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Parlando di economia, anarchia e cattolicesimo

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Il mio libro «Economia e persona tra pensiero libertario e pensiero cristiano» (FrancoAngeli, 2024) propone un confronto fra pensieri, quello libertario-anarchico e quello della teologia sociale della Chiesa cattolica. Pensieri che possono essere lontani o vicini tra loro nel trattare della persona e dell’economia, ma che sono comunque accomunati dal coprire posizioni minoritarie nell’economia, nella politica e nella religione. Pensieri che invece meriterebbero entrambi maggiore attenzione, sia essa di approvazione oppure di critica. Comunque non dovrebbero essere ignorati.
Leo Ferré è un cantautore monegasco anarchico citato da Andrea Riccardi (Riccardi 2022), il fondatore della comunità di Sant’Egidio, per la canzone Monsieur tout blanc, che critica papa Pio XII. Ferré in Les Anarchistes apre la canzone con un verso provocatorio, ma vero: coloro che sostengono l’idea anarchica «non sono l’uno per cento, ma credetemi esistono». E prosegue con l’indicazione che gran parte di loro sono in Spagna, chiedendosi in maniera retorica «chi lo sa mai perché», dato il ruolo importante che gli anarchici ebbero in Spagna dal 1936 al 1939 (Cuevas Casaña, Gálvez Muñoz, Torró Gil, 2023). Per analogia, si potrebbe affermare che coloro che sostengono l’idea della Dottrina Sociale della Chiesa «non sono l’uno per cento, ma credetemi esistono». E si potrebbe proseguire con un’affermazione – più intuitiva che documentabile – che la grande parte di loro non sono nella Chiesa, ancora chiedendosi «chi lo sa mai perché».
Il libro si sviluppa partendo dalla constatazione che nei pensieri libertario e cristiano ricorrono tre idee «grandiose»: libertà, governo e diversità.
La Bibbia indica la libertà come un valore primario: la libertà di Israele nell’Antico Testamento e la libertà annunciata da Cristo nel Nuovo Testamento. L’idea libertaria si compendia bene nell’affermare «un’idea esagerata di libertà», come la definisce Giampietro N. Berti (Berti 2015) con una felice espressione, che vuol essere di apprezzamento, non di critica. Ma è anche Karl Popper che afferma: «L’anarchismo è un’esagerazione dell’idea di libertà», mentre è Bakunin stesso che si confessa: «Sono un amante fanatico della libertà» (Bakunin e Popper in Bertolo 2017: 81). Il Vangelo e il pensiero libertario, dunque, si concretano entrambi nel rifiuto di ogni potere dominante terreno, anche quello specifico di un governo. La volontà dell’anarchico di «Né ubbidire, né comandare» risuona nel ritornello del «Canto dei malfattori», testo di Attilio Panizza: «liberi vogliam vivere, più non vogliam servir», che troviamo riportato in copertina del libro di Miro Gori (Gori 2022). Il Vangelo, dal suo canto, evoca il dominio come modo di praticare il potere, per suggerirne invece l’opposto: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra di voi non sarà così» (Mt 20). L’idea dell’anarchia di negare il governo espressione di uno Stato-nazione è nota, ma è spesso riferita superficialmente e sovente distorta, poiché in effetti è ben più articolata e complessa di una semplice negazione. Il libro si sofferma su questa idea, passando dal pensiero classico al pensiero post-classico dell’anarchia, con riferimento a Gustav Landauer. Per Landauer «la rivoluzione non era un atto, ma un processo, che conteneva una dimensione spirituale orientata a una vasta riforma intellettuale e morale» (Ragona in Landauer 2012: 18-19). Dunque, un processo «lento» che si realizza dal basso con un’autogestione diffusa e progressiva di forme simili a cooperative. Recentemente, Francesco Codello ha riassunto in questi termini il pensiero di Landauer: «Lo Stato non è qualcosa che può essere distrutto attraverso una rivoluzione, ma è una condizione, un certo tipo di rapporto tra gli esseri umani, un tipo di comportamento; lo possiamo distruggere creando altri rapporti, comportandoci in modo diverso» (Codello 2022: 110 e 112). In pratica, si tratterebbe di lasciare a una miriade di comunità, su scala quanto mai variata (Bookchin 2017), comunque federate, la capacità di esprimersi su problemi concreti di cui alcuni con dimensioni locali e altri con dimensioni più generali (Graeber 2020). Quando, posti di fronte a problemi generali, potrebbe anche riapparire lo Stato: «Se nel periodo pre-rivoluzionario è sufficiente negare ideologicamente lo Stato, nel periodo post-rivoluzionario bisogna sostituirlo positivamente [per] quelle funzioni generali di coordinamento della società civile che lo Stato trasformava in dominio» (Berti 1979: 87). In un recente dialogo tra gli anarchici Matthew Wilson e Gabriel Khun apparso in questa rivista (2024, n. 7), Wilson getta sul piatto proprio il tema dello Stato con questa riflessione: credo che la «pandemia abbia contribuito a consolidare in alcuni la sensazione che l’anarchismo [classico] abbia i suoi limiti e che gli Stati siano necessari per momenti come questo, se non altro. La gente ha già dimenticato l’aiuto reciproco che ha permesso di sfamare le persone quando lo Stato e il mercato non riuscivano a tenere il passo, ma nessuno dimenticherà la creazione dei vaccini, i programmi di sperimentazione a livello nazionale, persino il potere dello Stato di imporre i lockdown», così come c’è necessità di uno Stato per affrontare i problemi generali del cambiamento climatico. Khun reagisce affermando: «Ma che cos’è lo Stato? [Oltre alla pandemia e alla crisi climatica] è sufficiente guardare ai compiti quotidiani di cui dobbiamo occuparci collettivamente, produzione e distribuzione del cibo, servizi sanitari, trasporti, energia e via di seguito […] che richiedono istituzioni in qualche modo centralizzate, ma queste istituzioni devono per forza assomigliare a uno Stato? Non credo» (Wilson 2024).
Lo Stato immaginato da Landauer nel 1895, anticipato da Berti nel 1979 e recentemente concretizzato da Wilson (2022) e da Khun (2018) è pur tuttavia un’idea che non contrasta con le affermazioni dell’anarchia classica dello stesso Kropotkin. Nel 1892, egli rilevava l’efficienza dei salvataggi in mare della British Life-Boat Association, affermando la migliore capacità, rispetto alle navi di Stato, di questa libera autogestione nel salvare in mare vite umane. Però, mentre l’associazione muove persone che, motivate dal mutuo soccorso, volontariamente porgono aiuto, tuttavia – continua Kropotkin – essa richiede le infrastrutture dello Stato, porti sicuri e aperti, per completare il salvataggio (Kropotkin 1978). Cionondimeno, lo Stato cui queste idee si riferiscono è totalmente diverso da quello che conosciamo, tanto da poterlo chiamare con altro nome: Consiglio, Confederazione, Comune o Comunità, con diverse specifiche territoriali. In questo caso, mutare denominazione potrebbe non essere solo questione nominale (Candela, Senta 2017; Candela 2021). Anche nell’anarchismo di Buber (Buber 1950), che continua il pensiero di Landauer dopo la sua morte violenta, la rivoluzione verso una società senza Stato parte da una cooperazione dal basso per il consumo e per la produzione, quindi dalla modifica nel sentire di persone capaci di realizzare, con la «saggezza» di liberi accordi e mutuo sostegno, un’istituzione di comunità tutt’affatto diversa dallo Stato-nazione.
Il discorso, tuttavia, è complesso, perché una tale rivoluzione di cultura non è facile da realizzare, infatti può incontrare forti resistenze dato che implicherebbe l’estinzione dello Stato-nazione. Uno dei primi presidenti degli USA affermò: «Lo Stato esiste per educare il saggio, e con la comparsa del saggio lo Stato muore. Quando appare il [saggio], lo Stato non è più necessario» (Emerson 2012: 89). Allora, è lo Stato stesso che potrebbe «ostacolare» il processo di trasformazione. Come si può opporre ogni gruppo dominante che voglia resistere alla perdita di un dominio che esercita per tramite dello Stato. In ogni modo, sono sempre gli incentivi impliciti nel capitalismo che, alimentando l’egoismo e non l’altruismo, creano assuefazione alla logica dell’Io piuttosto che alla logica del Noi (Candela 2021). La marcia verso un traguardo diverso è un percorso con ostacoli posti dallo Stato: l’idea dell’anarchismo nei confronti del ruolo dello Stato si può anche modificare con l’anarchismo post-classico, ma questa attenta riflessione dell’anarchia classica non perde di valore.
Proprio sul tema di un potere dominante che si concretizza nello Stato, il libro intende annotare «curiosi» punti di intersezione fra le Sacre Scritture e alcuni brani libertari e anarchici. Due sono le eco ricordate nel libro. Una prima eco è fra le encicliche di alcuni papi medievali e gli scritti di molto successivi di Proudhon (abbiamo tratto questa indicazione da Alessandro Barbero) – scriveva Gregorio VII: «i re e i duchi hanno […] preteso di dominare i loro pari, gli uomini, con cieca avidità e intollerabile presunzione» (Barbero 2016: 10). Una seconda eco si riscontra nelle prerogative di potere indicate da Samuele nell’Antico Testamento, quando mette in guardia gli ebrei dal volere un re, e la citatissima definizione di Stato che è di Proudhon (Candela 2023): abbiamo tratto questa indicazione da Rutger Bregman (Bregman 2020). Infatti è noto che Proudhon ben conosceva le Sacre Scritture – abbiamo tratto questa indicazione dal cardinale de Lubac (2017), studioso di Proudhon.
A queste due eco esplicitamente sviluppate nel libro – cui rinviamo – vorremmo aggiungerne una terza che proviene dal Vangelo di Matteo. Sono le parole di Gesù verso l’agire degli scribi e dei farisei che occupano la cattedra di Mosé: «Dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini […,] amano posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare “rabbi” dalla gente» (Mt, 23). Questa è una descrizione del «politico» che potrebbe essere condivisa da ogni anarchico (si pensi a Kropotkin), ma anche da ogni liberale (si pensi a von Hayek) – che ha tanti riscontri nel sistema politico del presente. Infatti, Kropotkin scrive: «La legge [dei governi …] ne approfitta per introdurre, generalmente dissimulandola, qualche nuova istituzione nell’interesse della minoranza dei governanti e degli uomini di parte» (Kropotkin 1952: 70); e Hayek sostiene che: «Se la democrazia diviene sinonimo di governo della maggioranza dotato di potere illimitato, io non sono democratico e considero anzi un tale governo pernicioso» (Hayek 2000: 413).
La Dottrina Sociale della Chiesa, pur se a volte «dubita» dello Stato, più spesso continua a chiamarlo in causa auspicando una sua azione sociale. Sarebbe bene, allora, soffermarci sulla differenza fra i due pensieri quando si rivolgono al ruolo dello Stato. Da una parte permane la fiducia della Dottrina Sociale della Chiesa che possa esistere uno Stato che non sia impersonato da scribi e farisei, ma da persone che perseguono il bene comune, fiducia che si scontra con la convinzione dell’anarchico che il governo di uno Stato non possa che essere impersonato da scribi e farisei. In economia queste visioni si traducono nella contrapposizione fra uno Stato a volte benevolente e uno Stato sempre di parte.
Il terzo importante elemento di raffronto da cui siamo partiti è la diversità, non solo come sentimento di tolleranza ma come vera ricchezza di una comunità. Un’idea che è sia nel programma dei Gruppi anarchici federati, negli anni Settanta del Novecento (G.A.F. 1976), sia nel documento sulla fratellanza firmato nel 2019 congiuntamente da papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar, prima dell’enciclica Fratelli Tutti. Per i GAF alla «stereotipata uniformità dei ruoli si sostituisce la diversità naturale nella più completa uguaglianza», analogamente per padre Alex Zanotelli il documento della fratellanza sostiene la «libertà di essere diversi» (Zanotelli 2022): «La libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione […] la libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano» (Documento sulla fratellanza umana. Per la pace mondiale e la convivenza comune, 2019). In entrambe le fonti si afferma che la «diversità», intesa come confronto senza scontro, come tolleranza senza confusione di valori, è un’altra parola che accomuna l’anarchia e la religione. Il tutto senza mai sottovalutare come questa liaison parta da fondamenta del tutto diverse tra loro per l’idea ispiratrice, come peraltro era già evidente a proposito delle parole libertà e governo. Infatti, il libro invita più volte a riflettere sul dato di fatto che non dobbiamo mai dimenticare: i due pensieri presentano punti di partenza diversi. Il pensiero cristiano ha il suo fondamento teologico in un Dio che, per amore, ha creato uomo e donna destinati a una vita che si realizza con gli altri. Il pensiero libertario ha il suo fondamento immanente nella «morale della solidarietà» di Kropotkin (Kropotkin 2017) e Errico Malatesta (Malatesta 1975), che si realizza in una vita con gli altri, in liberi accordi che non abbisognano dello Stato, almeno di uno Stato che ha il monopolio legale della violenza (nell’interpretazione di Weber 1965, 1997). Sono fondamenti distanti fra loro, ma che si intersecano, avvicinandosi, in un’economia dove la persona acquisisce un’etica, una cultura che accantona competizione e logica dell’Io per agire secondo cooperazione e logica del Noi. Per fare il punto su questa distanza o vicinanza, possiamo richiamare quanto espresso nella lettera che don Lorenzo Milani scrive al comunista Pipetta: «il giorno che avremo sfondata insieme la cancellata di qualche parco, installata insieme la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordatene Pipetta, non ti fidar di me, quel giorno io ti tradirò» (Milani 1950). Padre Ernesto Balducci chiude il pensiero di don Milani, con un’idea molto vicina a quella anarchica; la libera educazione è importante, ma la liberazione passa anche per l’avversione all’economico e al politico, allorché l’economia diviene sfruttamento e la politica diviene dominio (Balducci 2002).
Dunque, la logica del Noi è indicata dal libro come un’intersezione di rilievo tra i pensieri libertari e cristiani, logica che si riscontra qualora la logica di comunità sia intesa nella dimensione del Noi-tutti, quella che nell’elaborazione di ogni soluzione non lascia mai degli esclusi fra tutti coloro che sono «toccati» da quel problema. Questa è la morale anarchica che si realizza nella logica che guida una federazione di comunità libertarie autogestite secolarmente efficienti (Candela 2014; Candela, Senta 2017; Candela 2021), oppure lo spirito cattolico che afferma un «Noi grande, non piccolino», come vuole l’Economy of Francesco. Il Noi-tutti della morale anarchica e il Noi-grande di Fratelli Tutti sono totalmente differenti dal parochialism, che è il noi non di tutti ma di gruppi versus altri gruppi. È questa una logica del Noi profondamente diversa dal campanilismo, dal populismo e dal nazionalismo, che chiude i tempi della competizione e apre quelli della cooperazione, che sostiene l’affermarsi di una persona libera versus la coercizione del dominio dell’uomo sull’uomo, di gruppi su gruppi. Non l’uno contro l’altro ma l’uno con l’altro, tassello comune del pensiero libertario e della Dottrina Sociale della Chiesa.
Gianfranco Ravasi, nel suo «Breviario» («Il Sole24ore», Domenica, 10 marzo 2024) propone un’efficace sintesi tra pensieri diversi che hanno la comune esigenza di sposare una logica del Noi-tutti. Ravasi parte da una citazione del 1926 del Mahatma Gandhi, la «grande anima» vicina al pensiero dell’anarchia religiosa di Tolstoj (Tolstoj 2019), che comunque conosceva le idee di Kropotkin: «Se potessimo cancellare l’Io e il Mio dalla religione, dalla politica, dall’economia e così via, saremmo presto liberi e porteremmo il cielo in terra» (Gandhi 2019). Purtroppo però – afferma Ravasi – «alligna in politica, in economia, nella stessa religione e nell’esistenza personale l’erba maligna dell’interesse privato come norma unica ed esclusiva», in altri termini domina la logica dell’Io piuttosto che la logica del Noi. Mentre nel Vangelo – continua – è ben chiaro il monito di Gesù: «Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso» (Mr 8,34); «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv, 12,24). Dal nostro punto di vista, la logica di comunità è il tratto comune di certi pensieri dell’anarchia, l’anarchia socialista e l’anarco-comunismo, e di certe teologie della Chiesa cattolica, comunque è certamente ciò che si legge nella Dottrina Sociale della Chiesa.
Il testo si sviluppa attorno all’idea di un’antropologia della logica del Noi, divisa in tredici capitoli trattati in quattro parti. La Parte prima introduce i principi fondanti del pensiero libertario e anarchico, in molte delle sue tante articolazioni. La Parte seconda si sofferma su una ricostruzione storica delle idee libertarie, la storia delle eresie, fino all’anarco pacifismo e alla cosiddetta anarchia religiosa di Lev Tolstoj e Simone Weil. La Parte terza è dedicata al tema dell’economia e della persona nelle Sacre Scritture, Bibbia e Vangelo. La Parte quarta considera la storia della Chiesa cattolica seguendo le parole dei papi dal Medioevo fino all’Economy of Francesco.
Nel loro declinarsi in campo sociale ed economico, i due pensieri presentano vari punti d’intersezione, seppure di diversa natura: veri incontri, semplici sfumature, accostamenti puramente lessicali, coincidenze di fatto. Il libro vorrebbe suggerire riflessioni che scaturiscono da alcune delle intersezioni rilevate, che dobbiamo notare – come ogni pensiero in evoluzione – proseguono anche dopo la «consegna» all’editore del libro, giugno 2023. Vogliamo quindi riferirne due coincidenze recentemente riscontrate.
La prima riguarda la ripubblicazione del saggio autobiografico di Dorothy Day (Day 2023), con l’introduzione di papa Francesco. L’anarchica americana, che ha grande spazio nel libro, è stata proposta per la santificazione dalla Chiesa e dichiarata serva di Dio. Il Papa, dopo avere rilevato che il riferimento alla vita di Dorothy Day è stato sostenuto da Benedetto XVI, tiene a sottolineare la caratteristica interessante della sua vita: l’appartenenza al mondo dell’impegno sociale e sindacale, donando il proprio tempo al servizio degli altri (anche prima di giungere alla fede). Quindi – sostiene Bergoglio – Dorothy Day è una donna libera, un’attivista che dà il suo lavoro per «un amore che sovrasti l’odore nauseante dell’egoismo» (Day 2023: 12). La vicinanza di Day al pensiero anarchico è esplicitamente riconosciuta nella «Nota del curatore» di Robert Ellsherg: «Per anni [Dorothy Day] si era messa in una eclettica cerchia di socialisti, anarchici, letterari bohemienne e ribelli di ogni specie, uniti soprattutto dall’opposizione allo status quo e dal desiderio di un mondo migliore» (Day 2023: 17). Forse anche per questo, la conclusione di papa Francesco torna, infine, a livello teologico affermando che «Il Signore brama cuori inquieti, non anime borghesi che si accontentano dell’esistente» (Day 2023: 10).
Un secondo spunto di riflessione è il recente rilievo che hanno ricevuto alcuni brani di Laudate Deum di papa Francesco sul problema del clima: «Come al solito, sembrerebbe che la colpa [della crisi climatica] sia dei poveri. Ma in realtà […] le emissioni pro-capite dei Paesi più ricchi sono di molto superiori a quelle dei più poveri» (LD 1,9); sono infatti responsabili del degrado del clima le «grandi potenza economiche, che si preoccupano di ottenere il massimo profitto al minor costo e nel minor tempo possibile» (LD 1,13); per concludere che «si tratta di un problema umano e sociale in senso ampio e a vari livelli. Per questo si richiede un coinvolgimento di tutti» (LD 5,58). Alle sue affermazioni il Papa fa seguire la denuncia: «Sono costretto a fare queste precisazioni, che possono sembrare ovvie, a causa di certe opinioni sprezzanti e irragionevoli». Tuttavia, la sua denuncia non rimane generica, senza referenti, poiché il Papa conclude che tali opinioni le «trovo anche all’interno della Chiesa cattolica» (LD 1,14). Orbene, a completamento del nostro punto di vista sul pensiero comparato libertario e cattolico, è importante annotare che questi passi sono esplicitamente richiamati nel mensile libertario «Cenerentola» (novembre 2023), con il rilievo redazionale: «Se lo dice lui».
Sia perché non è facile l’interpretazione dei segnali raccolti nel libro – tuttavia non pochi – sia perché questi raffronti fra anarchia e cattolicesimo sembrano ancora in evoluzione, una conclusione sulle intersezioni dei pensieri libertari e cattolici è difficile da trarre. Forse non è neppure necessaria, per pensieri che credono entrambi nella libertà e nella diversità, che preferiscono sviluppare idee non ideologie, perché le ideologie sono sempre a rischio di imporsi, dato che pretendono di essere uniche e sono la «scusa» dei poteri dominanti: così si esprime l’anarchia (Malabou 2024), così si esprime la Chiesa: «la Chiesa non ha e non può avere ideologie» poiché le ideologie sono steccati che «amplificano odio e intolleranza» (Francesco 2024: 80 e 167). Cionondimeno, il libro chiama a riflettere su questo confronto a 58 anni dal Concilio Vaticano II (1963-1965) e con l’affermarsi di una corrente di pensiero libertario che si ispira agli scritti di Colin Ward apparsi sulla rivista «Anarchy» dal 1961 al 1970. Ward (Ward 2023) parla di un anarchismo pragmatico (e rispettabile) che non ha bisogno dell’ora «fatale» dell’insurrezione, ma che sa generare dal basso una diversa società, una rivoluzione progressiva e praticabile. È così che si può osservare quella convergenza effettiva di azione – di cui parlava don Milani – fra l’autogestione anarchica, un anarchismo organizzato in cui agiscono persone che prendono iniziative prescindendo dello Stato, e il rilievo che la Dottrina Sociale della Chiesa dà ai Corpi sociali intermedi, un livello di comunità in cui agiscono persone che prendono iniziative senza aspettare gli «incentivi» di Corpi sociali superiori. Per questo anarchismo e per questa teologia sociale, autogestione e Corpi sociali intermedi sono utopie capaci di un’effettiva rivoluzione lenta e progressiva. Ciononostante, gli anarchici, i libertari e la Chiesa dell’economia di Francesco danno un valore positivo all’utopia: l’ultimo comma del «Patto per l’economia di papa Francesco con i giovani» (2022), stipulato al termine del convegno di Assisi, afferma: «Noi in questa economia crediamo. Non è un’utopia, perché la stiamo già costruendo», e commentando il pacifismo anarchico di Maria Luisa Bernieri, Antonio Senta afferma: «I critici dell’idea anarchica mettono spesso in evidenza la dimensione utopica di quest’ultima, tuttavia per gli anarchici il termine utopia è, va da sé, tutt’altro che negativo […] è un processo che non conosce soste perché muove continuamente da un obiettivo al successivo» (Senta, Postfazione in Berneri 2022: 465). Tuttavia chiarendo che ciò è vero solo e solamente se le persone si muovono nella direzione delle utopie qui e subito. Infatti, se i tempi delle iniziative da intraprendere sono rinviati a un lontano futuro, le utopie per l’anarchia si trasformano in una menzogna immanente e per la Chiesa in un incanto rinviato a una futura vita trascendente, post mortem.
La violenza di Stato, Chiesa e anarchia è considerata esplicitamente nel testo, poiché questo è un tema che coinvolge la loro storia, verso cui non bisogna nascondersi. Anche in questo caso, l’arte aiuta a fare il punto su ciò che il libro sostiene. Il registra Ken Loach, vicino al pensiero libertario e al mondo di un lavoro umiliato e sfruttato – ricordiamo i suoi film «Terra e libertà» (1995) e «Bread and roses» (2000) – nella pellicola «Il vento che accarezza l’erba» (2006) avanza una drammatica descrizione della violenza che ha coinvolto i moti di indipendenza dell’Irlanda del Nord. A Loach la violenza appare «inevitabile» nel conflitto di ideologie di Stato, tuttavia la sua posizione diviene chiara nella scena finale, allorché un messo annuncia a una donna, mentre è al lavoro nella sua casa e sulla sua terra – una donna che in precedenza aveva subito aggressione e oltraggio – annuncia l’orribile violenza di un fratricidio «politico». La donna reagisce affermando: «Va fuori dalla mia terra», rivolto all’uomo che in quel momento rappresenta fisicamente la violenza. Allora, coniugando l’anarchia pacifista e religiosa con l’enciclica Fratelli tutti, vorremmo virare al generale, particolarmente in questo tempo di guerra mondiale diffusa, l’urlo di rivolta di quella donna contro la violenza: «Vai fuori dalla nostra Terra», dove la «mia» cambia in «nostra» perché la terra è quella con la T maiuscola, la terra di Noi-tutti. È questa la logica di un noi totale e solidale che può eliminare l’egoismo, che è il tratto comune di ogni violenza. In un recente numero di questa rivista (2023, n. 6), i redattori della casa editrice elèuthera di Milano – un editore di «ispirazione libertaria» – hanno affermato che il fine del loro lavoro è riportare l’anarchismo nel presente per «permettere alle voci anarchiche di risuonare forti e chiare al di fuori delle mura del ghetto (un ghetto in cui peraltro non ci hanno rinchiuso, ma in cui ci siamo rinchiusi)». Parlare quindi con l’antropologia, la sociologia, l’ecologia, l’economia, la biologia per riscontarvi concomitanze. Questo è proprio quello che il libro vorrebbe fare per l’economia, la sociologia e l’antropologia, partendo da pensieri minoritari, come quello libertario e quello cristiano-cattolico.
Nel parlare con l’economia, la proposta del libro è di muovere dall’economia del homo oeconomicus verso un’economia antropologica, dove acquista spazio una ricerca che trae spunti di analisi dall’antropologia. Assumendo così una visione più ampia di quella di una persona mossa in economia politica dal self interest e in politica economica di uno Stato che agisce come uno Stato benevolente. L’economia antropologica, infatti, deve considerare la persona motivata dall’esclusivo interesse dell’Io ma anche dell’altruismo del Noi, fra cui ci sono l’uomo e la donna che perseguono l’etica religiosa o l’etica della morale anarchica… e quanto altro. Modelli diversi che studiano, comparandole, logiche di comportamenti e di società diverse per vedere dal confronto chi, avendo fatto scelte differenti, «si troverà peggio» (Malatesta 2009), ovviamente in termini di felicità e non di Prodotto Interno Lordo (PIL).
Un’economia antropologica, dunque, che sviluppi modelli in cui intervengono lo Stato o l’autogestione, lo Stato benevolente (di tutti) o malevolente (di alcuni contro altri), il mercato o il dono, la competizione o l’aiuto reciproco, la proprietà o i beni comuni, e che possa trarre spunto anche dal pensiero libertario e dal pensiero religioso, quindi conservando gli strumenti analitici dell’economia ma evitando la trappola del riduzionismo antropologico (Candela 2021).