donne, armate di intelligenza, coraggio, passione e talento, si sono rese protagoniste nell’arena politica e culturale internazionale. Non è certo un caso che una buona parte di esse abbiano militato nella sinistra politica e in specie nella sinistra rivoluzionaria, più pronta di altri movimenti politici ad accogliere la sfida della parità di genere nell’ambito del suo progetto di liberazione dalle catene dell’autoritarismo politico e dello sfruttamento economico. Non stupisce dunque di trovarle, in particolare, nelle fila dell’anarchismo, il progetto di emancipazione più profondo, radicale e universale sinora concepito. In questa veloce rassegna ci piace segnalare, insieme, le opere di tre grandi anarchiche recentemente pubblicate e rese disponibili, o nuovamente disponibili, al lettore italiano: La libertà o niente, di Emma Goldman (elèuthera, Milano 2023); Viaggio attraverso Utopia di Maria Luisa Berneri (Tabor / Edizioni Malamente, Valle di Susa /Urbino 2022); Critica dei totalitarismi di Luce Fabbri (elèuthera, Milano 2023). Si tratta di volumi di autrici dotate ciascuna di una propria specificità, che sembrano quasi indicare un passaggio, con la loro traiettoria esistenziale, dall’anarchismo come progetto di azione rivoluzionaria al libertarismo come pensiero critico della società: Goldman, ebrea lituana trapiantata giovanissima negli Stati Uniti, fu una straordinaria militante politica rivoluzionaria, radicata nel XIX secolo ma capace, come pochi altri e poche altre, di esprimere le tensioni moderne del XX, cogliendo fermenti avanguardistici sul piano culturale, artistico e politico; Berneri fu anch’essa giovanissima militante e la precoce morte forse le impedì quel passaggio ad una vita maggiormente dedita allo studio che invece ebbe a compiere Luce Fabbri, docente presso l’Università di Montevideo, ma anche attivista anarchica fino alla fine dei suoi giorni (si rinvia ai profili biografici tratteggiati nelle Radici di «Semi sotto la neve» rispettivamente nei numeri 2/2022 e 6/2023). I legami, non solo intellettuali, tra le tre sono davvero consistenti: Goldman e Berneri, ad esempio, si conobbero personalmente a Londra e risiedettero nel 1938, per un periodo, nello stesso stabile, come ci ricorda Antonio Senta nell’ottimo studio introduttivo al volume della Berneri: «fu proprio Goldman in quell’anno a redigere l’introduzione alla prima antologia degli scritti di Camillo [Berneri], curata da Giovanna Caleffi ed edita a Parigi». Tutte e tre le autrici, inoltre, sia pure in maniera diversa, sono state costrette a confrontarsi col tema dell’esilio e dello sradicamento, elemento che senz’altro ha influito nella loro riflessione.

Leggendo queste opere due elementi saltano immediatamente all’occhio: la freschezza della scrittura, sul piano formale; l’anti-dogmatismo, l’acutezza, la veridicità e, sotto diversi profili, l’attualità di molte considerazioni disseminate negli scritti considerati, sul piano del contenuto.

La raccolta antologica di scritti di Emma Goldman (1869-1940) ci fa capire quanto ella abbia saputo penetrare l’intima essenza dell’anarchismo e, se vogliamo, la feconda tensione che ne ha attraversato e ne attraversa gran parte delle sue manifestazioni: l’essere, l’anarchismo, una sorta di individualismo comunitario – insieme, «la filosofia della sovranità dell’individuo» e «la teoria dell’armonia sociale», secondo le parole della Goldman. Appartenente al filone socialista, Goldman da un lato riscrive la jeffersoniana Dichiarazione d’indipendenza americana in una chiave spiccatamente anticapitalista (pp. 129-48), esaltando il sindacalismo rivoluzionario (pp. 169-88). Dall’altro lato, conduce la sua polemica contro le istituzioni americane del suo tempo rimproverando all’America di non essere stata, fin dal suo sorgere, sufficientemente conseguente ai principi di libertà su cui pretende di fondarsi (p. 233), richiamandosi spesso alla tradizione individualista anarchica americana degli Emerson e dei Thoureau, esaltando l’amore libero e i diritti delle donne (pp. 199-213). Il viaggio attraverso l’utopia di Maria Luisa Berneri (1918- 1949), definito da Lewis Munford «lo studio più completo e penetrante su questo territorio ideale che io conosca» (p. 36), rappresenta in effetti una delle più acute disamine critiche di questo genere letterario, che se ha spesso saputo anticipare conquiste progressiste del genere umano, dall’altro ha quasi sempre disegnato mondi intollerabilmente privi di libertà individuale, di spontaneità e di diversità, in cui l’obiettivo primario dell’uguaglianza è perseguito attraverso una autoritaria e artificiosa uniformazione razionalizzatrice della struttura sociali, che «si riflette in ogni aspetto della vita utopistica, dagli abiti all’orario, dal comportamento morale agli interessi intellettuali», e che viene ossessivamente esteso allo stesso ambiente fisico in cui è immaginata vivere la comunità felice: «l’amore autoritario per la simmetria induce gli utopisti a sopprimere montagne o fiumi e persino a immaginare isole perfettamente circolari e fiumi perfettamente rettilinei» (pp. 45-46).

Anche il volume di Luce Fabbri (1908-2000), curato da Lorenzo Pezzica, è un insieme antologico di scritti che si segnalano per la particolare curvatura che assume la critica antitotalitaria di Fabbri, anarchica aperta – come Berneri – alle suggestioni e ai contributi che le venivano da diversi filoni intellettuali e da autori contraddistinti da un genuino anelito verso la libertà ma non sempre prossimi all’ideale anarchico, come ci ricorda Pezzica, quali ad esempio Mounier, Orwell, Cassirer, Burnham, Gilas. Fondamentali risultano tutt’oggi le intuizioni di Fabbri sul tema della tecnoburocrazia, ripreso negli anni Settanta e Ottanta dal gruppo di anarchici e anarchiche raccolto intorno alle edizioni Antistato e alla rivista «Volontà», poi confluiti nel progetto elèuthera. Come osserva Pezzica, non ci si può che rammaricare del fatto che il pensiero di Luce Fabbri non sia stato «compreso e dibattuto quanto avrebbe meritato» (p. 10), soprattutto in Italia, sua terra natale, dal momento che avrebbe potuto contribuire in maniera decisiva a quello svecchiamento dell’anarchismo avvenuto, purtroppo, molto più tardi. Prova ne sono le sue riflessioni, che dovrebbero essere oggetto di rimeditazione, sul rapporto tra anarchismo, democrazia e liberalismo, nel solco, ma anche oltre, la tradizione di pensiero facente capo a Errico Malatesta e al padre Luigi, più vicine, invece, alla prospettiva delineata da Camillo Berneri. Anche sulla scorta dell’esperienza totalitaria, Luce Fabbri individuò nell’anarchismo l’elemento liberale del socialismo: «al punto in cui siamo giunti con l’analisi possiamo veder chiaro ciò che è, secondo me, il luogo attuale dell’anarchismo concepito come un ramo del socialismo. Si suole definirlo come socialismo libertario, e non liberale, perché quest’ultima parola è carica di molta inaccettabile storia: ma è indubbiamente l’erede, dentro il campo socialista, della lunga tradizione liberale» (pp. 198-99). Tale precisa e originale collocazione permette oggi di ripensare non solo il posto ma anche, e soprattutto, il significato e lo scopo della riflessione e dell’azione anarchica e libertaria. Perché nella nostra società, che dice di fondarsi sulla valorizzazione della libertà individuale, l’estremo individualismo favorisce, in maniera solo apparentemente paradossale, potenti e preoccupanti processi culturali di uniformazione, di omologazione di intolleranza verso il pensiero critico e la diversità, a destra come a sinistra; i regimi democratici accentuano costantemente le propensioni populiste e mettono sempre più in secondo piano il tema del controllo e della limitazione del potere; le conquiste della scienza sembrano favorire l’affermazione di pensieri e ideologie che ignorano il dato biologico dell’uomo e affermano la liceità di una manipolazione tecnologica senza limiti della natura umana e dello stesso corpo dell’uomo. Di fronte a tutto ciò, va recuperata quella che Luce Fabbri individuava essere l’esigenza imprescindibile del suo tempo, la libertà dell’essere umano concepito nella società in cui si trova a vivere:

«un ritorno alla realtà concreta costituita dalla persona individuale e dalla sua sfera di azione, come sfera di rapporti con le altre persone, entro la collettività locale in cui convergono e si organizzano tutte le attività di un nucleo geografico determinato (…). Bisogna sottrarsi all’ossessione dell’inevitabilità della riduzione dell’uomo a robot scientificamente determinato e della società a immensa macchina in cui ognuno di noi sarebbe un ingranaggio minimo».