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I beni comuni nel pensiero libertario

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È in reazione al neoliberismo che all’inizio degli anni Ottanta prende piede il movimento dei beni comuni. Il suo principio? L’autorganizzazione decentralizzata delle comunità di vita e di lavoro. I suoi obiettivi? Da un lato riappropriarsi e preservare le risorse di fronte alle molteplici forme di privatizzazione e di rapina, dall’altro esercitare l’autogoverno attraverso l’elaborazione di regole comuni. Se è vero che quello dei beni comuni è un movimento eterogeneo, è altrettanto vero che i suoi princìpi ispiratori richiamano quelli che costituiscono l’ossatura principale dell’anarchismo. Malgrado le numerose teorie che a esso si richiamano, l’anarchismo poggia su alcuni princìpi che possono costituire un denominatore comune. Possiamo concepirli ogni volta in una duplice accezione: negativa e positiva. Il rifiuto dell’autorità coercitiva, incarnata dallo Stato o dal governo, rimanda alla libera associazione o alla federazione di individui e gruppi; il rifiuto del capitalismo e dello sfruttamento rimanda all’abolizione delle classi sociali attraverso la riorganizzazione della produzione; il rifiuto dell’alienazione conduce allo sviluppo dello spirito critico e antidogmatico, primo passo per spezzare la servitù volontaria.