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Andrea Satta "Niente di nuovo tranne te" dopo l'amore e la rivolta

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Pediatra in bici della periferia romana, narratore del pensiero e della parola, Andrea Satta ha da poco pubblicato Niente di nuovo tranne te, il suo esordio discografico da solista dopo una carriera di oltre 30 anni con i Têtes de bois. Solitaria formazione dedicata alla canzone francese in Italia grazie a un rapporto molto stretto con Leo Ferrè soprattutto dopo il trasferimento del grande cantautore in Toscana. Uomo dalle mille iniziative, con questo nuovo album si lancia in un lungo viaggio nella memoria di famiglia dove riappaiono una fisarmonica verde e biciclette che diventano macchine d’energia. Così emerge un tessuto musicale fatto di salite e discese emotive, come metafora di vita e di pedali.

Niente di nuovo tranne te è una raccolta di canzoni che parla di persone comuni alle prese con problemi quotidiani, influenzata dagli amori per gli chansonnier francesi e i grandi autori italiani, però forse diversi da quelli frequentati con i Têtes de bois. Lucio Battisti, ad esempio, spesso, anche nel brano d’apertura Coupon che Satta presenta «come una dedica che ognuno può fare a sé stesso o alla persona a cui si è più legati». Ma tutto l’album è molto attento alle parole, come in Bellissima dove il cantautore spiega come i suoi viaggi possano essere importanti per capire che il mondo offre punti di vista diversi, anche personali, con passioni sovrapposte costruite nel proprio vissuto.

Le tue canzoni sembrano l’approdo di un evento personale, come ad esempio in Amore al centro commerciale dove proponi un testo che ricorda molto lo stile di Piero Ciampi.

Assolutamente, in questo caso è stato ispirato da una storia vera, anche se trasfigurata. Mi trovavo in bicicletta a un centro commerciale di Roma Est con un pratone dietro al quale c’erano mucche al pascolo quasi coperte da un cartellone immobiliare che pubblicizzava la vendita di case con panorama agreste. È passato del tempo e sono tornato in quel luogo, il cartellone era arretrato perché nel frattempo le costruzioni avevano riempito gli spazi però l’annuncio era lo stesso: case bellissime con splendidi panorami. In definitiva si vendeva un’illusione e un imbroglio. Quanto a Ciampi sono onorato di averlo evocato perché mi piaceva il suo modo diretto di raccontare la realtà e i sentimenti anche più sofferti.

Hobo Sapiens sembra avere un testo in bilico fra Vasco Rossi e Pasquale Panella?

Questa canzone intreccia due storie, quella di mio figlio Lao, che vive a Terni con la madre e dopo un passaggio a Roma mi ha chiesto di accompagnarlo al treno perché voleva stare con i suoi amici. L’altra propone un incontro con un clochard sul marciapiede della stazione, si chiama Mohamed Keita, ed è la prima volta che Lao vede un clochard. Lo avvicino per capire qual è la sua storia e se posso fotografarlo poi gli propongo di avvicinarsi lui alla fotografia per mettere a profitto la sua fantasia, si scopre così che ha un talento da fotografo: un hobo sapiens, appunto.

Abbi pazienza ricorda una classica riflessione sulle nostre nevrosi, un po’ alla Gaber.

L’idea mi è stata suggerita dal fatto che proviamo a stare attenti ma siamo sempre distratti da tutto e sembra che sappiamo già tutto, o magari lo crediamo solo, o forse è una semplice metafora dello Smart Phone e del fatto che siamo sempre pronti a scusarci dall’estrema distrazione che ci pervade.

Cosa ti ricordi di tuo padre apre un capitolo personale fondamentale per la tua vita.

Un confronto con la realtà che non potevo escludere dal mio primo disco perché credo che mio padre sia stato un eroe normale lanciando il segnale che dobbiamo essere pronti a reagire. Poi questo brano apre un capitolo centrale della mia vita dove è fondamentale l’idea che l’amore non finisce mai. Come quando mio padre ha ripreso in mano la fisarmonica e gli sembrava qualcosa di vivo.

Ma quella fisarmonica ha un significato molto più profondo.

Richiamava il lungo viaggio in una meta lontana, in Germania, quasi al confine con la Polonia: un campo di concentramento nazista, in cui fu rinchiuso mio nonno Gavino. In questo viaggio nella memoria si è sciolta la matassa dei ricordi che legano nonno, padre e figlio e sullo sfondo si sovrappongono i ricordi della Sardegna degli anni Trenta, storie d’amore e di vendetta, poi della Roma del dopoguerra, in cui la vita può rifiorire.

Protagonisti di questa storia siete tu, tuo padre e tuo nonno?

Nonno Gavino, mio nonno, era un soldato italiano considerato traditore dopo l'8 settembre, per questo venne costretto a salire su un treno e fu deportato a Lengenfeld. Qui conobbe fame, fatica e umiliazione. Di ritorno dal lager, portò con sé una fisarmonica verde e un segreto racchiuso nella sua anima ferita, quella di un uomo normale che non voleva perdere di vista la memoria. Ecco perché la fisarmonica diventa un oggetto simbolico di una esperienza drammatica e di una rinascita.

Poi però questo viaggio l’hai fatto con tuo figlio Lao?

Un viaggio e un racconto a partire da oggetti ritrovati – un cappotto rosso, un documento che denuncia una strage e una fisarmonica verde – durante il percorso in bicicletta con Lao in cui abbiamo ripercorso le tappe del lungo ritorno a casa del nonno Gavino.

Una peculiarità della tua esperienza artistica mi sembra quella che tu riesca a viverla in modo totalizzante con la vita e le esperienze che fai, per esempio il tuo lavoro di pediatra che sembra molto legato a quello del cantautore.

C’è una magia nella nascita dei bambini che sta nella loro trasformazione, prima appena nati sono scuri, se non paonazzi, poi diventano chiari, vivi. È qualcosa di inspiegabile come il modo casuale con cui si è salvato mio nonno.

Come ho detto nel tuo album si sente l’influenza di Ciampi, Battisti, Panella, in alcuni testi Capossela, meno dei francesi, com’è cambiato il rapporto con quei cantautori che hanno ispirato i Têtes de bois?

Probabilmente per una ragione linguistica dato che la lingua francese è stata lentamente sostituita dall’inglese e per questo la conoscenza della canzone francese è stata più complicata anche perché i suoi testi sono fondamentali e questo naturalmente l’ha penalizzata. Ciò non toglie che per me, per noi Têtes de bois, il rapporto in particolare con Leo Ferré rimane molto profondo anche perché siamo di casa a Castellina in Chianti, il luogo dove si è trasferito in età matura.

C’è qualcosa di pacificante nelle tue nuove canzoni.

Forse perché Niente di nuovo tranne te raccoglie tutta la mia vita in canzoni, nel mio sguardo tra periferia e provincia. Nessuna situazione estrema, apparentemente, solo una quotidianità sfibrante che inesorabilmente travolge, in cui nascono e finiscono amori e ipotesi di domani. Storie vere, vissute, intercettate da un balcone o alla fermata di un bus o forse nel mio ambulatorio.

O forse perché sei stato spesso coinvolto in performance stupefacenti?

In effetti nella mia vita ho avuto la possibilità di fare molte cose bizzarre e appassionanti, ho suonato nella vasca delle otarie allo zoo, per anni su un vecchio camioncino-palco, ho ideato il Palco a Pedali, ho fatto l’inviato al Tour de France e al Giro d’Italia e tanti concerti nelle stazioni abbandonate, nelle gallerie, sulle scale mobili, al centro di rotonde stradali, nelle fabbriche che sputavano amianto. Ora, i Têtes per i nostri 30 anni mi hanno concesso una licenza-premio, ho preso la mia carta d’imbarco e scelto un altro suono, per navigare nel mare che ho in testa. Ho scritto le mie canzoni però non dimentico «l’amore e la rivolta».

Con i Têtes de bois Andrea Satta ha vinto tre Targhe Tenco Interpreti, pubblicato nove album, compiuto migliaia di performance nei festival di strada e sul palco di Sanremo con Paolo Rossi. Ha scritto I riciclisti, Ci sarà una volta, Officina Millegiri, Mamma quante storie! libro ispirato alla Giornata delle Favole, che organizza da anni nel suo ambulatorio, Pise e Pata - dialoghi tra bambini sulle cose del mondo, e La fisarmonica verde.