Conversazione con Pino Cacucci
Ciao Pino, la mia prima curiosità è rivolta alla tua ultima pubblicazione, L’elbano errante, un romanzo storico ambientato nel ‘500 nel quale i temi del viaggio, della precarietà esistenziale e del senso di infinito appaiono predominanti. Ti sembra corretta questa sintetica interpretazione?E che cosa ti ha spinto ad ambientare il romanzo in questo secolo dopo esserti occupato del ‘900 sapendo coglierne aspetti differenti e, forse, contraddittori?
Non solo l’interpretazione mi sembra corretta, ma racchiude i sentimenti essenziali che spingono il protagonista del romanzo – che definirei sia storico che di avventure – a diventare «errante», continuamente alla ricerca di risposte a un’esistenza votata alla vendetta. Alla base di un’idea che ho coltivato per una decina d’anni – con lunghe ricerche e innumerevoli letture – c’era la voglia di narrare cosa sia stato il cosiddetto Rinascimento, un secolo di massacri e guerre interminabili, scontri sanguinosi con i Turchi che hanno compiuto veri genocidi e costretto alla schiavitù innumerevoli giovani donne sequestrate ovunque e, per contro, una civiltà cristiana che era in piena Inquisizione, con altrettante guerre tra cattolici e protestanti, con le persecuzioni di ugonotti, valdesi, eretici di ogni sorta, streghe da bruciare sul rogo, e così via… Forse è stata per me una sorta di istigazione, questo odierno uso della parola «rinascimento» sempre a sproposito: volevo raccontare cosa fu veramente quell’epoca.