La produzione di soggettività nel lavoro contemporaneo: bullshit jobs, lavoro immateriale e la corrosione del carattere
Molti degli studi realizzati negli ultimi decenni sul carattere del lavoro contemporaneo arrivano a conclusioni simili, nonostante i diversi punti di vista: il lavoro oggi non sembra essere tanto un mezzo per oggettivarsi o per costruire un’identità personale, quanto un’attività spesso debilitante, che induce al consumo di merce e favorisce soggettività funzionali al sistema. Il necessario cambiamento storico che la situazione attuale richiede avrà invece bisogno di identità solide e di un “pensiero forte” in un mondo che si sostiene su processi ugualmente forti.
Negli ultimi decenni è comparsa una copiosa bibliografia dedicata ad esaminare criticamente le caratteristiche delle forme di lavoro sorte dopo la crisi del modello di produzione fordista. Buona parte di queste analisi si occupa non tanto della dimensione economica dei nuovi lavori, bensì delle conseguenze che essi hanno sulla psiche del lavoratore. In base alla presenza del tema psicologico in questi studi, si direbbe che c’è qualcosa negli impieghi attuali che concerne la questione spirituale molto di più che nei lavori del passato. Per esempio, secondo Richard Sennett, la flessibilità che si esige al lavoratore o la sua costante esposizione al rischio, spesso associate ai lavori in voga, deteriorano il suo benessere animico e danno origine a quello che questo autore ha denominato «corrosione del carattere» (Sennett 2004). Maurizio Lazzarato, appoggiandosi su alcune delle analisi di André Gorz per quanto riguarda la progressiva smaterializzazione dei lavori, mostra come il proposito di ciò che denomina «lavoro immateriale» non consiste più in produrre oggetti tangibili, bensì nella produzione di soggettività, in primo luogo della soggettività del proprio lavoratore (Lazzarato 1996). D’altra parte David Graeber ha rivelato come nella nostra epoca una parte significativa degli impieghi consista di attività non necessarie che il sistema crea per ridurre il livello di disoccupazione -nell’ambito pubblico (Graeber 2018: 211)- o -nel privato- come una forma di reinversione incomprensibile in una logica produttivista (Graeber 2018: 241). In molti casi la sua inutilità, apparente o reale, ha importanti conseguenze psicologiche per il lavoratore (Graeber 2018).
Ciascuna di queste analisi rileva aspetti particolari del lavoro contemporaneo; alcune sono più attuali di altre.