I gruppi di auto/mutuo aiuto: relazione e comunità
«Secondo la collaborazione reciproca (con un partner o con i gruppi di mutuo aiuto), siamo tutti a un tempo forti e deboli, capaci e incapaci, colti e ignoranti, curati e curatori, e perciò possiamo usare tutte le nostre energie positive per aiutarci reciprocamente».
Jerome Liss
L’uomo è un animale sociale: tra le sue caratteristiche precipue vi è quella di costruire molteplici relazioni sociali, a vari livelli. Questo articolo analizza un tipo speciale di interazione di gruppo, parzialmente diversa da quella che mettono in opera alcuni movimenti politici: non si occupa, infatti, dei gruppi di affinità a vocazione politica, ma di quelli di auto/mutuo aiuto. Obiettivo del seguente contributo è di sviscerare gli elementi di peculiarità di tali gruppi, mettendo in luce l’importante ruolo che anch’essi possono assumere nella costruzione di una comunità genuinamente libertaria.
Premessa
In genere, sono considerati gruppi primari quelli caratterizzati dal prevalere dell’interazione faccia a faccia, da un’intensa collaborazione e da un profondo senso di appartenenza. I gruppi di affinità ne possono essere considerati un sottotipo. Nel suo libro Dallo stato alla comunità, John Clark aggiorna la concezione dei gruppi di affinità, analizzando la forma che hanno assunto neimovimenti alternativi degli ultimi decenni. Clark evidenzia gli elementi costitutivi di tali gruppi: l’attivismo basato sull’amicizia, la condivisione di valori, cause, obiettivi e tipo di azione (prevalentemente nonviolenta), la scelta di pratiche egualitarie, autonome e partecipative. In questo modo, il gruppo tende a oscillare tra una presenza temporanea legata al sostegno di una campagna promossa dai movimenti, al consolidamento di strutture che tendono a prefigurare «il mondo nuovo» a partire da «un sistema auto-organizzato per la costruzione di relazioni sociali alternative» (Dupuis-Déri in Clark 2023: 60).
Mentre i gruppi di affinità sviluppati nei movimenti alternativi rivolgono la loro azione verso la trasformazione radicale della società, cercando di operare in modo coerente con i propri fini, un altro tipo di gruppi di affinità, definiti di auto/mutuo aiuto, partono dal sostegno reciproco tra pari per realizzare la trasformazione della persona, magari passando per «la costruzione di relazioni sociali alternative» e, a volte, arrivando a collegare il gruppo in un contesto di comunità in trasformazione; in ogni caso, il gruppo deve fare i conti con la sua dimensione di microsocietà in evoluzione, non può operare come situazione laboratoriale avulsa dal contesto sociale.
I gruppi di auto/mutuo aiuto nascono, quasi un secolo fa, dalla convinzione che un gruppo di persone che condivide problemi o condizioni ha la capacità di sviluppare dinamiche di mutuo sostegno, finalizzate a fronteggiare problemi personali. Nel fare questo, il gruppo si trova ad affrontare dinamiche relazionali e valoriali che vanno oltre l’autorealizzazione individuale. Si può ipotizzare che siano questi aspetti che portano a intrecciare naturalmente la storia dei gruppi di affinità con quella dei gruppi di mutuo aiuto; la riflessione sulle pratiche di quest’ultimo ambito può aiutare la crescita dei primi.
La condivisione delle informazioni e delle esperienze, la libertà di espressione anche dei propri tabù personali, l’elaborazione partecipata di regole e processi organizzativi, il progredire del senso di interdipendenza dei partecipanti rispetto allo scopo scelto insieme, il sostegno emotivo reciproco che nasce a prescindere dalle diversità, l’attivazione dei processi di reciprocità in modo cooperativo, la creazione di un clima emotivo favorevole alla sperimentazione delle alternative di vita, l’energia potenziata dal sentire la forza e la solidarietà del gruppo, tutto ciò favorisce la formazione di nuovi modi di comunicare, interagire e guardare alla realtà sociale (Steinberg 2002: 37-52).
L’esperienza nel mondo della scuola
Fornito un quadro sommario delle relazioni tra gruppi primari, di affinità e di auto-aiuto, è ora di volgere l’attenzione verso alcuni casi studio di gruppi di mutuo aiuto, formatisi in ambito scolastico.
L’esperienza del gruppo di mutuo aiuto nella scuola di cui anzitutto intendo parlare nasce in un istituto superiore di Mantova circa venti anni fa. Con l’aiuto dei facilitatori dell’associazione per il benessere mentale Oltre la Siepe si decise di suddividere gli studenti in tre gruppi, per affrontare la difficile situazione di una classe multiproblematica. Due facilitatori dell’associazione introdussero le regole del mutuo aiuto negli incontri settimanali. L’elemento che smosse subito la situazione fu la condivisione delle informazioni sulle difficoltà presenti. L’attenzione dimostrata dai facilitatori contribuì poi a creare quel clima di fiducia necessario all’assunzione di responsabilità nella gestione dei problemi della classe.
Qualche mese dopo il progetto fu esteso ai genitori degli alunni certificati, che cominciarono a ritrovarsi periodicamente per condividere informazioni ed esperienze nell’affrontare i problemi comuni. Si creò subito un clima di fiducia che favoriva progressivamente la libertà di espressione su temi che fino a quel momento erano rimasti un tabù familiare.
All’inizio di ogni percorso si discutevano spazi, orari, regole e scopi degli incontri. A turno veniva scritto un diario libero, che andava a formare una storia di senso del gruppo. Un genitore espresse così il suo stato d’animo: «Noi genitori di figli con difficoltà siamo soli, il poter esprimere le proprie emozioni e le proprie paure a persone che sai che ti capiranno profondamente è già un sollievo». Un altro genitore sottolineò il legame solidale di interdipendenza con gli altri: «Abbiamo formato un gruppo di famiglie per passare momenti insieme e fare in modo che i nostri figli si trovino fuori dalla scuola per fare una vita sociale più aperta».
Qui va fatta una prima riflessione sulle iniziative promosse grazie al gruppo ma fuori dal gruppo. Non basta considerarle una ricaduta positiva: questi genitori che si organizzano per facilitare la gestione del tempo libero ai figli che si sono conosciuti in occasione degli eventi conviviali del gruppo dimostrano di aver colto il senso di tutte le attività proposte in un progetto che tende a favorire la formazione di un sistema sociale complesso autodeterminato.
Intanto a scuola riuscimmo, sia pure temporaneamente, a proiettare l’aspetto orizzontale del gruppo all’interno del progetto del doposcuola, dove gli alunni si organizzarono in piccoli gruppi per aiutarsi nello studio. Provvedemmo anche alla formazione di un gruppo misto (costituito da docenti empatici e studenti che avevano sperimentato i gruppi mutualisti in classe) di ascolto, che gestì uno sportello di incontro con gli studenti per un anno scolastico.
Dopo alcuni anni di sperimentazione, si sentì la necessità di costruire un percorso formativo a livello di gruppo classe a partire dal biennio, con la finalità di sviluppare quelle abilità sociali che sono utili nella gestione delle dinamiche relazionali che ogni gruppo primario si trova ad affrontare: la costruzione di identità plurali, la comunicazione empatica, la soluzione dei problemi, la gestione dei conflitti (anche con l’insegnante), ecc. Nel suo scritto Conflitti, riconoscimenti, mediazioni, Andrea Canevaro specificò:
«Gli elementi da cui può nascere l’auto-aiuto sono propri del gruppo o di singoli alunni che fanno parte del gruppo. L’insegnante, che del gruppo fa parte e nello stesso tempo è osservatore privilegiato, ha la possibilità di valorizzare e dare forza alla dinamica dell’auto-aiuto» (Canevaro 2007: 8).
Questo percorso venne prima proposto all’interno degli istituti superiori, poi, con qualche adattamento, anche nelle scuole medie.
Col tempo emersero tendenze che cambiarono radicalmente le dinamiche dei gruppi degli adulti. Nel gruppo dei genitori partecipavano anche insegnanti e ciò arricchiva gli incontri, perché consentiva di vedere i problemi sotto un duplice aspetto e promuoveva una nuova modalità di comunicazione tra scuola e famiglia, che andava oltre la discussione sull’andamento scolastico degli alunni. In pratica, arrivammo ad adottare la modalità proposta dal pedagogista Riziero Zucchi, quella del gruppo di narrazione composto da genitori e docenti. Durante questa lunga esperienza, abbiamo sperimentato anche la rotazione del ruolo del facilitatore fra i partecipanti del gruppo.
Un’altra riflessione riguarda proprio il rischio di identificarsi con il facilitatore «abilitato», creando una situazione di appartenenza precaria. In Germania, dove questi gruppi sono molto numerosi, il facilitatore segue il gruppo solo per alcuni mesi, poi questo si autogestisce. In Italia, fu la rivista «Animazione Sociale» ad affrontare per la prima volta questo problema, in un articolo scritto nel 2009 da Leopoldo Grosso. In un numero monografico, si parla esplicitamente di«licenziamento del conduttore». Si tratta di un atto simbolico che caratterizza la fase «dell’appropriazione dell’identità di gruppo, con un crescente bisogno di autogestione globale», di una proiezione esterna che finisce talora col portare alla formazione di un’associazione capace di promuovere servizi ed attività per i propri associati (Grosso 2009: 117). Anche Dominique Steinberg afferma che «un gruppo maturo dovrebbe essere in grado di farsi carico in modo quasi autonomo della propria gestione, e quindi funzionare come sistema i gruppi di auto/mutuo aiuto» (Steinberg 2002: 86). In altre situazioni, si trova un equilibrio funzionale fra appartenenza all’associazione ombrello dei gruppi di mutuo aiuto e appartenenza all’associazione di settore del gruppo specifico.
Va infine aggiunta una variante che rappresenta un’evoluzione delle buone pratiche mutualiste, l’esperienza dei gruppi dialogici di origine finlandese. Tale esperienza ha coinvolto la psichiatria e la scuola e non nasce a caso. Anche nella recente storia italiana, noti psichiatri come Eugenio Borgna hanno rilevato che raggiungevano il massimo della loro efficacia quando si ponevano al livello del paziente: «Non c’è dialogo possibilein psichiatria se non quando la relazione originariamente asimmetrica, fra chi cura e chi è curato a mano a mano si trasforma in relazione la più possibile simmetrica» (Borgna 2017: 54). Inoltre i finlandesi avevano da tempo studiato l’esperienza del pedagogista Carlo Perticari, riportata con le dovute osservazioni nel loro testo base, Metodi dialogici nel lavoro di rete.
Nonostante questi precedenti, in Italia è soprattutto nei servizi psichiatrici che si sperimenta e, talora, si porta a sistema lo strumento del gruppo dialogico. In breve, vi sono C.P.S. (Centri psico sociali), gruppi formati da utenti, familiari, volontari, operatori e dirigenti psichiatrici che si trovano periodicamente per progettare attività di riabilitazione e di emancipazione e dove tutti partecipano alla pari.
Ho avuto l’occasione di seguire un sottogruppo formato da giovani utenti che si sono organizzati in modo autonomo per promuovere iniziative di prevenzione del disagio psichico nella scuola, in concreto per aiutare i coetanei ad affrontare situazioni che loro avevano già vissuto. In questi ultimi anni, in cui nella scuola sono aumentati i casi di disagio psichico (disturbi alimentari, atti di autolesionismo, ecc.) anche a causa del lockdown introdotto nel periodo del covid, il mutualismo sembra assumere una dimensione resistenziale umanitaria tale da garantire la difesa del gruppo come la sua evoluzione comunitaria.
Empowerment e comunità
Per alcuni teorici, la gestione dei gruppi di mutuo aiuto non è che una competenza aggiuntiva degli operatori sociali. Questo atteggiamento riflette una cultura socio-sanitaria, che vede nel mutuo aiuto una tecnica complementare della cura e una funzione subalterna al sistema sanitario. Sempre Leopoldo Grosso ricorda che il gruppo di mutuo aiuto «è immerso nella comunità locale, ne diventa un punto rete, crea collegamenti, interazioni, coinvolgimenti» e fa parte di una possibilità di riappropriazione di «un ruolo che consiste nella capacità di ognuno di aiutare gli altri», «ruolo che è stato delegato, espropriato dallo stato di benessere» (Grosso 2009: 122).
Rispetto a questa visione, si configurano dinamiche alternative del mutuo aiuto a partire da quello dell’empowerment che oscilla dalla dimensione individuale, a quella gruppale e a quella comunitaria. Secondo la psicologa sociale Matrizia Montero, l’empowerment (fortalecimiento) è «un processo attraverso il quale individui, gruppi o comunità sviluppano capacità e risorse per controllare la propria situazione di vita […] per arrivare alla trasformazione del proprio contesto in base alle proprie necessità e aspirazioni, trasformando al contempo se stessi» (Converso, Hindrichs 2009: 91).
Questo approccio supera la visione subordinata e individualista di certi operatori del mutuo aiuto per sviluppare una prospettiva collettiva che collega l’emancipazione del gruppo a quella della comunità, affrontando la problematica del trasferimento dei valori e delle pratiche del mutuo aiuto a un livello sociale più ampio.
Concludendo, nei movimenti sociali si va configurando un nuovo paradigma, per il quale la caratteristica della dinamica orizzontale assume un valore fondante, non solo per un’organizzazione sociale, ma anche per l’ambito della cura, unitamente all’aiuto reciproco, alle pratiche cooperative, all’empowerment e all’empatia.
Stefano Mancuso è riuscito a dare una grande forza a questo messaggio libertario, che diventa visione e proposta di comunità (direbbe John Clark), quando scrive: «in questi modelli organizzativi diffusi, senza centro di comando, come nelle piante, i centri decisionali si diffondono e nascono spontaneamente a livello periferico, cioè lì dove devono essere per risolvere con esattezza i problemi» (Mancuso 2019: 69).