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Editoriale n. 10

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Mentre chiudiamo il n° 10 di Semi sotto la neve, un devastante incendio sta finendo di bruciare vaste zone di Los Angeles. Un’area immensa, grande quanto San Francisco, è andata letteralmente in fumo in pochi giorni, trasformando un ambiente boschivo, coltivato o abitato in un terreno nero, fumante, morto. Nella civiltà di Internet e di Instagram, di Space X, delle auto volanti e dei treni che viaggiano a 600 km all’ora, l’uomo si ritrova sempre più impotente di fronte ai cataclismi naturali, più incapace di spegnere i roghi o di fronteggiare le alluvioni rispetto a 100 anni fa, quando la maggior parte degli esseri umani si muoveva ancora a piedi o a cavallo. L’enorme, indubbio balzo tecnologico della società post-industriale non ha ancora finito di trasmettere a troppi un insano senso di superiorità sull’elemento naturale, una tracotante sensazione di poter dominare, controllare e determinare l’evoluzione della nostra casa comune e delle migliaia di specie viventi che la popolano. Quanto gli eventi stiano andando in una direzione addirittura contraria ce lo spiega, nell’articolo per questi motivi simbolo di questo numero, il nostro redattore Marco Antonioli: la terra, l’aria, l’acqua e il fuoco, quasi assumendo le sembianze di moderni cavalieri dell’Apocalisse, si ribellano sempre più a un modello di crescita e sviluppo che deve essere profondamente rivisto, pena la distruzione del pianeta, la sua trasformazione in un ambiente inadatto alla vita.

Perché questa ribellione possa davvero determinare un radicale cambiamento di indirizzo, è necessario che alla rivolta della natura faccia seguito quella delle donne e degli uomini dotati di una coscienza civile. Basta guerre, basta ingiustizia, basta illibertà! Come scrivevamo nello scorso numero, non solo il pianeta brucia, arso da incendi prodotti da incuria umana e riscaldamento globale; l’umanità arde a causa di guerre troppo lunghe e devastanti, come quelle che affliggono ucraini e russi, israeliani e palestinesi. E molti altri popoli e zone del pianeta non godono di una salute troppo migliore. Non è solo l’inaccettabile sofferenza delle società civili, delle vittime innocenti a suscitare tormento e destare indignazione. È che la guerra, soprattutto se prolungata, lascia in chi sopravvive ferite profonde, rabbia e rancore che faticano a stemperarsi e che sono spesso l’anticamera e l’incubatrice di nuovi conflitti. La guerra è la massima espressione della violenza dell’uomo sull’uomo, dell’istinto o della volontà di dominazione e di sopraffazione. La guerra trasforma la società, modifica i rapporti sociali, legittima la gerarchia, fa emergere alla lunga le pulsioni più negative. Rende peggiori i vincitori e i vinti. La guerra non è solo nemica della pace, è nemica della libertà. E il ritorno alla pace non è una garanzia sufficiente. Nelle ultime settimane si è forse conclusa, in Siria, una guerra civile e internazionale durata quasi 15 anni, che ha provocato un numero di vittime forse superiori al mezzo milione. Il principale responsabile, Bashar al-Assad, è fuggito impunito in Russia, mentre il potere è stato preso da una eterogenea coalizione di forze, con a capo un ex (?) jihadista, al-Jolani. Quanto potrà durare la pace così faticosamente raggiunta?

La vera pace non può che crescere all’ombra della libertà e della giustizia sociale. Ecco perché le guerre ricominciano sempre, spesso negli stessi posti dove erano cessate poco tempo prima. Ecco perché il pacifismo, senza l’antimilitarismo e il socialismo autogestionario, è un rimedio poco efficace per contrastare le derive belliciste del mondo contemporaneo. Occorre accrescere il tasso di cooperazione libera nella società, perché solo questo è garanzia profonda di pace e di rispetto degli uomini tra di loro e verso la Madre Terra. Come scriveva Kropotkin più di cento anni fa, non vi è che un «istinto che si è lentamente sviluppato tra gli animali e fra gli uomini nel corso di un’evoluzione estremamente lunga, che ha insegnato», o dovrebbe insegnare, «tanto a gli animali quanto agli uomini la forza che possono acquisire dalla pratica del mutuo appoggio e dell’aiuto reciproco, e le gioie che possono trovare nella vita sociale». Questa – lo ripeteremo allo sfinimento – è la mission della nostra rivista. Lo è perché sappiamo – l’esperienza continua ce lo insegna, nel male e nel bene – che è l’unico futuro possibile, per l’uomo e per la natura. Partiamo dai piccoli esempi, dalle piccole esperienze, per generare un cambiamento macro-sociale. Ed ecco il numero! Le opere di Giulietta Gheller che lo attraversano raccontano del rapporto sostanziale tra uomo e natura e le due performance Ostrakon e Requiem, in cui l’artista sacrifica le proprie sculture distruggendole, riflettono sul tema dell’irreversibilità della nostra condizione richiamandoci a una responsabilità di fronte al presente. Nelle esperienze: A. Soto illustra la storia e l’attività della federazione italiana dei Centri di Esercitazione ai Metodi dell’Educa zione Attiva, un’organizzazione internazionale basata sui principi dell’educazione partecipativa, sviluppatasi in Italia a partire dagli anni Cinquanta grazie all’impulso di Margherita Fasolo e al successivo impegno di Lamberto Borghi. Si tratta di una struttura che compie una doppia attività, di formazione e di gestione di momenti educativi e che si propone di contribuire all’emancipazione delle persone lungo l’intero arco della vita, applicando un principio di educazione permanente e non-coercitiva, in modo da assicurare una formazione civile di qualità. Valeria Giacomoni interroga l’esperienza spagnola dei Traficantes de sueños, progetto editoriale e politico che colloca al centro della sua pratica il valore comunitario del libro. La cooperativa, situata a Madrid, è insieme casa editrice, libreria che si occupa della distribuzione e centro sociale, dato che nei suoi locali si offrono corsi, dibattiti, proiezioni e riunioni. Traficantes è certo conosciuta per aver creato un modello di produzione sostenibile grazie al download gratuito dei testi, ma ha elaborato una proposta molto più audace, il sogno di trasformare i testi in strumenti collettivi di pensiero, in modo che la pratica della lettura sia in grado di creare una plusvalenza di relazioni sociali. Infine, il collettivo delle Erbe matte presenta la propria esperienza, ormai decennale, di agricoltura biologica e di pratica contadina fondata sui principi del mutuo appoggio, della condivisione e della partecipazione. Nato nel bolognese, per poi diffondersi a livello nazionale, Genuino Clandestino è un movimento formato da contadini e contadine, simpatizzanti e coproduttori, persone che scelgono concretamente di solidarizzare con chi trova nella terra la sua forza e potenzialità produttiva e sociale, il cui nucleo portante è l’assemblea autogestita di contadini e simpatizzanti. Negli approfondimenti. Marco Antonioli, come anticipato, prende spunto dalle disastrose alluvioni autunnali che hanno devastato Valencia e alcune regioni italiane per riflettere sulla crisi sistemica dovuta al riscaldamento globale. La ribellione della natura mostra che è l’intero sistema a essere in crisi, e solo un cambiamento altrettanto sistemico potrà darci una speranza di futuro. Non è più tempo di mezze misure o di compromessi: il nostro rapporto con il pianeta va modificato radicalmente e per farlo è necessario adottare un nuovo paradigma culturale nel rapporto tra uomo e natura, prima ancora che un nuovo modello di sviluppo economico e sociale. Carne Ross, già diplomatico di primo piano per il governo britannico, è divenuto da diversi anni un apostolo della diplomazia non-governativa e un sostenitore delle idee libertarie. Nell’articolo qui proposto riflette sulla sua visione esplicitamente anarchica, mettendo in luce il fatto che l’anarchismo non è solo una filosofia politica che si propone di trasformare in senso socialista e autogestionario la società, ma anche una visione spirituale, che chiama l’uomo a compiere una rivoluzione interiore. La pratica esistenziale dell’anarchismo implica l’adozione di relazioni non gerarchiche, egualitarie, ponendo i bisogni dell’altro allo stesso livello dei propri. Andrés Rodriguez riflette sul fallimento della «rivoluzione bolivariana», il socialismo nazionalista-populista venezuelano, ripercorrendo la parabola politica di Hugo Chavez e poi di Nicolas Maduro Moro, autocrati che hanno represso nel sangue e affogato nei brogli elettorali il desiderio di libertà e democrazia di una parte considerevole del popolo venezuelano. L’articolo è stato scritto a fine 2024 e i suoi contenuti rimangono validi anche se nel gennaio 2025 si sono verificati importanti eventi politici: Edmundo González ha intrapreso un tour internazionale per cercare sostegno di fronte alla crisi interna del paese; Maria Corina Machado è stataarrestata in una controversa operazione che ha suscitato una fortecondanna internazionale; Nicolás Maduro si è consolidato come presidente, rafforzando la sua posizione. Il vero socialismo non può che nascere e crescere nella libertà e nel rispetto dei diritti fondamentali degli individui, delle minoranze, dei gruppi sociali. L’articolo di Cora Roelofs prosegue la riflessione su cosa debba intendersi per vera ed effettiva democrazia. Prendendo le mosse dalle aporie della democrazia statunitense, fondata su una forma esasperata di patriottismo e su una pratica elettoralistica utile a coprire una struttura sociale fortemente gerarchizzata, l’autrice si interroga sul significato profondo della democrazia odierna: un agire politico che richiede alcune precondizioni, come una distribuzione egualitaria delle ricchezze e delle risorse, e che implica una pratica partecipativa e diretta, fondata sulla valutazione, il feedback, il monitoraggio e la riflessione critica. La Conversazione è dedicata a un confronto con Matthew Wilson, autore del recente, importante volume Discorsi sull’autogoverno, edito da elèuthera. Wilson focalizza la sua riflessione sul rapporto tra anarchismo e trasformazione sociale. Gli anarchici hanno sempre insistito sul fatto di essere contrari al compromesso, rifiutando di annacquare le loro critiche radicali al capitalismo e allo Stato. Wilson rileva come tale rifiuto diventi a volte politicamente dannoso: il punto non è quello di rifiutare in punta di principio il compromesso, ma capire il grado di compromessi politicamente accettabili in un dato contesto storico-politico. Nelle Radici. Francesco Codello presenta il profilo di Dorothy Day, straordinaria donna capace come pochi di coniugare il pensiero libertario e l’azione incessante a favore degli oppressi. Pacifista radicale, simpatizzante dell’IWW, influenzata da pensatori come Tolstoj e Kropotkin, Day ha coniugato lo spiritualismo cattolico con l’attivismo anarchico, sostenendo la causa dei poveri e degli sfruttati e creando una rete di solidarietà concreta che ha sostenuto migliaia di diseredati. Fulvio Ferrari ricostruisce la figura di Stig Dagerman, autore ancor oggi letto, tradotto, discusso in tutto il mondo. Narratore, giornalista, militante anarchico, Dagerman ha mantenuto per tutta la sua breve vita uno sguardo lucido e critico sulla società, sull’arte e su sé stesso, mettendo a nudo nodi che, irrisolti, conservano tutta la loro urgenza e la loro complessità. Dagerman fu una curiosa figura di anarchico disincantato e militante, che fino alla fine ha continuato a collaborare con i giornali del movimento e a partecipare alle manifestazioni di piazza. Nella Musica Felice Liperi conduce il lettore in un viaggio tra suoni e percorsi della canzone politica italiana. Dopo aver evocato il ruolo dei canti politici in Italia, dall’età sveva alle lotte operaie di inizio Novecento, l’autore si concentra sulla canzone politica italiana contemporanea. Da Francesco Guccini ad autori come Brunori sas e Vasco Brondi, Liperi narra la lunga stagione dei cantautori impegnati e dei gruppi arrabbiati, che continua tutt’oggi nonostante la crisi dei movimenti e il riflusso nel privato. Infine, una nuova rubrica, Percorsi di visione di Mariangela Mombelli ed Enrico Ruggeri, dedicata al cinema. Il primo articolo, che analizza il rapporto tra il cinema e il lavoro, prende le mosse da una citazione di Camillo Berneri per evidenziare come, fin dai suoi esordi, il cinema non abbia mai smesso di raccontare il lavoro come principio fondante della società. L’analisi di molte opere cinematografiche degli ultimi anni evidenzia quanto il lavoro sia rimasto una pena senza neppure l’aspettativa di un finale consolatorio. La parola ai lettori! Continuate a scriverci, a farci avere il vostro sostegno, le vostre idee, le vostre critiche. La rivista ha bisogno di farsi conoscere, di essere discussa, di nuovi lettori e abbonati. 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