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Editoriale n. 7

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Un nuovo anno inizia, drammaticamente, all’insegna delle guerre e della morte, della distruzione e dell’odio.Guerra, nel martoriato Medio Oriente, tra Israele e Hamas, con pesantissimo coinvolgimento delle popolazioni civili inermi e di diversi altri paesi, confinanti e non; guerra – che continua, trascinandosi ormai due anni – tra la Federazione russa e l’Ucraina; conflitti, colpi di Stato, guerre civili in varie parti del globo.Sostenere che la guerra non è il mezzo più giusto e appropriato per la risoluzione della controversie internazionali (o nazionali), riprendendo la nota formula dell’articolo 11 della Costituzione della repubblica italiana, significa, al contempo, ripetere una cosa vera e facilmente constatabile, ma anche fare una affermazione purtroppo retorica. Utopistica, nel senso volgarmente comune del termine, in quanto evocatrice di una impossibilità politica. Giacché proprio la Costituzione italiana (1948), nel suddetto articolo, chiamava a svolgere un ruolo di pacifico arbitrato istituzionale le «organizzazioni internazionali», sottintendendo, in particolare, le neonate Nazioni Unite (1945), che avrebbero dovuto, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, garantire finalmente all’umanità un futuro di pace e benessere, limitando direttamente, sul piano del diritto internazionale e, più indirettamente, su quello del diritto nazionale, la sovranità e lo strapotere degli Stati nazionali.Così invece, in gran parte non è stato. Né poteva essere. Quell’ordine internazionale, che le istituzioni sovranazionali si impegnavano formalmente ad assicurare, nasceva su una base politica troppo diseguale, che si riflette, palesemente, nella struttura e nel funzionamento poco democratico dell’ONU, organizzazione formata, peraltro, da molti Stati retti in modo autoritario o dittatoriale. E si sovrapponeva a una realtà economica e sociale a sua volta contrassegnata da forti disparità e diseguaglianze. Sicché quel fragile equilibrio, su cui era sorto il nuovo mondo delle potenze vincitrici del Secondo conflitto mondiale, non era destinato, per sua natura, a durare a lungo. Immediatamente, infatti, si spezzò, già nel 1950, con la guerra di Corea, che rivelò al mondo quanto sostanzialmente «calda» fosse, in realtà, quella guerra definita eufemisticamente, a partire da Lippmann, «fredda», che vedeva contrapporsi il mondo delle democrazie capitaliste e dei loro alleati, spesso illiberali e antidemocratici, e quello totalitario del comunismo realizzato: una guerra combattuta spesso per procura, ma non meno crudele e devastante delle precedenti.

A distanza di quasi ottant’anni dalla sua nascita, dopo decine di guerre e stragi a cui raramente le istituzioni sorte per prevenirle o almeno contenerle sono state in grado di porre un limite efficace, l’«ordine» internazionale mostra tutta la sua tragica impotenza, rivelando, sempre più, le insanabili contraddizioni su cui è stato pensato ed edificato. Sono sempre gli Stati nazionali e le loro variabili alleanze armate a dettare, a dispetto di trattati e convenzioni da essi stessi promulgati, i tempi dell’agenda politica internazionale; sono sempre le grandi organizzazioni economiche sovranazionali a condizionare il libero fluire dell’attività politica e sociale.

A fronte di tutto ciò, non possiamo certamente che auspicare, nell’immediato, il ripristino di condizioni minime di esistenza e di pace per le popolazioni civili vittime innocenti dei conflitti, il ritorno a una situazione non guerreggiata, la sconfitta di ogni militarismo, integralismo religioso, l’avvio di percorsi di pace che garantiscano al contempo la sicurezza dei popoli e l’autodeterminazione di tutti i soggetti collettivi coinvolti. Ma la politica di sanare, «a valle», alcuni problemi in modo da far cessare quanto prima le ostilità armate, deve essere affiancata dalla reale volontà di dar vita, «a monte», a progetti autenticamente riformatori, lungimiranti perché basati su un deciso cambio di passo e su modifiche strutturali di sistema, capaci di creare quelle condizioni di giustizia politica e sociale che sole rendono credibili e duraturi gli accordi di non belligeranza tra le istituzioni e i popoli. A partire dall’esistente, dalla «diplomazia dal basso», dalle realtà che cooperano a livello di economia e società civile; dando vita a progetti culturali ed educativi fondati sulla laicità, sulla lotta ai fondamentalismi religiosi, sul rispetto dell’altro, sulla pace. Occorre uscire dalla pericolosa illusione che le istituzioni preposte al governo mondiale, espressione di assetti di potere intrinsecamente autoritari e ingiusti, possano essere la fonte da cui scaturisce, non si sa per quale magia, una realtà opposta, fondata sulla libertà, la giustizia, la fraterna collaborazione. È necessario limitare il potere degli Stati dal basso: favorire la cooperazione, il mutuo appoggio, nella società civile, lo sviluppo di strutture federali e confederali di potere capaci di creare un ordine superiore a quello degli Stati nazionali, per propria natura basato sulla divisione e sulla contrapposizione. Progetti in questo senso erano stati formulati, per esempio, in riferimento alla realtà israelo-palestinese: meriterebbero di essere ripresi, meditati e attualizzati.

La nostra piccola rivista si impegnerà, nei prossimi numeri, a farli conoscere, presentando, al contempo, esperienze di solidarietà e mutuo soccorso nelle zone di attrito e conflitto, nella speranza che possano servire da esempio e moltiplicarsi. Alimentiamo con forza e convinzione la speranza di costruire un mondo più libero e più giusto: non è solo un nobile desiderio ma, sempre più, una necessità storica e politica.

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Il numero 7 di «Semi sotto la neve» affronta i temi della violenza e della resilienza, dell’oppressione e della libertà, con una particolare attenzione alle forme di mutuo appoggio e di solidarietà libertaria.

Nelle esperienze: Jacopo Anderlini descrive alcune coraggiose realtà che praticano forme auto-organizzate di assistenza ai migranti che tentano di raggiungere a piedi la Francia dall’Italia, attraverso pericolosi sentieri alpini; il Centro Veneto Progetti Donna si racconta, alla luce della sua pluridecennale attività di lotta alle violenze contro le donne, che comprende ascolto, sostegno, aiuto legale, ma anche opera di sensibilizzazione culturale su vari livelli di contrasto all’ideologia del patriarcato; sullo stesso tema, Anna Lisa Bertolo e Maurizio Giannangeli ricostruiscono la storia di Maschile Plurale, associazione di uomini che lavora alla creazione di un immaginario maschile liberato dal desiderio di dominio e sopraffazione.

Negli approfondimenti, due interventi riflettono sullo sviluppo tecnico delle società contemporanee e pongono questioni ineludibili circa il rapporto tra mezzi e fini: Pamela Boldrin svolge una riflessione critica sul tema dell’intelligenza artificiale, sulle potenzialità positive e soprattutto i rischi della creazione di una coscienza digitale che, come avevano prefigurato le distopie fantascientifiche, fornisce al dominio nuove formidabili capacità di controllo, rendendosi sempre più autonoma dalla mano del suo creatore; Anselm Jappe indaga gli elementi che spiegano l’enorme diffusione del calcestruzzo nel Secondo dopoguerra, evidenziando la stretta interconnessione esistente tra l’utilizzo del cemento come materia di costruzione e il produttivismo capitalista.

Nella conversazione, Gabriel Kuhn, poliedrico intellettuale e militante libertario, a colloquio con Matthew Wilson, si interroga sui limiti della progettualità anarchica, sulla necessità di riflettere sulle carenze organizzative dell’anarchismo e sull’urgenza di elaborare risposte concrete ai grandi problemi che attanagliano il genere umano, in linea con lo spirito rivoluzionario della tradizione libertaria.

Nell’internazionale, Martin Bartenberger sviscera gli elementi di democrazia radicale presenti nella filosofia pragmatista di John Dewey e individua alcune importanti affinità col pensiero libertario, in particolare con le tesi sulla democrazia diretta elaborate da David Graeber.

Nelle radici vengono presentati due personaggi centrali della cultura libertaria tra Otto e Novecento: Francesco Codello ricostruisce la biografia intellettuale di Marie Isidorovna Goldsmith, scienziata e attivista anarchica di grande caratura legata, in particolare, alla figura di Kropotkin, mentre A. Soto ripercorre la traiettoria filosofico-politica di Albert Camus, gigante della letteratura mondiale, filosofo libertario molto vicino al movimento anarchico.

Uno spazio importante viene dedicato da «Semi sotto la neve» alla musica con Maurizio Bettelli, che analizza l’opera di Woody Guthrie, il maestro della canzone statunitense di impegno sociale, e ai libri, con le recensioni di Chiara Gazzola e Francesco Berti.

Infine, viene inaugurata una nuova rubrica, il vocabolario politico di Bieffe, che analizza in questa occasione il tema della violenza e nonviolenza.

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Con dolore comunichiamo alle nostre lettrici e ai nostri lettori la scomparsa di Roberto De Grandis avvenuta a inizio dicembre. Roberto ha curato la scelta delle illustrazioni della rivista fino a oggi, trovando la collaborazione di diversi artisti, oltre a contribuire con undici ritratti alla rubrica radici. L’ultimo suo lavoro che pubblichiamo è un ritratto di Albert Camus che trovate in questo numero e più in generale le ultime sue opere sono quelle che potete trovare in copertina e all’interno di un libro del nostro comune amico e collaboratore Guido Candela sul rapporto tra il pensiero libertario e quello religioso in via di pubblicazione per Franco Angeli.

Generoso e disponibile, ha dato concretezza alla grande considerazione che aveva del nostro lavoro e delle nostre idee, unendo in maniera originale l’amore per l’arte con l’impegno umano e sociale. Grafico, incisore, illustratore, pittore, curatore di mostre, è stato un grande artista del quale, come ci scrive il suo collega e amico Pier Paolo Del Bianco, sentiremo parlare nel tempo. A Roberto il nostro pensiero, alla moglie Sandra e al figlio Davide il nostro abbraccio sincero.

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Confidiamo sempre nel sostegno attivo, partecipato e critico dei nostri lettori: in questo numero presentiamo anche una nuova veste grafica in uno sforzo di rinnovamento della rivista che, un po’ alla volta, si fa conoscere da un pubblico sempre più ampio. Non potendo contare in una rete di distribuzione commerciale, siamo costantemente alla ricerca di nuovi diffusori, di maggiori contributi, di organizzare presentazioni e dibattiti: aspettiamo commenti e proposte!