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Solidarietà al transito in Val Susa. Migrazioni e rotte alpine

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Introduzione

In relazione alla cosiddetta «lunga estate delle migrazioni» del 2015 – cui ha corrisposto una generale crisi dell’accoglienza in Europa – in diverse regioni europee sono state attivate diverse forme di solidarietà e sostegno ai rifugiati e ai migranti in transito. Gli attori della società civile hanno sperimentato nuove pratiche e discorsi volti a contestare o contrastare le politiche migratorie europee e nazionali, nonché a compensare le carenze istituzionali in diversi percorsi di accoglienza.Nel contesto attuale della migrazione non autorizzata intra-europea, l’area del confine alpino tra Italia e Francia corrispondente alla regione della Val Susa è emersa come uno dei punti focali degli attraversamenti, costituendo un vero e proprio crocevia della mobilità migrante e un punto di condensazione di diverse rotte – congiungendo la cosiddetta rotta balcanica e la rotta del Mediterraneo centrale. In egual misura, in questo stesso passaggio spiccano in modo significativo diverse forme di solidarietà nei confronti dei migranti undocumented in transito, in grado di trasformare la natura stessa della mobilità. Le reti di solidarietà sono emerse come attori chiave nel dibattito contemporaneo sulle migrazioni non solo per il loro ruolo di sostegno alle persone in movimento ma anche per la loro capacità di contestare concretamente il regime di confine contemporaneo. Questi gruppi rappresentano una costellazione di attori sociali, pratiche, discorsi e relazioni cangianti, che insieme alludono e richiamano nuovi immaginari post-nazionali basati sulla libertà di movimento. Un processo di cui le reti solidali attive in Val di Susa costituiscono un esempio significativo.

Il confine alpino

Dal 2017, il percorso di attraversamento che converge sul Passo del Monginevro – tra la Val di Susa sul lato italiano e la regione di Briançon sul lato francese – è diventato un nodo cruciale della mobilità dei migranti all’interno dell’area Schengen. Questo percorso è emerso in particolare nel 2015 con l’incremento delle traiettorie di mobilità lungo la rotta balcanica e a seguito dell’intensificazione dei controlli nella sezione meridionale e costiera della stessa frontiera, tra le città di Ventimiglia e Mentone, rispetto alla quale i passaggi alpini rappresentano un punto di transito alternativo e relativamente poroso. Dopo un primo periodo in cui è stato privilegiato il transito lungo il Colle dell’Échelle, si è poi routinizzato e stabilizzato il transito lungo il Colle del Monginevro, un passo situato a un’altitudine di circa 2.000 metri. In questa fase, per contrastare il passaggio di cittadini provenienti dal Sud globale, questo tratto di confine alpino ha acquisito una nuova materialità: attraverso controlli selettivi basati sulla profilazione razziale, ogni giorno le autorità francesi cercano di scoraggiare e bloccare i tentativi di attraversamento oltralpe dei migranti. Infatti, dal 2015 il governo francese ha ripristinato controlli sistematici lungo il confine con l’Italia - prima a Ventimiglia, Mentone e Val Roja poi, dal 2017, in Val di Susa e nel Briançonnais – con la sospensione continuata degli accordi di Schengen – forzando l’interpretazione degli Articoli 25 e 26 dello Schengen Border Code che regolano la reintroduzione temporanea ed eccezionale dei controlli alle frontiere interne dei paesi membri. In termini di composizione delle persone in transito, fino al 2019 sono stati prevalenti giovani uomini provenienti dall’Africa subsahariana, mentre dal 2020 la rotta alpina ha visto la presenza di persone provenienti dall’Afghanistan, Marocco e Iran. I transiti dalla rotta balcanica hanno rappresentato la maggioranza: si entra in Italia dal confine orientale e, dopo aver attraversato i nodi di Milano e Torino, si arriva a Oulx con l’obiettivo di sfruttare la vasta rete di sentieri alpini. Questa tendenza inizia a cambiare a partire dal dicembre 2022, quando si osserva un aumento dell’arrivo di migranti dalla rotta del Mediterraneo centrale, con persone provenienti dall’Africa subsahariana. La rete di sentieri che collegano l’Italia alla Francia è ciò che rende questo confine pericoloso ma allo stesso tempo percorribile. Da un lato, la presenza dei sentieri alpini consente il transito autonomo, permettendo ai migranti di attraversare il confine con le proprie gambe senza dover fare affidamento sui passeur o su mezzi di trasporto. Dall’altro lato, le forme di controllo attuate dalle polizie di frontiera utilizzano quelle stesse caratteristiche ambientali come fattore di dissuasione per rallentare, deviare o bloccare le persone in movimento.Le reti di solidarietà emergono proprio per rispondere a queste politiche migratorie che espongono alla morte – ciò che il filosofo Achille Mbembe ha chiamato «necropolitica». Queste reti si strutturano principalmente come luoghi di accoglienza per le persone in transito, rendendo meno pericolosa e mortale la zona di frontiera alpina. Un posizionamento che le ha spesso viste accusate di essere «fattori di attrazione» dei flussi di migranti e ha portato alla loro criminalizzazione. Il carattere distintivo della rotta alpina è proprio la presenza di strutture che funzionano come «rifugio». Pur essendo composti da un insieme eterogeneo di posizioni, dove attivisti, volontari e operatori sociali agiscono con motivazioni eterogenee e background diversi, i rifugi tendono a funzionare di concerto tra loro. Ci sono tre snodi principali di queste realtà solidali - due sul versante italiano e uno su quello francese - con numerosi altri attori che a geometrie variabili danno vita a forme di ospitalità e di incontro lungo la rotta.

Il primo è a Oulx, dove una mobilitazione spontanea di cittadini della valle ha dato vita al «Rifugio Fraternità Massi». Negli anni, le attività si sono sempre più strutturate, portando a una professionalizzazione della solidarietà. All’interno del rifugio operano un’équipe di assistenti sociali stipendiati, un gruppo di medici e mediatori, e una vasta rete di volontari provenienti dall’associazionismo religioso e laico e dal Movimento No Tav. Chi arriva alla stazione ferroviaria di Oulx, ha la possibilità di fermarsi al rifugio per dormire, ricevere cure mediche e supporto legale, vestirsi e mangiare. Da lì può prendere l’autobus per Claviere, per poi tentare i sentieri che portano alla Francia. L’Alta Valle di Susa è stata poi testimone del dispiegarsi di diverse esperienze di occupazione nate attorno a reti di solidarietà di base legate a iniziative anarchiche. Nel 2017, il collettivo Briser les Frontières ha dato vita all’esperienza «Chez Jesus», occupando i sotterranei della chiesa di Claviere per dare rifugio alle persone respinte e lasciate per strada dalle autorità francesi. Tra dicembre 2018 e marzo 2021, la Casa Cantoniera Occupata di Oulx è stata un punto di riferimento per le persone in transito in cerca di ospitalità. Dopo altri tentativi di occupazione, nell’estate del 2022 è nata la casa di Cesana «Yallah!», un’occupazione a metà strada tra la stazione di Oulx e il confine di Claviere. La casa di Cesana, fino alla sua chiusura nel giugno 2023 a causa di un incendio, è stata uno spazio e un hub alternativo al rifugio di Oulx, nel quale una tappa del viaggio poteva trasformarsi in un lungo soggiorno.La modalità di gestione dello spazio è stato un esperimento di orizzontalità e auto-organizzazione tra due categorie di soggetti: le persone in transito che vi soggiornano per necessità e i militanti europei che vivono nella casa per scelta. La presenza di un luogo dove la permanenza non viene imposta a priori come temporanea ha permesso a chi è in movimento di potersi fermare, rifiatare, eventualmente ridefinire i suoi prossimi passi. Un luogo di risacca che ci mostra come la libertà di movimento è anche libertà di potersi fermare.L’esperienza di Cesana, pur con tutte le sue problematicità, ci parla di un luogo che è stato percepito come «casa» da molti migranti in transito, aprendo a forme di soggettivazione politica o ridefinizione del proprio progetto di vita. Sul versante francese di Briançon, prima cittadina di media grandezza che costituisce il punto di approdo di chi attraversa il confine, le diverse anime della solidarietà convergono in un unico spazio attivo dall’agosto 2021: les Terrasses Solidaires. Un luogo popolato da diverse associazioni dal background e dalle prospettive differenti tra il registro umanitario e quello politico. Nonostante il progetto abbia una sua struttura formale, all’interno c’è spazio per pratiche di auto-organizzazione da parte delle persone in transito che vi si fermano per qualche giorno. Les Terrasses ospitano anche il collettivo dei marauder, una rete di attivisti europei che si occupa di pattugliare i sentieri di montagna nelle notti invernali: una sorta di search and rescue di montagna per i migranti che dovessero trovarsi in difficoltà nell’attraversamento. Le attività di queste realtà, da un lato all’altrodella frontiera, contribuiscono materialmente – dando ospitalità, fornendo abbigliamento invernale, pattugliando i sentieri – a rendere questa zona di confine meno mortifera, nonostante le pratiche confinarie delle polizie che, con le loro cacce all’uomo nei boschi, mettono apertamente in pericolo le persone in transito. A dispetto della loro azione, o forse proprio per contrastarla, le reti solidali sono state ripetutamente soggette a forme di criminalizzazione, con processi intentati a danni di attivisti che hanno portato a forme di mobilitazione popolare nelle valli, con manifestazioni come la Grande Maraude Solidaire, che si tiene ogni anno al confine del Monginevro.

Conclusioni

Le realtà che attuano forme di solidarietà ai migranti in transito sono emerse sempre più in questi anni come attori chiave nel modo in cui i movimenti migratori contemporanei si dispiegano nei territori europei. Queste realtà, con il loro sostegno cruciale alle persone in movimento – fornendo supporto materiale, protezione e voce – e con la costruzione reti allargate di mutuo aiuto che connettono soggetti diversi dall’associazionismo ai gruppi politici organizzati –, mettono in discussione e contestano materialmente il regime di confine europeo contemporaneo e le sue politiche migratorie restrittive. Attraverso la loro relazione reciproca questi gruppi di solidarietà non solo forniscono assistenza pratica, ma contestano attivamente le politiche confinarie messe in campo dagli stati europei. Creando reti di supporto che superano i confini nazionali contribuiscono a prefigurare nuovi immaginari post-nazionali che intrecciano solidarietà e libertà di movimento, che significa avere la possibilità di muoversi ma anche di restare dove si è.