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Alcune idee per un anarchismo propositivo

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«L’anarchia non è cosa del futuro ma del presente; non è fatta di rivendicazioni ma di vita»
Gustav Landauer

Nelle rivista «Pagine Libertarie» (20 novembre 1922) Camillo Berneri scriveva:
«Noi siamo sprovvisti di coscienza politica nel senso che non abbiamo consapevolezza dei problemi attuali e continuiamo a diluire soluzioni acquisite dalla nostra letteratura di propaganda […] L’anarchismo deve conservare quel complesso di principi generici che costituiscono la base del suo pensiero e l’alimento passionale della sua azione, ma deve sapere affrontare il complicato meccanismo della società odierna senza occhiali dottrinari e senza eccessivi attaccamenti all’integrità della sua fede» (Berneri).
Questa riflessione di Berneri è stimolante e arricchente per chi desidera coniugare una visione con una serie di progetti. La visione è il sogno e la cornice di riferimento, i progetti sono le possibili soluzioni concrete e necessariamente sperimentali che si possono proporre di fronte ai tanti problemi e alle tante criticità del vivere assieme. Pensiero e azione dunque intrinsecamente legati e reciprocamente confrontati. Partendo da questa premessa, appare sempre più evidente come l’anarchismo (o meglio gli anarchismi), storicamente determinatesi, debbano sistematicamente fare i conti con la loro capacità di essere da un lato dentro il corso della storia, seppure per contrastarne un processo di sviluppo del dominio, ma al contempo dall’altro non possono più permettersi, pena la loro insignificanza, di stare al di fuori della storia stessa.
Questa sfida appare sempre più centrale e necessariamente da cogliere, superando una pratica di lotte esclusivamente di resistenza e di denuncia delle varie forme che assume sistematicamente il dominio, per indirizzare la propria azione in lotte e sperimentazioni fatte di proposte concrete e di propositività. Nel 1961 nelle pagine del settimanale anarchico inglese «Freedom» appare un articolo firmato da Colin Ward dal titolo: Anarchism and Respectability. Scrive Ward:
«Il tema che affronto in questo simposio è “siamo sufficientemente rispettabili?”. E con questa domanda non intendo interrogarmi sul nostro abbigliamento, sulla conformità della nostra vita privata agli standard statistici o sul modo in cui ci guadagniamo da vivere, ma sulla qualità delle nostre idee anarchiche, se esse siano meritevoli di rispetto».
Verificare questa rispettabilità significa chiedersi sistematicamente se le idee di questa grande utopia siano migliori e più utili a risolvere i problemi che uomini e donne si trovano ad affrontare quotidianamente. Se cioè l’anarchismo sia superiore ad altre ideologie autoritarie per determinare una società più libera, più giusta, più rispettosa, più solidale. Ma fin da subito, senza attendere che un’improbabile e comunque non sempre auspicabile rivoluzione possa portarci in un mondo migliore di quello che abbiamo. Conservando uno spirito rivoluzionario possiamo intraprendere qui e ora quel mutamento individuale e sociale in senso libertario a cui tendiamo idealmente.
In altre parole, la domanda qui posta può essere tradotta e sviluppata se c’è la convinzione che, al posto di un anarchismo «apocalittico» mirato al «tutto o niente», abbia ragione di essere un anarchismo pragmatico, teso a dar vita a comunità nuove, qui e ora, utilizzando il pur difficile e contraddittorio materiale presente nella nostra vita quotidiana. Il pensiero anarchico e l’anarchismo come movimento (gli anarchismi) si sono caratterizzati in quanto hanno assunto come fondativa la dimensione della negazione. La loro forza rivoluzionaria si è espressa storicamente, nel pensiero dei classici, soprattutto nella dimensione del rifiuto (di ogni forma di dominio). Ma la parte destruens dell’idea anarchica non è, a mio modo di vedere, più in grado (da sola) di cogliere le grandi opportunità e le sfide che la contemporaneità pone alle ideologie otto-novecentesche. Inoltre, è limitativo, e talvolta persino strumentale, risolvere l’originalità e la potenza dell’anarchismo dentro questa dimensione di negazione.
La negazione di ogni forma di dominio resta un tratto essenziale nella definizione dell’idea anarchica, ma vorrei darla come acquisita e consolidata e, soprattutto, sottolinearne la sua attualità in quanto si converte in visione positiva e prefigurativa di una società diversa. Insomma ribadire che oggi, più che mai, c’è l’urgenza di pensare a un anarchismo post-negativo e impiegare tutte le nostre risorse per sviluppare alcune linee risolutive libertarie che invertano la tendenza intrinsecamente autoritaria presente nella società e, allo stesso tempo, evitino le costruzioni ideologiche e astratte di un «totalmente altro». Nell’immediato dopoguerra Herbert Read e Alex Confort, Geoffrey Ostergaard, George Molnar, Paul Goodman, Martin Buber, George Woodcock, Murray Bookchin, Colin Ward, Gaston Leval e le riviste «Politics» di Dwight Macdonald, «Anarchy» di Ward, «Volontà» di Giovanna Berneri e Cesare Zaccaria, assieme ad altri contributi, hanno cercato di indicare una via diversa rispetto a quella più tradizionale, con lo scopo di aggiornare non solo il pensiero ma, soprattutto, l’azione degli anarchici e delle anarchiche. Potremmo riassumere nel modo seguente le caratteristiche fondamentali di questo percorso libertario di questi anni:
a) Scetticismo nei confronti della concezione insurrezionalista: critica alla sua realizzabilità e convinzione che un cambiamento genuino e profondo deve scaturire da un cambiamento della personalità individuale e delle relazioni sociali;
b) «La libertà deve essere conquistata un centimetro alla volta ed è necessario rimuovere le catene che ci siamo auto-imposti prima che si possa agire come esseri umani responsabili» (Ostergaard);
c) «Lo Stato non è qualcosa che può essere distrutto da una rivoluzione, è una condizione, una relazione tra gli esseri umani, un modo del comportamento umano; lo distruggiamo contraendo nuove relazioni, comportandoci in modo diverso» (Landauer);
d) «Una società libera non può essere realizzata sostituendo un ordine nuovo a quello vecchio, ma piuttosto con l’ampliamento delle sfere di azione libere, fino a che esse vengano a costituire il fondamento dell’intera vita sociale» (Goodman);
e) «Mentre il gradualismo marxista e socialista cerca di operare attraverso lo Stato estendendo le attività statali fino a che lo Stato inghiotte l’intera vita sociale, per il gradualismo libertario si tratta, qui e ora, di contrarre relazioni diverse da quelle statali, relazioni basate sul self-help cooperativo e sul mutuo appoggio» (Ostergaard);
f) Differenza fondamentale tra pubblico e statale e privato;
g) Ciò che dovrebbe preoccupare e impegnare gli anarchici sono i «cambiamenti sociali attraverso cui le persone possono allargare la propria autonomia e ridurre la soggezione all’autorità esterna» (Ward);
h) Agire con spirito rivoluzionario in una situazione data (Read);
i) Scetticismo per l’idea stessa di società anarchica. Molnar la chiama «teorema dell’impossibilità». Non è verosimile (o poco) che l’anarchia possa ottenere il consenso universale a meno che non venga usata la forza per imporla. Ma, Malatesta dixit, l’anarchia non si fa per forza. Ward scrive: «Ogni società umana, a eccezione delle utopie o anti-utopie più totalitarie, è una società pluralistica con vaste aree che non si conformano ai valori ufficialmente imposti o dichiarati»;
j) Non basta neanche la risposta esclusivamente individuale e di protesta permanente, bisogna cambiare le strutture sociali e le relazioni comunitarie. Infatti, scrive Ward: «se l’idea di una società libera può essere un’astrazione, quella di una società più libera non lo è». L’idea di una società anarchica non va intesa tanto «come scopo da realizzare ma come scala graduata, unità di misura, mezzo attraverso cui valutare la realtà». L’anarchia viene in questo modo vista come un criterio normativo; cioè il criterio etico chiave per giudicare i meriti delle varie società sta nella misura in cui sono anarchiche;
k) Distinzione tra principio sociale e principio politico: Martin Buber scrive: «Il governo tende ad appropriarsi di più potere di quanto sia necessario in una data situazione […] La misura di questo eccesso rappresenta l’esatta differenza tra amministrazione e governo […] Surplus politico […] il principio politico è sempre più forte rispetto al principio sociale richiesto da una certa situazione. Il risultato è una continua diminuzione della spontaneità sociale»;
l) L’anarchia intesa come forma di rapporti sociali è già presente nella società: «l’anarchia lungi dall’essere la rappresentazione teorica di una società futura è la descrizione di un modo di organizzazione umana, radicato nell’esperienza della vita quotidiana, che opera a fianco delle tendenze autoritarie dominanti, e a dispetto di esse le alternative anarchiche sono già presenti negli interstizi della struttura del potere dominante. Se vogliamo costruire una società libera, parti di essa sono già disponibili». Le caratteristiche fondamentali comuni a molte esperienze concrete che vanno in questa direzione sono: un forte riferimento all’azione diretta individuale (agenti e non consumatori di un bene prodotto per loro), riferimento significativo a relazioni mutualistiche e di mutuo appoggio: l’anarchia così intesa è una sorta di «auto-determinazione sociale» che può trovarsi spesso in contrasto sia con la burocrazia dello Stato che con le ingiustizie del liberismo economico.
m) L’anarchia serve a risolvere problemi: cercare soluzioni anarchiche invece che indugiare sulla retorica della rivoluzione;
n) Il fallimento degli anarchici, secondo Woodcock, è dovuto «alla scarsa propensione a fare proposte specifiche che possano condurre alla loro vaga e fumosa visione di una societàidilliaca», le masse hanno preferito seguire chi poteva offrire soluzioni concrete a problemi concreti;
o) Gaston Leval critica l’idea che l’anarchismo debba essere definito unicamente per ciò cui si oppone: «un movimento sociale non può vivere sulla negazione». L’anarchismo deve offrire un programma costruttivo e a tal fine «dobbiamo acquisire capacità e background per convincere coloro che intendiamo influenzare che hanno a che fare con uomini capaci, seri e responsabili, non semplici agitatori o dilettanti della rivoluzione»;
p) L’anarchia è un tipo di rapporti sociali caratterizzati dall’azione cooperativa egualitaria di individui che si auto-definiscono come tali. Se la sfera della mutualità autogestita si espande ricoprendo l’intera vita sociale, allora senza dubbio avremmo una società senza Stato. Ma anche se non viviamo in una società senza Stato, possiamo avere a disposizione una quantità maggiore o minore di mutualità, e quindi di anarchia.

Penso che dovremmo portare l’anarchia nel tempo presente invece che rimandarla completamente a una futura ipotetica società senza Stato. I movimenti internazionali di contestazione di questi ultimi vent’anni, il contributo di pensatori come David Graeber, James Scott, John Clark, Amedeo Bertolo, Nico Berti, Eduardo Colombo, Matthew Wilson,Tomàs Ibañez, pur nelle loro differenze di sensibilità e di approccio, e altri assieme a loro, ci stimolano a indagare ulteriormente questa prospettiva innovativa, mettendo in risalto anche le contraddizioni e le difficoltà che un’idea libertaria aperta inevitabilmente deve affrontare.
Il ruolo concreto dell’anarchico, secondo questa concezione, non è la realizzazione di questo sogno irraggiungibile, ma spingere la disordinata complessità della società in una direzione più anarchica. Il modo migliore per promuovere questa causa è verificare in concreto come l’anarchia, intesa come mutualità autogestita, possa contribuire a risolvere specifiche esigenze sociali. Accrescere cioè il più possibile il tasso di anarchismo nel mondo in cui viviamo.
«Il compito dell’anarchico, tuttavia, non è quello di sognare la società futura, ma piuttosto quello di agire nel modo più anarchico possibile all’interno della società attuale, di evitare per quanto possibile le situazioni in cui è comandato o è costretto a comandare e di sforzarsi di promuovere relazioni di cooperazione reciproca e volontaria tra i suoi simili. Nel mondo moderno, lo Stato è la manifestazione più importante del principio di coercizione. Per raggiungere l’anarchia, quindi, si deve rinunciare allo Stato; e lo si farà nella misura in cui gli uomini diventeranno capaci di vivere senza di esso» (Ostergaard).
Infine vorrei sottolineare un altro passaggio per me indispensabile che va affrontato in un’ottica di prospettiva propositiva. Mi riferisco alle caratteristiche che definiscono una società ideale secondo una visione libertaria. Troppo spesso anche gli anarchismi hanno immaginato un modello di società alternativa delineandone delle peculiarità mono qualificate sia in ambito economico, che sociale, che politico. In questo caso le idee anarchiche si sono allineate a una tradizione utopica e uniformate, dal punto di vista strutturale, a quelle di altre ideologie alternative a quella liberale. Appare invece urgente liberare anche il nostro immaginario da una concezione così rigida e chiusa di un mondo «altro» a favore di una visione plurale e diversificata, sperimentale e aperta anche nel nostro modo di pensare i contorni di un possibile mondo diverso. Per dirla ancora con Colin Ward:
«L’alternativa anarchica è quella che propone la frammentazione e la scissione al posto della fusione, la diversità al posto dell’unità, propone insomma una massa di società e non una società di massa».
Queste sono solo alcune considerazioni, espresse schematicamente, che speriamo possano stimolare una riflessione e, soprattutto, un’azione più idonea alle sfide del XXI secolo e non hanno niente di irreversibile e di dogmatico.